Memorie di un aut(o)editore / 2

Ancora sul self-publishing in Italia, tra passato, presente e futuro — SECONDA PARTE

Mirko Visentin
Storie di libri

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Un self-publisher nella Venezia del XVII secolo

Frontespizio di una “canzonetta” di Paolo Briti, «il cieco da Venezia».

Il mio rapporto personale con l’autoeditoria — in buona parte già sondato nella prima parte di queste “Memorie” — nasce in realtà ben prima del 2003, e più precisamente alla fine degli anni ’90.

Il mio relatore di tesi, il compianto prof. Giorgio Padoan, docente di Letteratura Italiana presso la facoltà di Lettere dell’Università di Venezia, mi aveva indirizzato verso l’approfondimento biografico e bibliografico di un certo Paolo Briti, un cantore di strada attivo nella Venezia della prima metà del XVII secolo, autore di numerose canzonette in dialetto giunte fino a noi grazie al lavoro di conservazione di alcune biblioteche pubbliche e private, ma soprattutto perché il «cieco da Venezia» (questo il suo nome d’arte) oltre a declamare e cantare per campi e campielli della città lagunare i suoi testi, li aveva fatti ripetutamente stampare, in fogli sciolti, su sua iniziativa e a sue spese, per poi rivenderli alla fine delle sue performance canore.

Un self-publisher nella Venezia del XVII secolo, insomma. Ma la cosa non deve stupire, perché questa era la normalità in un periodo in cui la figura dell’editore come la conosciamo noi oggi era ancora di là da venire, mentre le città — e Venezia in primis, anche dopo aver perso il primato di capitale della stampa conquistato tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento — pullulavano di tipografi che raramente erano anche editori, e se lo erano lo erano non di autori contemporanei ma di classici.

Lo stesso Aldo Manuzio — il padre dell’editoria italiana — quando si trattava di pubblicare un’opera di autore contemporaneo si faceva pagare. Come presumibilmente successe nel 1499 per l’edizione dell’Hypneorotomachia Poliphili di Francesco Colonna — il capolavoro assoluto della stampa rinascimentale — o pochi anni prima, nel 1496, per l’edizione del De Aetna del giovane Pietro Bembo — il padre della lingua italiana — per il quale Manuzio fece incidere al suo collaboratore Francesco Griffo da Bologna — il padre del type design moderno… — quelle forme così perfette e così moderne da fungere da modello al carattere più famoso della storia della tipografia mondiale: il Garamond.

È impressionante quanto importante possa rivelarsi per la nostra storia (culturale, artistica, industriale) un’autopubblicazione…

Da mi mi sóeo…

Logo delle edizioni MiMiSol.

Come ho già accennato, gli ultimi quattro titoli usciti sotto il marchio Auteditori vennero pubblicati nel marzo del 2006 con tanto di ISBN e distribuzione in libreria. Per far questo, o quanto meno per facilitare il rapporto commerciale con distributore e librerie, bisognava che i libri risultassero pubblicati da un editore. Un’imposizione che, ancora all’epoca, limitava moltissimo il proliferare dell’autoeditoria in Italia (a vantaggio, ovviamente, delle edizioni a pagamento), a differenza per esempio di altri paesi europei o degli Stati Uniti, in cui un codice ISBN non si nega a nessuno, men che meno ad un privato cittadino.

La questione fu comunque risolta facilmente. Nel 2004, infatti, dopo esser rientrato dalla Spagna — dove avevo lavorato per 6 mesi in una casa editrice piccola ma molto attiva, occupandomi un po’ di tutto — con l’intenzione di continuare a lavorare in proprio nel mondo dell’editoria, oltre che del web e della comunicazione grafica, aprii partita iva e mi gettai con molta passione — e molta incoscienza… — nel settore dei servizi per l’editoria: redazione, grafica, impaginazione.

Quando, all’inizio del 2006, si prospettò quindi la necessità di appoggiarsi ad una casa editrice, la decisione di farmi formalmente io editore dei nostri libri fu naturale. In fin dei conti bastava poco: l’iscrizione alla Camera di commercio come “editore di libri” , l’adempimento di qualche seccatura burocratica ereditata da una legge del 1940 (abrogata, manco farlo a posta, nell’estate di quello stesso 2006…) e la richiesta del tanto agognato prefisso su cui basare i codici ISBN.

La scelta del nome — il cosiddetto “marchio editoriale” — fu paradossalmente un po’ più complessa. Avendo io in animo di fare l’editore anche oltre il progetto Auteditori, utilizzare questo nome per la casa editrice avrebbe potuto essere limitativo. Inoltre, non volevamo che Auteditori diventasse una casa editrice, sarebbe stato come snaturare le sue origini. Decidemmo quindi di comune accordo di considerare Auteditori come il nome di una collana o di un progetto di partnership editoriale.

Ma per la casa editrice? Messo da parte il banale “Mirko Visentin Editore”, la scelta cadde su un nome di fantasia che anni addietro avevo usato per “marchiare” delle edizioncine a tiratura limitatissima, stampate e rilegate in casa, delle mie poesie in dialetto: MiMiSol. Un nome che ai più fa venire in mente soltanto la musica (a cui, in effetti, sono legato da ben prima che nascesse la passione per la scrittura e l’editoria) ma che a chi conosce il dialetto delle mie parti (a cavallo tra il trevigiano e il veneziano) non può non ricordare la locuzione — tutt’ora in uso — “da mi mi sóeo”, corrispondente in italiano all’ormai desueto “da me solo”.

Come dire: aut(o)editori si può anche nascere, non solo diventare…

… a ti ti sóeo

Alcuni esempi di autoproduzioni che ho curato negli ultimi anni.

L’idea che mi ero messo in testa nel 2004, avviando la mia attività in proprio, era quella di fornire principalmente servizi di tipo editoriale a case editrici. Ma dopo la partecipazione ad un paio di fiere del settore e ad un primo approccio via email a gran parte delle case editrici che avevo trovato elencate nella guida della Fiera del libro di Torino del 2005, mi resi conto che non sarebbe stato così semplice entrare nelle grazie di qualche editore: quelli grossi infatti tendevano ad affidarsi a società strutturate o a ex redattori fatti uscire dalla porta come dipendenti e fatti rientrare dalla finestra come free-lance, quelli piccoli o si arrangiavano o avevano già il loro consulente di fiducia.

C’è poi da dire che in un periodo (i primi anni 2000) in cui internet era ancora sottoutilizzato, e software di comunicazione e condivisione file come Skype o Dropbox erano o in fase di beta testing o ancora da inventare, era quasi obbligatorio — a meno di non voler passare la vita in auto/treno/aereo — cercasi i clienti vicino a casa, con l’handicap per il sottoscritto che in Veneto le realtà editoriali consolidate si contavano sulle punta di una mano (forse anche mezza): Marsilio a Venezia, Neri Pozza a Vicenza, più un paio di realtà neonascenti in quel di Padova (Meridianozero e Alet, vendute entrambe nel 2012 rispettivamente alla bolognese Odoya e alla romana Fandango, tanto per dare un’idea di come stanno le cose per i piccoli editori “di progetto” — come li chiamava Giulio Einaudi…).

D’altro canto l’idea di fare l’impaginatore a cottimo, seppure per editori che costituivano da sempre dei punti di riferimento personale, tipo Einaudi o Feltrinelli, non è che mi allettasse più di tanto. Per sbarcare il lunario avevo infatti collaborato per alcuni mesi con una società di service editoriale di Padova che realizzava libri di testo per grossi nomi, tipo Le Monier, e al di là dell’utilissima palestra di impaginazione (seppure fatta su QuarkExpress, quando io avevo già scelto di stare dalla parte di InDesign…) dal punto di vista creativo non mi aveva lasciato nulla, a differenza invece dell’esperienza completa fatta a Barcellona nel 2003 presso le Ediciones Barataria.

In attesa quindi che arrivasse il piccolo editore non-ancora-tale intenzionato a mettermi in mano la direzione grafico-editoriale del suo progetto (cosa che poi avvenne, e in più occasioni, a partire dal 2007) finii per ricavarmi un ruolo di tutto rispetto in una nicchia neanche tanto piccola che si collocava tra gli editori veri e quelli a pagamento; una nicchia un tempo occupata dai piccoli tipografi, spesso abili artigiani del libro, anche dal punto di vista grafico, ma che era stata via via abbandonata da quando il lavoro del tipografo si era sempre più ridotto a quello di stampatore di “esecutivi forniti dal cliente”. Una nicchia che conoscevo bene, molto bene: la nicchia dell’autoproduzione.

Era infatti successo che proprio grazie alla “fama” del progetto Autedutori, ai numerosi reading fatti in giro per il Veneto, alle migliaia di libretti disseminati per biblioteche, librerie, centri culturali, alla presenza sul web etc. iniziarono ad arrivare richieste di autori più o meno giovani, più o meno alle prime armi, interessati ad intraprendere lo stesso nostro percorso, non per forza nella collana “Auteditori” (che comunque avevamo ristretto ai nostri testi, per la realistica impossibilità di allargare il giro degli autori, come ci eravamo prefissati dopo l’uscita degli ultimi quattro titoli, a inizio 2006). Per motivi di tempo, attitudine, professionalità, struttura (ero l’unico in grado di poter emettere fattura…) le richieste le raccolsi io, per svilupparle coadiuvato in alcuni casi da Enrico Lucchese, auteditore della prima ora nonché musicista, col quale, un paio d’anni dopo, avrei dato vita ad un progetto di co-working tutt’ora attivo: lo Spazio Sputnik (ma questa è un’altra storia…).

Le prime autoproduzioni che hanno visto la luce grazie al mio supporto in veste di redattore e book designer risalgono alla prima metà del 2006, e da lì in avanti è stato un susseguirsi costante non solo di libri (dal romanzo alle memorie alla raccolta di poesie al saggio) e di audiolibri (realizzati in stretta sinergia con Enrico) ma soprattutto di autori, quindi di rapporti umani. Alcuni si son fermati al primo libro, altri sono tornati con nuove opere, con qualcuno è nato addirittura un intenso rapporto di amicizia e collaborazione anche oltre la pubblicazione.

Penso a Maurizio Zanon, prolifico poeta veneziano, sperimentatore di formati (dal classico libro all’audiolibro, dalla cartella grafico-poetica alla raccolta di cartoline). Penso a Mario Palenzona, piemontese classe 1927 naturalizzato veneziano, una vita da capitano di lungo corso immortalata nel suo Il tempo e la marea e uno spirito da eterno ragazzo. Penso al suo coetaneo Ambrogio Riccò, bolognese purosangue nonostante una vita trascorsa in quel di Mestre, scopertosi poeta — fine poeta — all’età di ottant’anni e attualmente alle prese con un interessante romanzo breve. Penso a Ramon Trinca, giovane artista milanese, che una mattina di fine marzo è partito da Milano per recarsi in un paesino dell’entroterra veneziano a registrare le sue poesie per un audiolibro — Ma gli occhi chiusi –che ad oggi è uno dei migliori prodotti usciti dallo Spazio Sputnik. Penso a Silvia Crivellaro, autrice del romanzo Più della mia stessa vita, capace di una scrittura sorprendentemente matura nonostante la giovanissima età. Penso a Max Solinas, personaggio eclettico, scultore del legno, già autore di un fortunato libro pubblicato con una casa editrice “vera”, ma che con la sua seconda opera, L’ordine della Lupa, ha voluto riprendere saldamente in mano le redini del proprio lavoro creativo. Penso a Damiano Visentin, autore non solo di deliziose poesie in dialetto ma anche di pizze magistrali, assurto con il suo secondo libro, Muzungu, ad autore tout court delle edizioni MiMiSol. E penso a Grazia Aricò, donna combattiva, autrice tra le altre cose di apprezzatissimi calendari intarsiati di versi ed acquerelli, che ricordo con ancor più affetto in quanto recentemente scomparsa.

Il futuro… di una passione (e di un prodotto)

Frontespizio della raccolta “Backup (1998/2007)” in “I dialettanti 1.0" (Edizioni del Vento, 2007)

Dalle canzoncine del «cieco da Venezia» ai libretti degli Auteditori alle autoproduzioni “per conto terzi”: sembra proprio che l’autoeditoria, il self-publishing, faccia parte del mio patrimonio genetico…

Perché, come ho già detto, aut(o)editore si può nascere – e quando uno nasce tondo è difficile che muoia quadrato…

Per questo motivo, pur avendo avuto la fortuna, nel 2007, di veder pubblicata da un editore “vero” Backup, la mia raccolta di poesie in dialetto — all’interno del volume I dialettanti 1.0 — recentemente ho chiesto di poter avere indietro i diritti di pubblicazione dei miei testi per potermeli ripubblicare assieme ad altri che nel frattempo ho scritto e a quelli che scriverò in futuro, in una sorta di “opera aperta”.

Ma in quale forma? In una forma nuova e insolita, un misto di editoria tradizionale, digitale e multimediale che per ora non ho saputo definire se non col nome di “iperlibro”; una forma che non solo sfrutta le potenzialità del web 2.0 ma ne eredita la filosofia al punto tale da lasciarne traccia nel titolo: Backup 2.0. Vedremo cosa ne verrà fuori…

Qualcuno si chiederà il perché di una scelta così azzardata, specie per un libro — se così si può ancora chiamare — di poesia in dialetto. Ma in fin dei conti a spingere in questa direzione sono le stesse motivazioni che mi hanno portato, anni fa, a cominciare a far politica attraverso un blog, o — di recente — a pubblicare queste memorie su Medium, una delle piattaforme di scrittura più innovative di cui uno scrittore possa attualmente disporre. E lo aveva intuito, con profetico anticipo, Italo Calvino nel lontano 1984 — anno della sua morte — durante una conferenza tenuta alla Fiera del libro di Buenos Aires:

Ma forse in futuro ci saranno altri modi di leggere che noi non sospettiamo. Mi sembra sbagliato deprecare ogni novità tecnologica in nomi dei valori umanistici in pericolo. Penso che ogni nuovo mezzo di comunicazione e diffusione della parola, delle immagini e dei suoni possa riservare sviluppi creativi nuovi, nuove forme d’espressione. E penso che una società più avanzata tecnologicamente potrà essere più ricca di stimoli, di scelte, di possibilità, di strumenti diversi, e avrà sempre più bisogno di leggere, di cose da leggere e di persone che leggano.

Italo Calvino fotografato da Dominique Nabokov a New York City, nella primavera del 1983.

FINE

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Mirko Visentin
Storie di libri

Book/Web/App designer fissato con la storia dell’editoria, della tipografia e della letteratura italiana. Mi occupo di UX e UI design per sputnikweb.it