Darkday — CC BY

Guardiamo nell’abisso (del trogolo degli Open Data)

Matteo Brunati
CivicHackingIT
Published in
19 min readNov 16, 2018

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Siamo nel pantano, anzi nel trogolo. Se nel post precedente ho evidenziato le possibili direzioni per uscirne, adesso è tempo di guardare dove abbiamo i piedi. Prima di tutto, una precisazione sul trogolo: ne abbiamo parlato nel numero della newsletter di #CivicHackingIT sugli Open Data nel mondo, ma forse è il caso di renderlo ancora più esplicito l’argomento. Abbiamo citato questo tweet che mostra il famoso grafico che spiega il ‘Gartner Hype Cycle’ e dove si evidenzia il trogolo:

Ci sono tre zone del pantano che emergeranno in questa riflessione: una coinvolge la la Pubblica Amministrazione, la seconda riguarda la società civile e l’ultima che tocca il giornalismo. A volte è difficile isolarle, dato che sono fortemente collegate, quindi le prime due hanno le rispettive sezioni, il giornalismo è un po’ qui e un po’ là.

Un’ultima premessa. Questo post mette in evidenza alcune incoerenze di sistema (specie in merito alla Pubblica Amministrazione) e non è un attacco ai singoli: le persone possono ben poco, quando non c’è un processo che funziona, in grado di legittimare i loro tentativi e dar loro una leva per migliorare le cose.

1. Pubblica amministrazione

Noi — come cittadini — non vogliamo capire come funzionano le cose all’interno della macchina pubblica, specie se non siamo dei consulenti o degli impiegati all’interno di aziende che vendono servizi alla PA (ed in questo caso l’interesse si spiega perfettamente e in maniera legittima). Non abbiamo abbastanza tempo, abbiamo una vita da vivere. Noi cittadini vogliamo i dati per farci cose, quelle che più ci interessano.

Di solito si inizia così: “aspetta che cerco quel dato, ah già, esistono gli Open Data… ora guardo…mmm.. ma cos’è questo? No, giusto, questo non va bene. Questo nemmeno, ma quindi il dato non c’è? E a chi posso chiederlo?” E qui inizia il pantano vero e proprio, quello che sembra la ricerca del famoso lasciapassare A39 nelle 12 fatiche di Asterix.

Quale governance esiste a livello nazionale nella pubblicazione degli Open Data? Ve la dico in breve: rispondere a questa domanda è come ricevere un pugno nello stomaco, ma al rallentatore. Da attivisti (quindi non semplici cittadini, che a questo punto hanno abbandonato sia la ricerca sia la speranza) ci si mette un po’ a rendersi conto del quadro generale entro cui si muovono , ma almeno si scopre qualcosa di nuovo. Per capirne i confini (della governance) serve fare riferimento alla strategia per la crescita digitale 2014–2020, nella sezione Open Data, dove si trovano degli obiettivi e degli indicatori, e questa strategia è un elemento chiave alla base del lavoro di pubblicazione dei dati di questi anni. Dalla mia esperienza, è uno dei pochi obiettivi verso cui la Pubblica Amministrazione sta lavorando. Numeri che però indicano quantità, non una contro relazione proficua tra i bisogni dei cittadini e i dati che li possono soddisfare.

A seguito di quella strategia (datata fine 2014 ed aggiornata nel 2015) è successo di tutto: cambio di vari direttori di AgID, formazione di svariati nuovi governi, AgID stessa messa in discussione con l’arrivo del Team per la Trasformazione Digitale e del commissario Diego Piacentini. Tutto questo caos ci ha fatto pensare ad un’opportunità: magari questa è l’occasione per fornire qualche consiglio su alcune aree della governance dei dati, con un ruolo di semplici cittadini attivi portatori di diverse competenze e di altrettante esperienze. Mentre il caos sugli attori isituzionali cresce, i cittadini restano. Si tratta di quello che abbiamo cercato di fare durante i due anni di partecipazione al tavolo ‘Trasparenza e Open Data’ nell’Open Government Forum restando, alla fine, con un pugno di mosche. Di certo, da parte nostra ci sono state delle aspettative completamente sbagliate. Ho scritto un resoconto a fine dicembre 2017 — inviato come commento alla consultazione pubblica sulla revisione della direttiva europea sulla PSI (Public Sector Information) — e il 22 maggio 2018 ho pubblicato una sintesi alla fine dei lavori sul terzo piano d’azione italiano a OGP, redatta assieme a diversi attori della società civile. Riporto il passaggio finale (dove alcuni degli attori che hanno partecipato al tavolo hanno deciso di abbandonarlo):

Le aspettative della società civile che rappresentiamo si trovano in un piano completamente diverso da quello del processo amministrativo di OGP. In questo momento, il tavolo Open Data all’interno del Forum ci sembra una ridondanza amministrativa scollegata dai processi decisionali e dagli sforzi nati dal lavoro del Team per la Trasformazione Digitale. Non riteniamo utile partecipare a questo tavolo e ci dispiace vedere la mancanza di una collaborazione più costruttiva tra settori diversi della pubblica amministrazione. Non essere più seduti al tavolo non implica che smetteremo di esercitare il monitoraggio civico sulla governance degli Open Data nelle sedi e nei luoghi che riterremo più opportuni, anche sul lavoro che farà questo stesso tavolo in futuro. Significa soltanto che il costo della partecipazione non viene coperto da sufficienti benefici e che continueremo ad essere cittadini attivi altrove, con la consapevolezza maturata nel corso della partecipazione al tavolo Open Data all’interno del terzo piano d’azione.

Abbiamo dato consigli e idee per migliorare la governance, spesso in buona fede, ma alla fine (e non presto) ci siamo resi conto di aver scelto la battaglia sbagliata. Perché nemmeno attori come il Team per la Trasformazione Digitale sono in grado di risolvere la matassa in maniera semplice (si veda il conflitto politico tra le raccomandazioni presenti nel report sui due anni di attività e la visione contrapposta del ministro per la Funzione Pubblica sul ruolo di AgID). Come semplici cittadini, non abbiamo alcun potenziale di impatto e disperdiamo energie e capitale sociale provando ad insistere su questo tema. Comunque, se la necessità di una strategia nazionale di valorizzazione dei dati è una delle raccomandazioni espresse dal lavoro del Team, significa che non eravamo in errore, tutto considerato.

Pagina 45 del report sui primi due anni del Team per la Trasformazione Digitale

Dato che la governance non è il caso di sfiorarla, passiamo a qualcosa più alla nostra portata, come il portale dati.gov.it. Tenerlo d’occhio può essere utile: in effetti è il fulcro dell’ecosistema degli Open Government Data italiano, ma è vittima di una gestione sofferta fin dalla sua nascita. Il 26 giugno 2017 avevo scritto un post in cui raccontavo diverse cose, tra cui quella più grave:

dal settembre 2015 al marzo 2017 non c’è stato alcun aggiornamento nei dati mostrati in dati.gov.it, anche se questi ultimi venivano aggiornati dai portali che aggregava, ovvero quelli di comuni, regioni e province, a seconda dei casi.

Nel sito dati.gov.it non veniva mostrata alcuna nota che aiutasse il visitatore occasionale ad essere consapevole del problema. Come se non bastasse, per tutto quel periodo il sito ha elencato anche dati che non erano Open Data (contribuendo a creare confusione sul tema). Sfruttando le issue del progetto ufficiale di dati.gov.it su GitHub (che si sono dimostrate una forma di dialogo rendicontabile tra cittadini e amministrazione), la situazione è migliorata e sono stati risolti alcuni dei problemi segnalati. Questo non significa che siamo sopravvissuti al pantano, anzi: è di luglio 2018 la segnalazione che alcuni portali, come quello del comune di Palermo (che pubblicano il catalogo conformi allo standard DCAT-AP_IT) non vengono ancora aggregati da dati.gov.it per problemi legati al passaggio da un ambiente di produzione (quello attuale di dati.gov.it) a quello più evoluto ma ancora in beta del Portale Nazionale Dati (il DAF — Data Analytics Framework), la piattaforma sviluppata dal Team per la Trasformazione Digitale.

Problemi totalmente gestionali interni, ma con ripercussioni piuttosto forti a livello pubblico (ad esempio, un giornalista che utilizzasse dati.gov.it come fonte potrebbe male interpretare la mancanza dei dati e sminuire un lavoro che, invece, viene fatto a livello locale). Il sito dati.gov.it non è in beta, ma è gestito come se fosse un ambiente di test: il fatto che rimanga monco per anni senza dichiarare esplicitamente al visitatore per spiegargli che non sempre sono gli Open (Gov) Data che sono imbarazzanti, ma, a volte, è il sito che non fa quello che dovrebbe, pone un problema di credibilità. Ma, forse, siamo noi a pretendere troppo. Se cambiamo punto di osservazione e consideriamo gli obiettivi presenti nella famosa strategia citata qualche riga sopra, allora va tutto bene, stiamo tranquilli. I numeri li stiamo raggiungendo senza troppa fatica (lo si vede anche dalla dashboard avanzamentodigitale.italia.it). Anzi, abbiamo già raggiunto e superato l’obiettivo del 2020 sul numero di amministrazioni che pubblicano in Open Data. Bello, no?

Fonte: https://avanzamentodigitale.italia.it/it/progetto/open-data#

Non del tutto: i numeri che crescono piacciono molto ai politici e ai Dirigenti, ma ai cittadini importano poco, conta di più trovare quello che stanno cercando e che i dati siano aggiornati e mantenuti, tutto il resto è noia. Se proviamo a parlare dell’esperienza utente del sito dati.gov.it (uno degli elementi più visibili degli Open Government Data italiani) non va molto meglio, come ha raccontato Andrea D’Eramo qualche tempo fa. Se il centro (le istituzioni centrali) non se la passa per niente bene, la periferia (regioni, province e comuni) in alcuni casi pubblica Open Data che proprio non lo sono (ovvero con licenze del tutto errate, ancora nel 2018!!!)…

Link al thread su Twitter

La realtà è che ci stiamo giocando la prima impressione delle persone (e delle aziende) che non hanno tempo e voglia di impelagarsi in tutto questo: è sufficiente che abbiano una brutta esperienza nel loro primo punto di accesso per fargli credere che tutti gli Open Data e tutte le Amministrazioni siano così.

Oltre al danno, la beffa. Il mancato aggiornamento di dati.gov.it ha generato un finto passo in avanti dell’Italia nelle classifiche internazionali (penso al DESI 2018) e sembra che nessun giornalista abbia approfondito particolarmente la questione (che è sicuramente piuttosto complicata), dato che i comunicati stampa istituzionali sono stati rilanciati da diverse testate come se nulla fosse.

Uno degli articoli che hanno parlato del DESI 2018 — Fonte: http://www.ingenium-magazine.it/desi-2018-si-salvano-gli-open-data/

Mi piacerebbe essere smentito o corretto se ho perso pezzi nel ragionamento che avevo fatto in una discussione di Spaghetti Open Data:

[…] il DESI 2017 era basato sui dati del 2016, il DESI 2018 è basato sui dati del 2017. Quale fonte usa il contatore? European Data Portal e — di conseguenza — dati.gov.it. Come ricordavo ormai quasi un anno fa, dati.gov.it non è stato aggiornato da fine settembre 2015 ai primi di marzo 2017, quindi il dato quantitativo considerato nel DESI 2017 mostrava una situazione più infelice di quello che era in realtà (perché non c’era un dato ufficiale aggregato che fosse aggiornato). L’indicazione quantitativa del 2017 è (almeno parzialmente) un recupero fittizio, frutto di quel ritardo

In realtà, il segnale che c’era qualcosa di strano era evidente: se si guarda il grafico dell’andamento dello score Open Data (5a5) nel corso degli anni, si scopre che nel 2018 schizza letteralmente verso l’alto senza alcun motivo apparente:

Un articolo del 28 maggio 2018 riporta una citazione di Antonio Samaritani (l’allora direttore generale di AgID) sulla quale vale la pena soffermarsi:

Siamo all’ottavo posto in Europa, un balzo avanti “che ha qualcosa di misterioso”, per quanto è stato importante, è arrivato a dire a ForumPa Antonio Samaritani, direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Comunque sia, è stato certo il progresso più importante tra quei (pochi) registrati dall’Italia, nel Desi. A maggior ragione significativo perché avvenuto in un quadro di sostanziale, negativo, stallo.

Peccato che non avessimo di fronte “qualcosa di misterioso”, bastava analizzare la natura della misurazione dell’indice. Il 2018 è stato caratterizzato da un’altalena mediatica in merito agli Open Data: prima tutti contenti, dato che le classifiche internazionali ci hanno visto migliorare, poi la doccia fredda, dopo l’estate, tra fine settembre ed ottobre 2018 quando è stato tutto un susseguirsi di notizie molto più negative rispetto a quelle precedenti. Vale la pena soffermarsi su una riflessione di Vincenzo Patruno e su un confronto interessante in lista Spaghetti Open Data per avere un’idea di massima. Quello che è certo è che c’è un sacco di confusione in giro (e non solo nei giornalisti che riprendono i comunicati stampa).

Un elemento ancor più interessante è una delle misurazioni presenti in https://avanzamentodigitale.italia.it/it/progetto/open-data, ossia quella che indica il numero di dataset per tipologia di amministrazione. Stranamente, la maggior parte di quelli pubblicati provengono dai comuni (e rappresentano il 58% del totale).

Quello che manca da questo quadro iniziale dovrebbe essere evidente: da nessuna parte è indicato come tener conto delle richieste di dati dei cittadini. Tanti obiettivi quantitativi, poca volontà di rendere prioritari dataset interessanti per chi ne fa richiesta. C’è uno scollamento molto ampio tra:

  • l’esigenza della PA di misurare (e di impegnarsi nell’attività di) quello che serve per scalare qualche posizione nelle classifiche internazionali o per meri obiettivi quantitativi fissati anni fa;
  • le richieste di dati da parte di cittadini attivi e civic hacker, che hanno bisogno di avere quello che da anni si aspettano e non riescono ad ottenere, se non a macchia di leopardo e con tempistiche del tutto casuali.

Ora con il Piano Triennale la gestione di dati.gov.it dovrebbe essere migliorata, giusto? La risposta è ‘nì’. Nel Piano Triennale sono presenti alcune azioni relative a dati.gov.it, tra cui l’azione 24, che si intitola ‘evoluzione dati.gov.it’:

A quanto pare, è stata pure completata! Dovrebbe esserci una nuova versione di dati.gov.it proprio in Developers.Italia che, forse, è in procinto di sostituire quella che vediamo in dati.gov.it. In effetti, nella pagina ‘Sviluppatori’ in dati.gov.it c’è il riferimento al progetto e rimanda alla sezione dedicata su Developers.Italia — https://developers.italia.it/it/datigov/. Vediamo se è di buon auspicio.

Osservando la parte in basso della pagina (https://developers.italia.it/it/datigov/) e navigando i link citati, si scopre che:

  • effettivamente esiste un repository ‘evoluzione dati.gov.it’, che corrisponde ad un repository GitHub vuoto — ovvero senza alcun codice sorgente — tranne che per un file readme (dove c’è il link al sorgente della versione in produzione, che non è la versione di dati.gov.it corrispondente all’azione 24).
  • purtroppo la roadmap di sviluppo agile del portale nazionale dei dati aperti è del tutto mancante, fin da quando è stato lanciato il repository in questione ad aprile 2017. Il link a questa presunta roadmap di sviluppo si trova in due documenti differenti: alla voce ‘Pianificazione dello sviluppo’ in https://developers.italia.it/it/datigov/ e nel file readme del repository, alla voce ‘stato di avanzamento’, che — nelle intenzioni — immagino avrebbe dovuto essere gestito con una board di progetto integrata al repository GitHub, mai realmente configurata.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: a quale ‘release’ fa riferimento il completamento dell’azione 24 del Piano Triennale? Teniamo la domanda sospesa, forse c’è qualcosa nel DAF, dato che è questo lo sviluppo a cui tendere (si tratta di un ripensamento di tutta la strategia legata alla gestione del dato pubblico). Saremo fortunati?

Il DAF — Piattaforma Nazionale Dati — è uno dei pilastri infrastrutturali a cui sta lavorando il Team per la Trasformazione Digitale. Uno strumento tecnologico portentoso che dovrebbe migliorare l’intero flusso di pubblicazione dei dati pubblici (e non solo Open), che, però, non si riesce a capire a che punto si trovi del suo sviluppo. Le roadmap presenti nei luoghi gestiti dal Team non sono aggiornate o non entrano più nel dettaglio (e ancora non si sa chi dovrà gestirlo dopo il termine dell’esistenza del Team per la Trasformazione Digitale, a settembre 2019). Anche se, a differenza di dati.gov.it, le roadmap sono presenti e a diversi livelli di dettaglio, il quadro finale è piuttosto desolante. Se torniamo a chiederci dove sia la versione di dati.gov.it a cui si fa riferimento nell’azione 24, forse ho trovato una mezza risposta: ci sono alcuni tasselli di quell’azione che sono sparsi in mezzo al guano della governance tra lo sviluppo del DAF e il cambio di consegne tra l’attuale versione in produzione di dati.gov.it e l’attore che dovrà gestire il DAF quando uscirà dalla fase sperimentale. Questo è quello che si capisce dalle risposte di Giorgia Lodi presenti nel famoso thread su DCAT-AP_IT e il comune di Palermo (in particolare le risposte del 18 luglio 2018, del 25 e 26 settembre, su cui ancora oggi non sono emersi ulteriori dettagli come promesso, ma che fanno riferimenti alla famosa azione 24 già citata qui sopra).

Quindi esiste un catalogo CKAN aggiornato — anche se ancora prototipale e in test — in un indirizzo abbastanza nascosto (se non ai pochi addetti ai lavori che seguono tutte queste discussioni) che non viene in alcun modo citato direttamente da dati.gov.it, nemmeno dalla pagina dedicata agli sviluppatori.

Il futuro di dati.gov.it a livello architetturale secondo le linee guida del patrimonio informativo pubblico

Dopo tutto questo giro per tecnici e smanettoni, la persona media si sarebbe persa per strada da un bel pezzo. Facciamo l’ipotesi che sia arrivata fino a qui, che si scuota e non si arrenda perché abituata alla burocrazia italiana. A questo punto, sceglie di ripartire da un punto diverso. Di sicuro, non vuole più saperne di strumenti da usare per cercare cose che non trova, non vuole certo incastrarsi nei meandri di tecnologie che non comprende. Ma, forse, c’è qualcosa. Le parole ‘agenda’ e ‘paniere’. Un’azione del piano triennale (la 27) appena sotto la 24 appena vista, le citava entrambe:

Forse quei dati che si stanno cercando sono in procinto di essere rilasciati, secondo quanto definito dal paniere, che funge da agenda di rilascio dei dati (il paniere ha preso il posto dell’agenda come strumento di programmazione degli Open Government Data, ma in quanti lo sanno?).

Slide 17 e 18 del webinar del 9/10/2018 a cui ha partecipato anche Gabriele Ciasullo (AgID)

In effetti il paniere si trova anche in dati.gov.it, nella sezione “Monitoraggio”, con un link che manda ad una sottopagina, dove il linguaggio si fa molto amministrativo e poco comprensibile. Il paniere riesce a rispondere alle domande: “qual è il calendario di pubblicazione degli Open Data da parte delle pubbliche amministrazioni? Quali dati pensano di pubblicare nel breve periodo?” Forse sì. La risposta è all’interno di un foglio elettronico (il paniere dinamico dei dataset, pare quasi una formula magica :) ), che risulta difficile da leggere per chi cerca un dato e che è impostato completamente per una rendicontazione amministrativa. Uno strumento discutibile che, soprattutto, non offre alcuna garanzia. Se qualche amministrazione dichiara di rilasciare un certo dataset, non ha alcun obbligo a farlo. Non pare esserci alcun processo di gestione e integrazione nel processo di rilascio della domanda di dati da parte di noi cittadini. Cosa accade se mi interessa un dataset che è presente nel paniere e che per i due anni oggetto di monitoraggio (al momento, il 2016 e il 2017) è stato segnato come ND — Non disponibile? La risposta che conosco è soltanto questa: serve fare pressione, serve far emergere la domanda di quel dato attraverso i media, serve far capire che quel dato ci importa davvero (i retroscena del perchè dico questo sono in questo scambio con Giorgia Lodi, datato 9 maggio 2017).

Ma, a questo punto, il paniere è utile a noi cittadini, se togliamo per un attimo dalla scena l’adempimento del processo amministrativo? Probabilmente no, non in questa forma. Purtroppo, molti consigli in tal senso non sono stati ancora presi in alcuna considerazione. Citiamo ancora una riflessione di Vincenzo Patruno del 27 luglio 2017:

Non sembra che siamo migliorati molto rispetto alla situazione descritta a metà 2017. Se volete sapere cosa penso del rilascio del paniere di quest’anno, ne avevo parlato in una discussione in lista Spaghetti Open Data il 31 luglio 2018.

La debolezza nella governance è più evidente che mai: si può trovare un’altra raccomandazione del Team nel report sui due anni di attività che citavo poco sopra, quando si parla del futuro dello sviluppo del DAF, la Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Alla pagina 33, si ricorda che il successo del DAF dipende strettamente dall’obbligo di condivisione dei dati (in questo caso non solo Open, ma nel senso più ampio di patrimonio informativo pubblico) di cui sono titolari le singole amministrazioni.

Pagina 33 del rapporto sui due anni dell’attività svolta dal Team per la Trasformazione Digitale

Ci avviciniamo alla conclusione: cosa rimane al povero cittadino che ha bisogno di Open Data che non riesce a trovare? Può utilizzare una richiesta di accesso civico generalizzato (FOIA), agevolato da strumenti creati da bravissimi civic hacker come Giovanni Pirrotta e Giuseppe Ragusa? Certo che sì!

2. La società civile

Prima di tutto, un aiutino: se ci sono dubbi nel capire di cosa diamine si parla quando si nomina la società civile, questo pezzo capita davvero a fagiolo, lo consiglio. Secondo Wikipedia, per società civile si intende

un’aggregazione di cittadini riferita alla loro convivenza in uno Stato. L’aggettivo “civile”, contrapposto a barbaro, sottintende il raggiungimento di un alto grado di civiltà materiale o spirituale. Il termine “civile” deriva dal latino civilis, derivato di civis (cittadino).

A questo punto, al cittadino/attivista potrebbe venire in mente di sfruttare forum.italia.it, quel canale lanciato dal Team per la Trasformazione Digitale per dialogare con l’amministrazione. Perché non chiedere direttamente conto degli Open Data di cui ha bisogno da lì? In più, gli viene in mente che una piccola fetta di società civile sta già partecipando e chiedendo un sacco di cose e, magari, potrebbe farsi aiutare. Così inizia a navigare nelle due sezioni dedicate ai dati, quella all’interno del Piano Triennale e quella riferita al DAF. Decide di non soffermarsi troppo su alcune discussioni lasciate curiosamente senza alcuna risposta o senza più feedback da parte istituzionale (come quella di Andrea Borruso su domande relative al paniere dinamico dei dataset di fine settembre 2018 o quella relativa alla pubblicazione di ANNCSU — Archivio Nazionale dei Numeri Civici delle Strade Urbane, thread aperto il 12 dicembre 2017 e senza alcun aggiornamento sulla pubblicazione del dato da maggio 2017). Ma rimane un pochino scoraggiato: stavolta non solo dalle amministrazioni, ma anche dal basso numero di richieste che sono presenti. Come mai questo canale, che il cittadino potrebbe ritenere davvero di grandi potenzialità (si riesce a rendere evidente il peso di ogni richiesta, quante visite genera, quante persone fanno il like sulle singole risposte, etc..), non viene usato di più dagli attivisti? Forse il canale non è così conosciuto, forse… Non sa che rispondere sulle prime. Nemmeno io ho una risposta. Le discussioni non gestite o non risposte di sicuro non aiutano, ma non è soltanto questo.

https://forum.italia.it/c/piano-triennale/dati

Detto questo, non mi dilungo più molto: molti degli atteggiamenti di cui ha parlato Erika nell’ambito più ampio del civic hacking, li ritroviamo anche nell’attivismo legato agli Open Data. Non ho una soluzione per gestirli al meglio, ma saperli riconoscere è il primo passo.

Ne evidenzio uno che ho notato ripresentarsi in molti altri ambiti di recente: il benaltrismo. Riprendo la stessa citazione (da WikiQuote) proposta da Erika per spiegarlo:

Il “benaltrismo” è quell’atteggiamento che rifiuta di affrontare qualsiasi problema poiché ne trova sempre uno più grosso e importante. L’ipotesi che per ogni problema è sempre possibile trovarne uno più grosso e importante ha basi solo induttive e non può essere verificata: ma di fatto non è mai stato trovato un singolo caso che la smentisse. Che sia introdotto da un “Benaltro” o da un più leggendario “Non dimentichiamoci che” si tratta sempre del passaggio da un palo a una frasca, nei casi più giustificabili, da una pagliuzza a una trave. Se non è un modo per sviare un discorso sgradito, è comunque sintomo di nevrosi, di un eterno decentramento del focus, una bulimia del problematico che si può risolvere solo con ben altro che una battuta di spirito.

Ci sono capitato direttamente in un thread (che consiglio di leggere in toto) su Twitter nei giorni dopo il crollo del ponte Morandi e che mi ha fatto riflettere. Tutto era nato da un tweet di Ciro Spataro:

Quel tweet ha generato un flusso di scambi sull’idea di fare un censimento civico sullo stato dei viadotti italiani, partendo dalle foto geolocalizzate dei ponti stessi. Ad un certo punto, siamo stati tirati in ballo anche ErikaMarconato ed io (e abbiamo risposto poi con la newsletter del 15/9/2018 a mente un po’ più fredda):

Non è stato un atto di benaltrismo il rifiuto di dare il mio contributo a quella proposta: è stata la consapevolezza che un censimento civico dei ponti basato su semplici foto e sulla spinta emotiva di quel momento avrebbe generato con ogni probabilità una psicosi collettiva senza alcun fondamento scientifico. Alla fine, non è servito nemmeno uno strumento sviluppato ad hoc per agevolare quel censimento, sono bastati i social di quei giorni a produrre quella psicosi che temevo agli inizi.

Questo si abbina spesso ad un altro problema: nella società civile e tra gli attivisti ognuno rema per sé, ognuno vede un potenziale di aggregazione e di visibilità se è in grado di cavalcare un tema di attualità (come quello sull’emergenza del ponte Morandi). Il che, in sé, non è una cosa negativa, ma porta un ulteriore problema: qual è il bilanciamento tra visibilità personale e interesse civico?

La società civile italiana non si sta organizzando (almeno a livello nazionale), non sta trovando un livello base per cooperare e non sta scegliendo un terreno comune per far fronte sugli Open Data, ma continua a giocare a macchia di leopardo (a differenza di quel terreno comune che era stato FOIA4Italy). Questo soprattutto per alcune differenze territoriali notevoli, sia in termine di politiche di rilascio dei dati, che in termine di partecipazione attiva.

L’impatto delle sue azioni non potrà che essere marginale e su scala territoriale. A tutto questo, si aggiunge un certo modo di fare giornalismo che queste differenze le calca, alla ricerca della storia sensazionalistica.

Magari è solo un mio abbaglio: forse, alla fine, il dato logora chi non ce l’ha.

Di natura sono un tipo ottimista, ma ho voluto mettere nero su bianco alcune cose che, oltre ad avermi martellato negli ultimi due anni, corrono il rischio di ripetersi ad libitum. Il mio lato più ottimista è più evidente se leggiamo anche le mie soluzioni: le direzioni verso cui muoversi, di cui ho parlato nel post sul trogolo degli Open Data.

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Matteo Brunati
CivicHackingIT

Web addicted, Compliance specialist at @SpazioDati. Member of Spaghetti Open Data, IWA Italy, OK Italy. FSFE Fellow. Working on #CivicHackingIT