Cronache dal Backlog — Dark Souls 3

La conclusione di un viaggio durato anni, alla scoperta dei due DLC

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
7 min readDec 13, 2019

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Come tantissimi altri, anche io sono rimasto rapito dalla saga Dark Souls, tant'è che il terzo capitolo me lo sono accaparrato non appena uscì per divorarlo il prima possibile (cosa rara per un tirchione come me). Per quanto ne sia stato assolutamente soddisfatto, me la sono presa però con più calma coi suoi DLC, comprandoli una volta scontati e lasciati a maturare in libreria finora. Come il buon vino, anche se invecchiati, sono tutt'altro che andati a male.

Ma andiamo con ordine: per accedere al gelido Ashes of Ariandel e alle profondità di The Ringed City, ho dovuto prima ripercorrere il gioco base, dato che si tratta di contenuti adatti a personaggi di alto livello. Un vincolo che non m’è di certo pesato, anzi. Dark Souls 3 è un vero gioiello, che non smette mai di affascinare con la sua cura artistica e per l’ambientazione, intrattenere con combattimenti ed esplorazione di prim'ordine, offrire grande libertà nello sviluppo dell’avatar… e coccolare con del sano fanservice, omaggiando il suo celebre capostipite.

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Il personaggio subito dopo aver sconfitto gli Abyss Watchers, uno dei miei scontri preferiti.

In particolare m’ha nuovamente conquistato il suo level design, davvero ben strutturato, divertente e stimolante. Come un po’ a tutti, m’è mancata la connessione capillare dell’intero mondo come nel primo Dark Souls, ma in compenso le nuove aree sono ognuna delle piccole Lordran, coi loro avvolgimenti, i falò ricorrenti che fanno da rifugio familiare, i momenti di stupore quando aprendo una porta vi rendete conto di aver appena conquistato una scorciatoia utilissima. Grazie a questo e a una qualità che stavolta si mantiene alta dall'inizio alla fine, l’esplorazione momento per momento è la migliore della serie.
Purtroppo, con Ashes of Ariandel, ho dovuto dire addio a tutto questo.

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Il DLC ha i suoi problemi, ma come impatto visivo funziona eccome.

Il mondo dipinto inizia con ampi spazi aperti, poco stimolanti da navigare e con un gran numero di nemici, che fin troppo spesso si tramuteranno in delle fastidiose gang bang ai vostri danni. Più avanti s’incontra un villaggio, tornando agli abituali passaggi più compatti, ma anche qui qualcosa non va. Raccogliere oggetti e individuare segreti richiede di ripetere più volte le stesse azioni, ad esempio salire sui tetti e lanciarsi in una direzione piuttosto che un’altra, per poi tornare all'unico punto scalabile. Una ridondanza inusuale per il gioco, in contrapposizione a più piacevoli percorsi ad anello. Proseguendo c’è una sorta di “scorciatoia incrementale”, che permette di collegare lo stesso falò a punti sempre più avanzati del nostro sentiero. Un’idea molto carina… ma che lascia straniti quando si verifica che i vari passaggi intermedi sono così vicini tra loro che difficilmente ne useremo più di uno, rendendoli di fatto superflui.

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Una foresta con diverse sentinelle pronte a dare l’allarme. Forse dovevano incentivare un approccio furtivo? Beh, il bisogno morboso di scovare ogni oggetto e la mia ascia pesante non sono d’accordo.

Anche l’altro pilastro del gameplay di Dark Souls, il combattimento, non convince. Oltre alle già citate ammucchiate, poco adatte a un sistema incentrato principalmente sui duelli, c’è un’eccessiva abbondanza di nemici “fuffa”, deboli e immediati, ovvero corvini e mosconi. Hanno chiaramente un ruolo nel raccontarci la storia di quei luoghi, ma s’è perso il solito equilibrio del titolo. Tutt'altro discorso per il boss finale di questo arco: Elfriede offre davvero un ottimo combattimento, lungo ma ben calibrato, con ogni fase che non solo ci sfida ma al contempo ci istruisce in vista delle successive più complesse. Si torna invece a soffrire col boss opzionale, il Custode del Campione, non un granché e con l’aggravante di essere praticamente una serie di normali nemici già visti.

Chiariamoci: sono molto critico perché i From Software mi hanno abituato troppo bene. Ashes of Ariandel non fa certo schifo, si gioca comunque con piacere, la storia e la rappresentazione del mondo dipinto sono pieni di fascino, ed Elfriede è il miglior boss che potete incontrare (fino a questo punto). Però, da un DLC mi aspettavo una cura superiore alla media, non il contrario, assieme magari a qualche novità intrigante. Insomma, mi aspettavo The Ringed City.

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Un groviglio di edifici in rovina che collassano verso le profondità e un angelo pronto a massacrarci: ecco un caloroso benvenuto.

La prima sezione del secondo DLC segna un netto cambio di passo, mettendo sul piatto un livello più lineare ma dal ritmo sostenuto, tra nemici incalzanti e crolli inaspettati. Più di tutto a pressarci sono gli angeli, nemici pronti a bersagliarci di raggi luminosi dall'alto, costringendo a una disperata serie di schivate in cerca d’un riparo. From Software s’è divertita a sbattere il giocatore fuori dalla sua comfort zone, accelerando l’azione e rendendo molto meno semplice controllare ogni centimetro di mappa in cerca d’oggetti. Grazie all'ottimo uso dell’ambiente, ben calibrato per supportare questa sorta di nascondino, mi sono divertito anche io.

Arrivati al cuore della città ad anelli, il level design torna il classico della serie, stavolta riuscendo a proporre un’ottima iterazione della formula. Il groviglio di aree funziona molto bene, con diversi bivi e punti aperti che causano un avvincente spaesamento iniziale, pronto a lasciare il posto a soddisfazione, familiarità e sollievo man mano che apriamo le scorciatoie e completiamo la nostra mappa mentale.

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Ehilà!

Prima ho lodato Ashes of Ariandel per il suo fascino e background, ma The Ringed City lo sorpassa anche in questi termini. Il design degli ambienti e i tanti punto d’osservazione garantiscono un colpo d’occhio sempre notevole. Ci sono anche sequenze d’introduzione dei nemici di grande effetto, come l’apparizione del drago Midir, che ci sorvola per poi appollaiarsi su una rupe sullo sfondo, o il primo cavaliere degli anelli che lentamente entra nel nostro campo visivo salendo una scalinata, incutendo timore e al tempo stesso generando mille domande alla vista dell’enorme Dark Sign sul petto. Esempi di come col giusto estro e pilotando il giocatore coi giusti trucchetti, senza farsi notare, si può lavorare di regia e comporre ottimi risultati anche lasciando la telecamera in mano all'utente.

Oltre all'aspetto estetico, il DLC ha un sacco di cura anche nel background narrativo e come lo racconta attraverso luoghi, abitanti e oggetti, come da marchio di fabbrica. È impressionante la curiosità che nasce scoprendo un nuovo elemento dietro ogni angolo, a volte dal significato chiaro, altre criptico e che forse non sarà mai decifrato, ma che in ogni caso contribuisce all'atmosfera e all'affresco di sensazioni. Non vi parlerò nel dettaglio degli argomenti trattati, sarebbe un discorso troppo lungo e non sono il più adatto, ma se volete un approfondimento potete trovare persone decisamente più competenti di me in materia.

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Non si possono tralasciare le boss fight. I Demoni e Mezzaluce, Lanciere della Chiesa sono rispettivamente una coppia di bestioni onesti che non abusano del vantaggio numerico e un simpatico omaggio a Demon’s Soul. Forse oggi, dopo anni di pvp e invasioni, il secondo non spicca più allo stesso modo, ma ai tempi l’idea di rendere un altro giocatore l’ostacolo da superare direi che era semplicemente geniale. Ma il piatto forte è chiaramente la sfida finale, ovvero Gael. Dopo Elfriede, l’asticella viene nuovamente alzata, con un nemico veloce, dinamico, ricco di mosse, ben caratterizzato e sempre divertente. Fa dimenticare anche il caro vecchio Nameless King.

Forse l’unica sbavatura di The Ringed City è Midir. Gli sviluppatori sbagliano di nuovo il boss opzionale, stavolta a causa di un bilanciamento calibrato abbastanza male. Il drago fa danni altissimi, possiede un’infinità di punti vita e poche mosse, che non sono nemmeno molto stimolanti. Con un po’ di attenzione lo si può prendere in giro, nonostante qualche attacco ad area particolarmente infido (per usare un eufemismo) e colpirlo… e colpirlo… e colpirlo… insomma, un’estenuante lotta di logoramento presto noiosa, dove un piccolo errore significa restarci secchi e dover ricominciare dall'inizio. Personalmente, dopo alcuni tentativi falliti, ho preferito passare oltre.

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Un momento per raccogliere le forze, prima di una dura battaglia.

Attraversati entrambi i DLC, mi era rimasta solo una cosa da fare nel gioco base: il boss finale. Che, sì, dopo Elfriede e Gael risulta un po’ moscio nelle meccaniche, ma emotivamente è la perfetta chiusura alla saga. Attraverso i suoi vari cambi di forma, rivivevo quelli che erano i miei personaggi creati nelle tante giocate sui tre capitoli, ognuno legato ai suoi ricordi, che fossero la tensione della prima esplorazione, la competitività del pvp, o la goliardia di un vincolo auto-imposto per complicarmi la vita. E nell'ultima fase, affiora la nostalgia per Gwyn, uno dei personaggi chiave dell’ambientazione, con la miriade di significati e segreti che si porta dietro.

Di fronte alla prima fiamma, ho voluto fare un gesto simbolico: probabilmente sarebbe stato più azzeccato estinguerla, chiudere questa era che ormai ha dato tutto e forzare un cambiamento, proprio come From Software ha detto addio (per ora) a Dark Souls per dedicarsi ad altro con ottimi risultati. Però di giochi così buoni ne escono davvero pochi, non è facile lasciarli andare… quindi sapete cosa? Resto ancora un po’ a scaldarmi a questo falò.

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Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.