FIFA ’98 e l’ars memoriae

Gabriele Anello
Crampi Sportivi
Published in
9 min readNov 10, 2017

«Nostalgia is a seductive liar» («La nostalgia è una bugiarda seduttiva», G. W. Ball)

La tecnologia nuova di zecca, i crolli di muri e la guerra dei Balcani, Tangentopoli. Ma anche il Festivalbar, le pubblicità e soprattutto «Signora mia, com’erano belli i tempi con il floppy disk». L’essere umano è una specie sempre in cerca di ricordi che le tirino su il morale, nonché capaci di distogliere l’attenzione da un presente complicato. E in fondo se il futuro è incerto, il passato è ben fermo dietro di noi: le due ipotesi hanno diramazioni differenti e tendiamo a preferire quella più facile.

Forse è anche per questo che gli anni ’90 sono diventati i nuovi anni ’80 (se ne sono accorti anche gli autori satirici e i comici).

Se una volta rimpiangevano il consumismo esasperato di quell’epoca (che ha poi portato le conseguenze di un’epoca incerta come quella del decennio successivo), ora il rimpianto è per un’epoca nella quale stavamo forse meglio dal punto di vista economico e lavorativo, ma che è stata più incerta di quello che la storia vuole dipingere. Quel decennio iniziato con la tremenda crisi economica in Giappone e conclusasi con la nascita del “popolo di Seattle” in occasione del vertice WTO ’99.

E mentre la post-modernità nasceva di fronte ai nostri occhi, si formavano anche quegli strumenti che vent’anni più tardi si sono ritrovati essere i portabandiera di quell’epoca. Perché Serie A - Operazione Nostalgia è diventata una sorta di scenario alla Jim Jones (i nostri amici di Minuto78 hanno descritto adeguatamente perché si è arrivati a questa deriva), perché Sarabanda è recentemente riapparso e abbiamo pure trovato un nuovo show per Enrico Papi (oltre a lasciargli girare un video musicale di fronte al Colosseo).

Perché sono rispuntate le Nike Silver, perché la trilogia rimasterizzata di Crash Bandicoot ha fatto registrare un boom di ordini (qualcuno sta pensando già alla riedizione di Spyro) e devo a questo punto — per forza di cose — attendermi che il Tamagotchi torni presto a rovinare la nostra esistenza quotidiana.

Conseguenze sparse? C’è anche “Tamagotchi The Movie!”, in psicologia si è trovato un effetto legato al sovra-utilizzo dello strumento e in Italia ovviamente non è mancata l’interrogazione parlamentare (in Regione Lazio) di turno.

A questa scarica nostalgica, però, sento di dover sottrarre un piccolo residuato bellico. Ne ho persino la doppia edizione originale (il disco per pc non lo legge più un computer d’adesso, ma la PS1 è ancora lì), ma non è quello il motivo per cui FIFA ’98: Road To World Cup rappresenta a vent’anni di distanza una sorta di passo avanti nella concezione di un semplice gioco per console, qualunque versione abbiate preferito.

Cosa ha rappresentato FIFA per me

Inutile negarlo: come disse William Faulkner, «La memoria crede prima che la conoscenza ricordi». E non voglio nemmeno pontificare dall’alto: chi vi parla è di fatto cresciuto negli anni ’90. Sono un figlio del finire della Prima Repubblica, la mia infanzia è stata condizionata da Solletico, gli Orsetti del Cuore, i primi posticipi di domenica sera, la comparsa di Mtv in casa mia. Ma sono tutte cose del passato: se tornassero oggi, alla mia età e in un’epoca così diversa, mi sentirei solo a disagio (anche se sulla trilogia di Crash sopracitata ci sono cascato pure io).

Ecco, però, a vent’anni di distanza, un omaggio a FIFA ’98 non solo mi è venuto spontaneo; mi è sembrato persino doveroso. Ci sono tanti giochi che hanno cambiato la nostra visione di un momento di entertainment o che hanno segnato le nostre infanzie/adolescenze. Però nello sport è più difficile, perché le discipline alla fine sono quelle e ci sono solamente modi diversi di interpretarle. A un giocatore occasionale dell’epoca, giocare a Virtua Striker, ISS Pro Evolution Soccer, FIFA o Kickoff non devono esser sembrati così differenti.

Ammetto che l’ho messo solo per vedere chi avesse condiviso questa strana esperienza ludica.

Invece, a chi ha giocato per anni e ha provato più titoli riguardanti il pallone, non c’è dubbio che FIFA ’98 dica qualcosa. È noto come — dall’avvento dell’EA Sports a piedi uniti sulle licenze — alla Konami non basti più esser creativa e stravagante, tra le Master League senza senso e stadi in cui giocatori si sfidano in sella a dei pinguini. Ma c’è stata un’epoca in cui la Konami ha regnato: per arrivarci, ha dovuto rispondere a uno dei titoli più efficaci nella storia dell’intrattenimento ludico a sfondo calcistico.

In fondo, non è un caso che FourFourTwo abbia inserito FIFA ’98 tra i giochi più influenti in questo campo (posizione numero 4, giù dal podio solo perché davanti ci sono dei mostri sacri). E nel microcosmo personale che può rappresentare la mia storia, FIFA ’98 mi ricorda il primo Mondiale che ho visto. Il primo regalo di Natale per il quale mi sono veramente eccitato. E il primo computer che abbia mai toccato a casa mia: non poco.

Cosa ha rappresentato all’epoca

Ma se ognuno di noi può trovare qualcosa di significativo legato a questo titolo, cos’è che rende veramente speciale FIFA ’98? Perché è così celebrato da tutti? Dobbiamo andare per ordine, ricordandoci anche un’altra cosa: oggi è normale avere un gioco legato alla stagione di club e un altro all’Europeo o al Mondiale, ma a fine anni ’90 non era così scontato. Anzi, il ’98 fu il debutto.

Per cui, la combo “FIFA ’98: Road To World Cup + World Cup 98” è stata letale per molti. Una ventata di evoluzione in faccia a dei neofiti, specie se molto giovani.

Uno potrebbe mettere in fila le varie specifiche: il galletto di Francia ’98, i vari impianti, le partite classiche che potevi sbloccare (tipo Uruguay-Argentina del ’30), ma la colonna sonora vince a mani basse.

Ed è proprio da qui che bisogna partire: le musiche. Per World Cup 98 vale un po’ di meno, se non fosse che “Tubthumping” dei Chumbawamba è una canzone che CHIUNQUE al mondo conosce. E pensare che il brano era nato in tono critico, perché in Regno Unito riferirsi al “Tubthumper” è di fatto menzionare qualcuno che salta sul carro dei vincitori con un’idea facilona e vagamente populista (ma c’è anche la cover in piemontese, eh).

Al tempo stesso, FIFA ’98: Road To World Cup ha avuto forse la canzone che più è legata a un gioco calcistico e che al tempo stesso ancora oggi sopravvive, forse anche più di “Tubthumping”. Non vi sarà sfuggito come in alcuni impianti di Serie A — ma non solo — al gol della squadra di casa parta il famoso “woo-hoo” di Damon Albarn. Quest’ultimo non è altro che l’ex leader dei Blur e la canzone è “Song 2”.

Fermo restando che chiunque abbia giocato a FIFA ’98 in forma quasi ipnotica — partendo dalle qualificazioni Mondiali con le Vanautu e arrivando a giocarsi la finale di Coppa del Mondo contro il Brasile — non può non aver apprezzato l’atmosfera catatonica che creava il combinato del gioco con i brani tipici dei Crystal Method e quello degli Electric Skychurch, il pezzo dei Blur rappresentava il must musicale di quell’edizione. E non era neanche un must casuale, perché il Brit Pop e la faida con gli Oasis era fresca negli anni ’90.

La canzone dura 2’02” e all’inizio Damon Albarn disse di averla chiamata così perché «non gli abbiamo ancora trovato un titolo». A un certo punto, i Blur pensavano che non l’avrebbero neanche inclusa nell’album del 1997, perché la canzone sembrava di un minutaggio troppo breve: fu l’etichetta americana Virgin a spingere perché il brano ci fosse. Meglio così.

It wasn’t easy, but nothing is.

Oltre le musiche, va ricordata la copertina. Nulla di particolarmente speciale, ma forse è la prima volta in cui FIFA si scopre al mondo con una volontà di allargarsi al mondo. Nel primo titolo con la denominazione ufficiale — quello del ’95 –, i nomi dei calciatori erano fittizi. In quello successivo, non c’era comunque un riconoscibile uomo-copertina, mentre dal ’98 c’è una sorta di passaggio di consegne: da una parte i testimonial sono le star del presente (come Paolo Maldini o Andreas Möller), dall’altra quelle del futuro (perché ormai David Beckham e Raúl González Blanco stanno per decollare).

E se il campo indoor era già stato introdotto nell’anno precedente (e oggi c’è FIFA Street a colmare questo vuoto), iniziano a sentirsi le voci di Massimo Caputi e Giacomo Bulgarelli, un tandem ricordato per le sue presenze su Telemontecarlo (un tempo TMC, oggi La7), ma soprattutto per il legame con il franchise di EA Sports. In più, c’era una vasta presenza di leghe ufficiali, perché ben 11 campionati avevano la licenza: non erano pochi per l’epoca.

Non potendo giocarci più sul pc (non ho processori vecchi e i nuovi sistemi fan fatica a prendere il vecchio cd del ’97), ho preso in mano la mia fedele Playstation 1 e ho inserito il gioco per vedere che effetto fa giocarlo a vent’anni di distanza.

Dopo essersi esaltati per l’intro, viene spontaneo farsi un giro per la schermata principale: ammetto che la grafica del pc mi piaceva molto di più di quella della PS1, con quel viola e le frecce gialle che s’illuminavano al tuo passaggio. La possibilità di allenarsi o di tirare una lotteria dei rigori era cosa piuttosto basilare, ma rappresentava comunque un passo in avanti. In più, se non c’era un joystick — all’epoca non proprio il primo strumento a disposizione in un pc — potevi sfidare il tuo amico: tastiera versus… mouse.

C’era anche la modifica dei giocatori, che nascondeva anche un’altra grande particolarità del gioco: i trucchi.

Da metà anni 2000 in poi, i trucchi nei titoli di calcio sono diventati come gli scherzi telefonici o le canzoni dei GemBoy: sì, ti facevano ridere quand‘eri più piccolo, ma col passare del tempo non sono socialmente ben accettati. Stessa cosa per i giochi di calcio: se la Konami è giapponese — terra dove la programmazione viene accompagnata anche dalle stravaganze, che sono all’ordine del giorno –, forse per la EA Sports da un certo punto in poi non è stato più accettabile inserire i famosi cheats per i propri titoli.

Quelli del ’98 avevano una vasta gamma di scelte, specialmente nella versione pc. Bastava sostituire in “modifica giocatore” il nome reale con uno fittizio:

  • EAC ROCKS — Le teste dei giocatori diventavano enormi;
  • JOHNNY ATOMIC — C’era la possibilità di tuffarsi premendo due volte il tasto E sulla tastiera;
  • DOHDOHDOH — La presunta “palla impazzita”, con modalità cross alla Makoto Soda;
  • URLOFUS — Si formavano dei muri invisibili attorno al campo: di fatto la palla non usciva mai e consentiva partite infinite;
  • XPLAY — La “Patata calda”: un timer da 30 secondi determinava al suo scadere la caduta dell’intera squadra in possesso di palla;
  • FOOTY — Modalità “mosse stupide”… sempre premendo due volte il tasto E, partivano esultanze a caso.
Il meglio lo raggiunse FIFA 2000, che aveva la modalità Ufo: un’astronave si catapultava sul campo e di fatto rapiva i giocatori, manco fosse l’ultimo film de “The Jackal”.

A questo, bisogna aggiungere l’epoca calcistica rappresentata in quel titolo. La Serie A 1997–98 vedeva ancora delle realtà che ora in Italia sono finite in altri campionati — Vicenza, Piacenza o il Parma di fine anni ’90 –, così come c’erano in campo dei giocatori che forse non avremmo mai immaginato in un gioco. Dalla nazionale di Tonga a quella delle Antille Olandesi, passando per la strana possibilità di far uscire Zetti dalla propria porta per segnare in un campo indoor (ipotesi subita beffardamente in una partita alla PS1 quand’ero alle elementari).

Oltre alla possibilità di giocare con le squadre del campionato americano — all’epoca la MLS forse era una sorta di leggenda metropolitana in Europa, nonostante il Mondiale appena ospitato dagli States — e… il campionato malese. Sì, proprio loro, con una squadra che sembra il nome di un paesino dell’entroterra sardo, ma in realtà era presa dalla lega locale. Oggi la Malaysia Super League non è licenziata in FIFA 18, il che è tutto dire (visto che c’è persino la Saudi Premier League).

Mentre nel 2017 si vaticina una possibile guerra con Kim Jong-un, nel ’98 la EA Sports prendeva nota. E l’ispirazione non veniva da un impianto qualsiasi, ma proprio da quello di Pyongyang, perché nel Sud della Corea non esiste un impianto da 100,000 persone (il Seoul Olympic Stadium ha quasi 70,000 posti). Invece, c’è il Rungrado 1st of May Stadium, 114 mila posti a disposizione: inutile dire che sia attualmente l’impianto calcistico che può ospitare il maggior numero di persone.

Cosa rappresenta oggi

Ma cosa rappresenta oggi questo titolo, oltre che un enorme passo in avanti per i giocatori degli anni ’90 e un glorioso ricordo di vent’anni fa? Devo dire la verità: null’altro. Già, perché avviata la Playstation, ho spento dopo mezz’ora. Avevo fatto un paio di partite, rivisto il campo indoor, pianto virtualmente di fronte a Patrik Berger e testimoniato quanto di cui avevo bisogno per il pezzo. Fatto questo (e tentato l’azzardo dei cheats: non è riuscito), c’era poco altro da fare.

Siamo arrivati a un livello di evoluzione per il quale il passato è destinato a rimanere tale: bellissimo, probabilmente più facile, affascinante, ma decisamente meno evoluto. Perché eravamo più giovani, ma anche meno dotati dal punto di vista tecnologico. Nessuno cambierebbe quanto offre FIFA 18 con il titolo del ’98, così come forse nessuno scambierebbe Football Manager 2018 con quello del 2001–02 (anche se la tentazione di avere Maxim Tsigalko nuovamente tra le mani è tipo la droga, quello è vero).

Perché sulla nostalgia bisogna dire una cosa e non c’è neanche bisogno di pescare da chissà quale illustre citazione. Prendo in prestito una frase che ho sentito da adolescente, qualche anno più tardi, in un famoso anime: «Purtroppo non si può tornare nel passato, devi fartene una ragione. Anche se è stato il periodo più bello della nostra vita… il passato è passato». E in fondo è anche giusto così.

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Gabriele Anello
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