Cronache dal Backlog — ECHO

Tra fantascienza e megastrutture.

Manuel "Odd" Berto
Frequenza Critica
6 min readJul 16, 2021

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Nei decenni la fantascienza ci ha proposto moltissimi contenuti ed è senz’altro un genere in cui la parte creativa può volare. Dopotutto si tratta di inventare, letteralmente, mondi. Alcuni sono familiari, come quello di Alien: Isolation. Presumendo di aver visto il primo film, è tutto molto riconoscibile: la tecnologia, i personaggi, la struttura sociale. Ci sono ovviamente alcune vibrazioni misteriose, ma sono temporanee e funzionali alla costruzione dell’atmosfera. Si prende il tempo che gli serve, ci sono domande su cosa sia accaduto, ma nel momento in cui lo xenomorfo entra in scena non c’è il minimo dubbio sul suo ruolo e su quello dei nostri protagonisti. Il focus si sposta così su come risolvere l’incresciosa situazione.

C’è qualcosa di diverso invece quando non solo la situazione non è chiara, ma anche chi siano i protagonisti e cosa vogliano fare è in discussione, come nel caso del recente Returnal. Siamo fuori dal senso di urgenza e più addentro in quello di esplorazione, osservando lo scenario, tentando di trarne le basilari conclusioni che ci sarebbero utili per essere operativi. Chi siamo, cosa dobbiamo fare, dove, come, perché? Meno sono le risposte a queste domande e più il giocatore è ispirato a tracciare connessioni da solo, rendendo il mondo di gioco più grande, inesplorato.

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Le luci si accendono, le palpebre si alzano, il sonno si interrompe. Un inizio che riconosciamo.

E arriviamo quindi al protagonista di questo articolo: ECHO. Primo, ultimo e unico gioco dello sviluppatore danese Ultra Ultra, quest’opera si muove perlopiù nel secondo filone. L’inizio è invero abbastanza classico: la nostra protagonista, En, si sveglia dal sonno criogenico dopo 100 anni di viaggio spaziale, viaggio in cui la ferita di cui vediamo le tracce sui vestiti si è curata come previsto. Origine della ferita? Qui già iniziamo con il non detto. Viene accennata, ma non chiarita. Giusto il tempo di stiracchiarsi un attimo e procediamo verso la plancia, assistiti dalla voce di London, la nostra fidata intelligenza artificiale con personalità irriverente e protettiva. Apparentemente siamo gli unici occupanti della nave. Una donna, un’ IA e un misterioso cubo rosso, sul quale i 2 protagonisti dibatteranno spesso.

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L’atmosfera è hard sci-fi, in ECHO la tecnologia ha sempre il suo senso. Purché i personaggi ne parlino.

L’astronave arriva ben presto a destinazione, in questo strano pianeta la cui intera superficie è ricoperta da una struttura architettonica dalle imprecisate origini. I primi minuti di gioco ci vedono esplorare l’esterno cercando un punto d’accesso, in un dedalo di edifici che si estende a perdita d’occhio, facendo l’occhiolino alle opprimenti e gargantuesche architetture di Tsutomu Nihei, mangaka famoso a sua volta per la narrativa criptica e ambientazioni aliene. Di queste ultime l’esempio più eclatante è certamente Blame!, opera che ha ricevuto di recente un adattamento in stile anime.

Ma è quando troviamo un’entrata che ci immergiamo in tutt’altra atmosfera. Un elogio al barocco, dove enormi saloni si aprono dinanzi a noi, sovrastati da lussuosi lampadari, arredati da un design degno delle più eleganti sale del trono che possiamo immaginare. Non c’è un granello di polvere. Ma nemmeno una singola anima viva. Almeno finché non accendiamo la luce, che si spegnerà e riaccenderà a brevi intervalli.

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Una semplice e morigerata porta del palazzo.

A questo punto le cose si fanno più strane. Percorrendo i saloni notiamo degli ammassi di materia organica che crescono sempre di più, sino a diventare perfetti cloni di En che attaccano a vista. Inoltre, quale che sia la malfunzionante entità che sta gestendo il luogo, è in grado di imparare. Essa osserva ogni azione di En, dallo scavalcare, alla corsa, al procedere accucciati, nonché sparare, e dopo ogni reboot di sistema assegnerà agli echi le nuove funzioni che ha registrato. Idealmente la strategia ottimale è tenere un profilo basso a luci accese, per poi operare velocemente durante i blackout, in un ritmo alternato. Ma le ambientazioni sono studiate per farci commettere un errore. Arriverà il momento in cui ci facciamo prendere dalla foga e una nostra azione ostile regalerà all’entità una nuova tattica da rivoltarci contro.

A livello di gameplay, il tutto è molto in linea con la tipica struttura da third person shooter con elementi stealth: possiamo scattare, procedere accovacciati, scavalcare, sorprendere alle spalle, sparare e ammorbidire le nostre cadute da svariati metri d’altezza. Queste ultime 2 azioni sono da misurare bene, in quanto hanno un costo energetico e puntare tutto sull’abbattimento sistematico degli echi o su fughe acrobatiche non è quindi una strategia sostenibile. Gli avversari sono tanti e non si stancano. Come da tradizione stealth conviene piuttosto aggirarsi con cautela verso gli obiettivi tentando di insegnare meno cose possibili all’entità, per tenere le opzioni offensive solo come piano B. A dispetto di come viene presentata l’ambientazione, l’esplorazione della stessa è in realtà molto lineare: avremo sempre un marcatore dell’obiettivo che esiste diegeticamente ingame (anche En e London a volte lo commenteranno), nonché occasionali ologrammi di supporto che ci indicheranno la posizione e stato di allerta dei nemici. Sarà anche una reliquia vecchia 100 anni, ma l’armatura sa il fatto suo.

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Uh-oh… Quel glitch visivo attorno a En significa che l’entità ha preso uno screenshot di questa mossa.

Da un punto di vista prettamente narrativo, come accennavamo, siamo completamente nella squadra “show, don’t tell”. La narrazione non è ermetica, anzi, En e London chiacchierano molto, ma lo fanno in conversazioni che non prevedono nuovi ospiti. Ci sono numerosi riferimenti al passato dei personaggi, a cosa li ha portati a fare talune scelte, alla situazione politica-sociale-spirituale dell’universo di ECHO, ma viene data per scontata una conoscenza pregressa di quel passato. Sta quindi al giocatore unire i puntini e visualizzare ciò che viene accennato dai 2 protagonisti, al meglio della propria immaginazione.

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Trovarsi davanti una copia ostile di sé stessi è inquietante di suo, immaginate una decina.

Il risultato è quindi un viaggio nella profondità della megastruttura e nelle motivazioni dei protagonisti, con cui è impossibile non empatizzare malgrado la distanza dal giocatore. Il cast ridotto a 2 soli personaggi, sebbene altri vengano menzionati nelle conversazioni, acuisce la già intensa sensazione di solitudine, di essersi lanciati in una missione impossibile sacrificando tutto (ricordiamo che nel corso dei 100 anni di criosonno il resto dell’universo è andato avanti). Il palazzo fa il resto, estendendosi lungo l’intera superficie del pianetoide e per imprecisati metri di altezza, ponendosi come interminabile, incomprensibile, titanica ambientazione. Ma a bilanciare la sfida c’è l’entità, che non ha altre mosse a disposizione se non quella di copiarci. Il nemico siamo noi stessi e parte del gioco è non autosabotarci più del necessario.

Tirando le somme, ECHO è un interessante stealth sci-fi che si ispira agli archetipi classici per poi ricavare una sua identità ben definita, la quale purtroppo non ha saputo fare breccia su sufficienti giocatori. Ultra Ultra ce l’ha messa tutta per creare un gioco pregno di personalità, ma purtroppo rimane al momento un’opera prima e unica. Un’opera che consiglio caldamente a tutti i fan di quella fantascienza inafferrabile, misteriosa, molto oltre i confini del mondo conosciuto, persino dai protagonisti stessi.

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