Cosa non funziona — Control

Persi nell’Ashtray Maze.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
6 min readSep 17, 2019

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Con questo articolo inauguriamo una rubrica del blog in cui cercheremo di concentrarci sui difetti di giochi anche universalmente acclamati e riconosciuti come ottimi. Anche molti capolavori hanno qualcosa che, appunto, non funziona. Vediamone il perché.

Control è forse uno dei giochi multipiattaforma più attesi di questo 2019. Dopo essersi svincolati da Microsoft, i ragazzi di Remedy hanno tirato fuori una nuova proprietà intellettuale che fa dello “strano” il suo punto focale. Avete sicuramente già letto la recensione di questo titolo e non è mia intenzione proporne una alternativa o smontare pezzo per pezzo quella già pubblicata, anche perché penso che Lorenzo abbia fatto un ottimo lavoro nel parlare dei pregi di questa produzione. Io però non ne sono altrettanto entusiasta, pertanto cercherò di chiarire maggiormente quelli che secondo me sono i limiti di questo gioco, i quali, soprattutto nella stampa videoludica nostrana, mi sembra siano stati in larga parte sottovalutati o addirittura ignorati. Nonostante i difetti, Control è comunque una produzione di buona qualità, ma a mio parere non rappresenta ancora il videogioco della definitiva consacrazione di Remedy che da anni aspetto.

Partiamo da quello che dovrebbe essere il punto focale del gioco, cioè la narrazione. È innegabile che Control abbia un background narrativo ben delineato e interessante da scoprire, seppur forse troppo simile a quello della SCP Foundation. Si passa inevitabilmente molto tempo leggendo documenti, guardando video o ascoltando messaggi audio. Risulta meno pesante rispetto a Quantum Break, ma trovo comunque che Remedy continui ad abusare fin troppo di questi metodi per delineare quello che c’è sullo sfondo della storia principale. Già, la storia principale. Dagli sviluppatori finlandesi mi aspettavo molto di più. La trama è sostanzialmente lineare e priva di grosse sorprese: l’Hiss è cattivo e va sconfitto, punto. È difficile aggiungere qualcosa perché Control in sostanza non spiega niente. Salvo qualche eccezione, arriveremo alla fine con un grado di comprensione simile a quello che avevamo all’inizio. Cos’è il Consiglio? Perché il Federal Bureau of Control prende ordini da questa strana entità? Qual è la vera natura della Oldest House? Queste sono solo una manciata delle numerose domande destinate a rimanere senza risposta.

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Noi tutti chi?

Mi rendo conto che l’intenzione sia quella di mantenere uno taglio criptico alla David Lynch, ed è una cosa che non disprezzo affatto, ma si tratta di uno stile che funziona davvero solo se alle domande si affiancano anche delle riposte; non tutto deve essere necessariamente spiegato, ma Control soffre di quella che definirei “sindrome di Lost”: un continuo accavallarsi di misteri e stranezze che finisce per diventare impossibile da districare. In questo senso, un’opera come Alan Wake, pur con i suoi limiti, riusciva a essere più bilanciata.

Anche il cast non mi ha particolarmente entusiasmato: è piuttosto limitato numericamente e le personalità degne di nota sono davvero poche. Sfido chiunque a non stancarsi degli infiniti e inutili monologhi interiori della protagonista durante i dialoghi o del farfugliare del custode finlandese, uno dei classici personaggi che, per qualche ragione ignota, “sanno più di quello che fanno credere”. Ironicamente, i soggetti delineati meglio sono anche quelli con cui non avremo mai la possibilità di interagire direttamente. In più, un personaggio in apparenza rilevante viene brutalmente tagliato dalla storia per poter vendere un contenuto scaricabile che la riguarda. Siamo quasi al livello del DLC di Mass Effect 3 dedicato a Javik.

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Uno dei personaggi più importanti della storia… che non fa niente a parte starsene seduta in una sala conferenze.

Dal punto di vista del gameplay, Control è dannatamente divertente. Certo, armi, poteri e nemici non brillano per varietà o originalità, ma, complice anche un motore fisico avanzatissimo e non fine a sé stesso, i combattimenti offrono spesso momenti di esaltazione non da poco. È uno di quei casi in cui il risultato finale è superiore alla mera somma delle parti. Anche l’esplorazione in stile metroidvania è capace di dare parecchie soddisfazioni. Eppure anche in questi aspetti i problemi non mancano.

Durante l’intero gioco ci viene ripetutamente detto e mostrato come la Oldest House sia un posto in continuo mutamento, che sfugge alle leggi della logica e delle fisica. Questo concetto influenza la giocabilità, dando l’occasione di mettere la protagonista in mezzo a situazioni fuori di testa e mai uguali. Eppure la mia percezione è che questo presupposto non sia stata sfruttato appieno. Ci sono sì varie fasi in cui si rimane davvero stupiti per l’inventiva di Lake e soci (l’Ashtray Maze e il “mondo allo specchio” sono qualcosa di davvero incredibile), ma si passa anche tanto, troppo tempo a girare per generici uffici, laboratori e aree di manutenzione e contenimento. La sensazione è quella di trovarsi davanti a un tipico caso di “vorrei ma non posso”. Sarebbe esagerato e ingiusto parlare di fallimento in questo ambito, ma non riesco a levarmi di dosso un senso di insoddisfazione, di incompletezza.

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Spero vi piacciano i Poets of the Fall.

Control è organizzato in aree disposte su più livelli e separate da caricamenti; l’esplorazione è ampiamente incentivata e richiede l’utilizzo delle indicazioni visive sparse un po’ ovunque (in sostanza dei cartelli). Il giocatore inizialmente si trova un po’ spaesato e capita di perdersi, ma è inevitabile che impari la struttura dei luoghi andando avanti. Purtroppo questo processo di “apprendimento” è reso difficoltoso dalla mappa, davvero pessima. Il problema è che questa pretende di mostrare tutti i piani in due dimensioni e non si può neanche ingrandire, per cui il risultato finale non può che essere confusionario. Buona fortuna per quando vi troverete a cercare di capire a che livello è quel dannato corridoio che porta in una nuova zona. L’impressione è che la mappa sia stata aggiunta all’ultimo momento senza pensarci troppo. Sarebbe stato meglio non averla proprio.

Anche i punti di controllo si rivelano spesso fonte di fastidi. È apprezzabile che abbiano una giustificazione a livello di lore, ma il loro posizionamento è decisamente rivedibile. Control non prevede salvataggi subito prima dei boss o di combattimenti particolarmente importanti, quindi morire vuol dire perdere spesso diversi minuti di gioco, dato che si è costretti a rifare parte del percorso coi nemici che, almeno in alcuni casi, respawnano. Non è un grosso problema durante le missioni principali, il cui livello di difficoltà è abbastanza basso, ma le boss fight secondarie possono risultare parecchio frustranti per questa ragione. A proposito di boss fight, trovo inspiegabile la scelta di inserire quelle più interessanti nelle missioni secondarie, mentre quelle della quest principale sono poche e dimenticabili. Non c’è neanche un boss finale degno di questo nome. In generale, molte delle trovate più interessanti si trovano nelle non troppo numerose quest secondarie. Non è una cattiva idea in assoluto, perché stimola l’esplorazione. Il problema è che sono state inserite anche diverse missioni da fattorino per allungare il brodo. Si sentiva proprio il bisogno di andare a fare le pulizie facendo le veci del custode. Per ottenere cosa poi? Lasciamo perdere. Ci sono pure infinite missioni procedurali a tempo prese di peso da un game as a service, che trovo ancora più inutili e prive di ricompense degne di nota.

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Questa è forse una delle zone in cui è più facile perdersi.

Potrei sembrare troppo duro nei confronti di questo gioco, ma non lo faccio perché odio Remedy o perché mi piace lamentarmi (ok, questo un po’ sì). Lo faccio, viceversa, perché sono fan del team finlandese e sono convinto che possa offrire molto di più a noi videogiocatori. Control è un’opera sicuramente coraggiosa, che riesce a essere diversa da quelle che l’hanno preceduta ma allo stesso tempo ne è la naturale prosecuzione. Eppure a diversi passi in avanti (basta confrontare il gameplay di questo gioco con quello ben più basico di Alan Wake) si affiancano un po’ troppi passi indietro per i miei gusti. Il risultato finale è negativo? Probabilmente no, ma c’è ancora da lavorare.

E possibilmente datemi un maledetto (vero) seguito di Alan Wake.

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