parte 3

Rossana de Michele
designyourlife stories
4 min readJun 20, 2015

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Le confessioni di una giovane startupper: Ux Design

Siamo cinque socie più Ciro. Sempre che Paolo recuperi l’uso dell’auto, per entrare in possesso del nostro algoritmo: Siamo una startup innovativa in Italia.

di Rossana De Michele

“Come si dice sgabuzzino in inglese?”, “Box Room” ci conferma il nostro confinante di tavolo, quello barbuto che parla tutto il giorno al telefono in inglese con le cuffiette da call center in testa. Il bello di lavorare tutti insieme è questo: se hai un dubbio, bisogno di confrontarti, devi sfogarti, puoi sempre provare a molestare un vicino di scrivania inerme, magari cogliendolo di sorpresa mentre è sul punto di chiudere l’affare del mese: l’affitto di un vano di 18 mq centralissimo e con soffitti altissimi, praticamente un vano per ascensore, come pied a terre di lusso. Perchè noi del coworking non ci arrendiamo mai, nemmeno di fronte all’evidenza. Non ci facciamo spaventare da un monolocale più alto che largo, noi, e trasformiamo i problemi in vantaggi, e un vano sproporzionato in un miniloft accessoriatissimo e soppalcabilissimo.

Ciro scrive numeri satanici alla lavagna. “Perchè hai scritto 9999 e poi 6666?”, chiede Veronica. “Sono i numeri dei codici colore”, risponde lui mentre completa la sua classifica rigorosamente in ordine di consumo di batteria. Light salmon pink, Enjoyable yellow, ogniuna di queste nuances è capace di scaricarti l’i phone ancora prima che tu sia riuscito a inserire la password. In questi giorni il problema della nostra startup innovativa che assolutamente dobbiamo riuscire a trasformare in vantaggio è che il logo è perfetto sul bianco mentre su qualunque altro sfondo perde di memorabilità. Ma lo sfondo bianco per la versione mobile è sconsigliato, succhia energia rapidamente lasciandoti in braghe di tela mentre sei nel bel mezzo di una polemica social che ti ha preso di brutto e la prima presa di corrente è a tre fermate di metropolitana e un paio di Km a piedi.

“Tocca fare lo sfondo antracite e il logo grigio topo”, dice Ciro continuando a scarabocchiare forsennatamente cifre con il gessetto. Non immaginavamo il carnevale di Rio ma nemmeno di dover scegliere colori plumbei per gli elementi di design della nostra piattaforma. Veronica guarda Ciro perplessa, e si rasserena solo quando vede di fianco ai numeri la nuova proposta di logo che tiene conto di uno dei suoi desiderata: la nuvoletta. Anche se infilata in una tazza ricorda più la schiuma di un cappuccino. “Che bello…”, dice sospirando senza pensare come me che una volta colorata grigio topo la nuvola vaporosa sembrerà neve sporca o un cirro pieno di grandine più che la nuvoletta candida, paffuta e morbida su cui si buttava Heidi dopo aver ricambiato il saluto delle caprette.

Per Valentina la nostra tazza, ora che è grigia, nella versione vista dall’alto sembra una lente d’ingrandimento. Peccato, a me e Sibilla era piaciuta molto. L’avevamo trovata adatta ad essere utilizzata come icona della app. Ma tanto, come ci hanno appena spiegato a un corso di UX design, adesso il tuo logo viene preso dalle altre piattaforme, centrifugato fino a farlo infeltrire e scolorire, e poi mostrato, per modo di dire, in una stringa slim che più slim non si può, come un fantasma sfocato, in un accenno di sovrapposizioni di velature di grigio, quel tanto che basta a ricordare le sembianze dell’icona che fu, senza nemmeno citare la sinfonia di colori e dettagli che tu avevi inserito con la maestria di un miniatore di capoversi benedettino che poi una volta ridimensionati nel quadratino da APP sullo smartphone effettivamente ricordavano tanto una zanzara spiaccicata.

Niente più miniature che sembrano zanzare spiaccicate o elefanti nella pancia di un serpente che sembrano cappelli, dunque, quella che Ciro vuol convincerci ad utilizzare si chiama “estetica material”, in poche parole l’”estetica flat”, a cui noi tutti ormai siamo abituati, quella bidimensionale e piatta, con l’aggiunta di OMBRE per rendere l’idea delle sovrapposizioni di elementi, sottrazione di chroma e smarmellamento di sfumature in tutti i toni del grigio un po’ qua e un po’ la. Una tristezza…. Una mestizia…. Con la nuova generazione di batterie e l’estetica “material” un sito può essere visitabile da uno “user” dal giorno del suo rilascio e per l’eternità senza doversi attaccare mai più alla corrente. Ma per una che è stata appena classificata “Bohémien” questo limbo appena accennato color della cenere è una condanna senza appello. Certamente elegante, ma senza nessuna speranza di redenzione.

“Non ci dimentichiamo che ci devono utilizzare anche in Sicilia” dice poi Ciro poggiando il gesseto ridotto a un mozzicone sul tavolo lasciandoci intravedere all’improvviso finalmente il mare, il sole e il cielo blu. “Come fa uno che vive a Catania a trovarsi a proprio agio in un ambiente così austero e severo?”

Al diavolo le batterie scariche! Rimettiamo le nuance al logo, al grido di viva la Sicilia e i siciliani! Che per trovarsi bene hanno bisogno di colori, di fantasia, di sogno e di luce!

Avremo una piattaforma luminosa ma non sgargiante, dai colori accoglienti e rassicuranti, un logo minimal ma pieno di nuvole spumose e declinato in tutte le prospettive esistenti per tutti gli utilizzi possibili. Perchè nessuno USER abbia a sentirsi triste e cupo quando si accasa da noi. Perchè il senso di accoglienza e il buonsenso ci guidino più dei trend internazionali, ricordando sempre che quello che conta davvero per noi è che muoversi risulti intuitivo, che i contenuti siano sempre a portata di mano e il clima conviviale di quando arrivi in un posto e ti senti subito a tuo agio. Come a casa.

Leggi anche:
Le confessioni segrete di una giovane startupper:
L’algoritmo — parte 1
I trucchi dello storytelling — parte 2

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