COVID-19 e violenza domestica: Cosa ci stanno riferendo i CAV? Chayn Italia intervista i Centri Antiviolenza (Parte II)

Chayn Italia
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6 min readApr 22, 2020

Dalla prima settimana di distanziamento sociale il team di Chayn Italia ha elaborato delle risorse online, sia per passare il tempo tra le mura domestiche che per sostenere il lavoro dei Centri Anti Violenza (CAV) in questa situazione così particolare.

Non per tutte restare a casa è un invito rassicurante perché le case possono rappresentare luoghi di paura, se si vive una relazione violenta, e non tutt@ hanno una casa in cui vivere. In questa nuova realtà il lavoro dei Centri Anti Violenza (CAV) è più che mai fondamentale. Da subito è risultato chiaro che la situazione emergenziale avrebbe portato ad un cambiamento delle modalità di lavoro dei CAV. A causa delle restrizioni sugli spostamenti dovute al coronavirus, l’attività delle operatrici non può più essere svolta come di consueto, ossia assistendo le donne di persona e fornendo un supporto di equipe. Come tante altre realtà anche questi luoghi si sono dovuti adattare allo smart working e all’utilizzo delle tecnologie per poter compiere il loro lavoro quotidiano.

Abbiamo così deciso di lanciare la campagna #inretenonseisola, pensata da Chayn Italia per contribuire a sostenere, tramite le risorse fornite dalla sfera digitale, coloro che forniscono un supporto a chi si trova in una relazione violenta.

Dopo essere state contattate da alcune operatrici dei CAV, chiedendo come adottare soluzioni digitali alle restrizioni poste in essere dalla situazione di emergenza, abbiamo ritenuto importante svolgere un’analisi a più ampio raggio su come stessero operando i CAV durante il periodo di lockdown. Come anticipato in questo post, abbiamo quindi svolto una serie di interviste ad operatrici di Centri Anti Violenza collocati in diverse parti d’Italia.

Per svolgere le interviste e raccogliere i dati in maniera strutturata e uniforme, è stato predisposto un questionario di otto domande (che può ancora essere compilato qui) mirate a comprendere come il lavoro e le modalità operative dei CAV sono state impattate dalla recente emergenza sanitaria. I quesiti posti, nello specifico, valutano le strategie e gli strumenti adottati per garantire la risposta delle operatrici, la risposta delle donne a questi nuovi strumenti, le maggiori difficoltà incontrate, e il livello di consapevolezza dell’utilizzo delle tecnologie in modo sicuro da parte dei CAV. Inoltre, il questionario ha cercato di identificare dove e come Chayn poteva essere di supporto, soprattutto per quanto riguarda l’impiego di strumenti digitali.

Per avere una visione più ampia possibile di ciò che accade nelle diverse regioni d’Italia abbiamo intervistato le operatrici e ricevuto i questionari compilati da parte di 11 CAV di diverse città italiane (Roma e provincia, Venezia, Messina, Caserta, Trieste, Gorizia e altre).

Gli esiti delle interviste e dei questionari rivelano un quadro complesso ma incoraggiante. Nella speranza di poter amplificare il raggio di diffusione delle comunicazioni dei CAV, riepiloghiamo qui i punti principali emersi sia per quanto riguarda la realtà registrata dalle operatrici nello svolgimento del loro lavoro, sia per quanto riguarda l’operatività dei centri stessi.

Quanto alla realtà concreta registrata dai CAV dall’introduzione delle misure restrittive, la maggior parte dei centri intervistati hanno subito registrato un calo di contatti a seguito del distanziamento sociale — per poi aumentare nel giro di alcune settimane — e, nel caso in cui contatto veniva preso, ciò avveniva attraverso canali inusuali, quali email, Telegram e Whatsapp. Il calo iniziale è stato generalmente attribuito alla possibile mancanza di una modalità protetta di comunicazione che non comportasse esposizione al partner abusivo e al senso di mancanza di privacy anche fuori dalle proprie case.

Quanto all’operatività dei centri, il messaggio principale emerso è che la realtà è certamente cambiata, ma che i CAV continuano ad operare con ogni strumento a disposizione. Le modalità operative di prestare assistenza si stanno rimodulando e riorganizzando per far fronte alle specifiche sfide poste dalle misure restrittive.

La prosecuzione delle attività di supporto, in un momento di distanziamento sociale a livello nazionale significa, necessariamente, un maggiore affidamento agli strumenti digitali che, ancor più di prima, sono diventati fondamentali. Mentre il telefono rimane il mezzo più utilizzato perché accessibile a tutt@, si è riscontrato un forte gap generazionale nell’utilizzo della tecnologia sia da parte delle donne che da parte delle operatrici. Le donne che stanno facendo affidamento a strumenti tecnologici per contattare i CAV li sanno già utilizzare e rientrano in una fascia d’età under 45. Di conseguenza, questi strumenti permettono alle operatrici di comunicare solo con un numero ristretto di donne.

Ad ogni modo, l’utilizzo degli strumenti digitali non può ovviamente sostituire il lavoro fondamentale svolto dalle operatrici dei CAV non solo di persona ma anche e soprattutto come team. Lavorare non in presenza, non avere la possibilità di utilizzare il linguaggio corporale e la mancanza di un setting adatto allo svolgimento dei colloqui, rende molto più complicato lo sviluppo dell’empatia e del rapporto di fiducia tra le donne e le operatrici. Quest’ultime spesso, sono poi sottoposte ad un grande sforzo di rielaborazione dello stress nelle proprie case o attraverso le riunioni di equipe che però si svolgono anch’esse in via telematica.

Inoltre, la sfera digitale pone ulteriori rischi fra cui la protezione della privacy, la cyber security ed in generale l’individuazione di canali efficaci che garantiscono alla persona in questione di comunicare con serenità.

Le risposte ci dimostrano che i CAV stanno facendo di tutto per continuare a fornire il loro supporto, ma le difficoltà sono reali. Il punto che appare con maggior rilevanza è la frustrazione di non poter arrivare a quelle donne che, pur vivendo una situazione di pericolo, non sono a conoscenza del numero antiviolenza 1522 o dell’esistenza dei CAV, o non hanno accesso a strumenti digitali che permettano di contattare queste realtà in modo sicuro.

Per venire incontro a questa difficoltà, i CAV hanno attivato campagne di comunicazione e diverse e varie modalità di diffusione dei propri contatti dimostrando, anche in questo caso, la capacità di reinventarsi e immaginare altre vie per essere di supporto alle donne. Le strategie utilizzate sono state molteplici (campagne social, pubblicità, interviste, prese di parola di personaggi dello spettacolo, diffusione di locandine nei luoghi più frequentati come i supermercati) per riuscire a far arrivare al più alto numero possibile di donne il messaggio #nonseisola, #noicisiamo. Tutte queste iniziative manifestano una volontà di ridimensionare e ripensare il significato della parola “comunità” come un luogo dove le difficoltà di ognun@ ci tocca e ci riguarda, e di creare reti di solidarietà e supporto di vicinato e di quartiere.

Tuttavia, è fondamentale che in questo delicato momento l’impegno sia sostenuto dalle istituzioni e che le stesse diventino megafono del messaggio dei CAV, fornendo loro gli strumenti adeguati affinché i centri possano continuare a supportare al meglio le donne che chiedono sostegno. Questo soprattutto per quanto riguarda la possibilità di alloggio per tutte le donne che hanno l’esigenza di allontanarsi dai propri partner per salvaguardare la propria vita e spesso quella dei o delle loro figli/e.

Ad oggi infatti sono ancora troppo pochi i posti di accoglienza all’interno del circuito delle case rifugio e molte cooperative che lavorano in questo sistema si stanno organizzando promuovendo progetti autonomi che suppliscono a questa carenza, attivando modalità di accoglienza informali, o progetti più strutturati di ospitalità in strutture alberghiere che facciano da cuscinetto per il periodo di quarantena. Nel medio termine servirà però un sostegno da parte delle regioni e dello Stato affinché si riesca a trovare una sistemazione adeguata e stabile per queste donne, dove abbiano la possibilità di iniziare un percorso di fuoriuscita reale e sostenuto.

Le informazioni raccolte in queste interviste ci mostrano la complessità della situazione ma anche la forza e la capacità di autorganizzazione dei Centri Anti Violenza, e ci hanno permesso di identificare le aree in cui fornire un contributo. Le priorità emerse rispondono a due bisogni principali:

  • Ridurre il digital divide e promuovere un accesso alle comunicazioni digitali in modo sicuro: dalle interviste è emerso che non tutte le donne hanno dimestichezza con la tecnologia, sanno utilizzare piattaforme di videochiamata o messaggistica in modo sicuro o conoscono risorse online che consentono di avere conversazioni senza lasciare tracce. Per questo vorremmo realizzare tutorial, social media card e altri strumenti di supporto per ridurre il divario digitale e consigliare l’utilizzo di strumenti semplici e, per quanto possibile, sicuri.
  • Diminuire l’isolamento delle donne in relazioni violente e incoraggiare comportamenti solidali verso di loro: intervistando le operatrici abbiamo capito che non per tutte le donne è pensabile di accedere a servizi di supporto e che spesso chi si rivolge ai CAV in questo momento sono coloro che hanno già intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Come parlare, quindi, a chi è chiusa in casa con il proprio abusante? Crediamo che le comunità di quartiere e di condominio giochino un ruolo fondamentale e che possano essere loro un mezzo per raggiungere chi in questo momento ha più difficoltà. Per questo nelle prossime settimane lanceremo una nuova Guida per incoraggiare comportamenti solidali e relazioni di prossimità nei nostri quartieri e come essere di supporto a donne che vivono relazioni violente.

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Progetto collaborativo che utilizza strumenti digitali per il contrasto alla violenza di genere. http://chaynitalia.org e https://strumenticontrolaviolenza.org/