Dark Souls: in morte del cavaliere di Catarina

Riflessioni su uno dei più celebri comprimari della saga firmata From Software.

Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica
8 min readSep 7, 2020

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Un cavaliere in ginocchio di fronte al falò, in Dark Souls.

Lo so: l’accostamento tra morte e Dark Souls è tra i più triti e ritriti che possano venire in mente a un videogiocatore. Ma si scrive, (anche) qui su Frequenza Critica, non solo per spulciare argomenti nuovi, ma pure per cercare di dare nuove letture di temi all’apparenza già esauriti. Mi sono aggiunto in corsa alla settimana tematica di questo mese — in cui facciamo i seri e guardiamo in faccia la morte dei nostri personaggi digitali preferiti — e sono stato abbastanza stupito di aver trovato la saga From Software ancora libera dalle (benevole) grinfie degli altri della redazione. Bene, perché era un po’ che volevo rendere omaggio a dei comprimari d’eccezione alzando, come proprio loro ci hanno insegnato a fare, i calici: i cavalieri di Catarina e, in maniera particolare, Siegmeyer, una delle figure più memorabili del primo Dark Souls.

Dal momento che non è mai stata stabilita quale sia la data di scadenza di uno spoiler, vi avviso: andremo a rivelare molti (se non tutti) dettagli della storia del prode cavaliere dall’armatura a forma di cipolla.

Dire che il mondo di Lordran è strettamente legato alla morte è riduttivo: tutto, negli scenari disegnati da Miyazaki e soci, è scivolato nel gorgo di una fine ripetuta infinite volte, prima di arrivare davvero. La maledizione della non-morte priva quella fine del significato di riposo eterno, rendendola niente più di un oblio. I marchiati con cui il protagonista condivide il cammino condividono con lui la condanna ma ne mostrano i veri effetti — giacché il non-morto prescelto non è costretto a provare la loro stessa angoscia, dalla quale noi giocatori lo distogliamo ancora e ancora, a colpi di input.

Un cavaliere in armatura, seduto di fronte a un cancello serrato.
Il prode Siegmeyer di Catarina, mugugnante di fronte all’ingresso della fortezza di Sen.

Tra questi comprimari, quello che meglio ha saputo scavarsi un posto tra i miei ricordi è senza dubbio Siegmeyer di Catarina, il mugugnante cavaliere che il non-morto prescelto incontra di fronte all’ingresso della fortezza di Sen. Mi sono chiesto spesso perché la sua storia mi affascinasse così tanto; la risposta è arrivata anche grazie alla tesi del monomito nell’accezione di Joseph Campbell, trattata in “L’eroe dai mille volti” (1949). Anche Siegmeyer compie, infatti, una sorta di viaggio dell’eroe, ma in una versione tragicamente distorta.

La partenza dell’eroe

Con la dicitura “viaggio dell’eroe” si fa appunto riferimento al monomito, tema al centro dello studio di Campbell, che identifica una struttura ricorrente in un’enorme gamma di storie, racconti e leggende che, stando alla definizione data nel testo già citato (così come riportata da wikipedia, dai cui frammenti tradotti si attinge, in questo articolo), è così descritta dall’autore: “L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale; qui incontra forze favolose e riporta una decisiva vittoria; l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini.”

Se siete già arrivati ai titoli di coda del primo Dark Souls, qualcosa potrebbe suonarvi fin troppo fuori posto: c’è ben poco di trionfale nell’avventura di Siegmeyer di Catarina ed è difficile che le sue disgrazie lascino il giocatore con il sorriso sulle labbra. Eppure, andando a ripercorrere i vari punti di snodo in cui Campbell divide il monomito, si trovano assonanze interessanti con l’arco narrativo del cavaliere — anche e soprattutto nei momenti in cui sembra andare in direzione del tutto contraria rispetto a quella dell’eroe tradizionale.

“L’eroe può avanzare di sua iniziativa per portare l’avventura a compimento, come fece Teseo quando arrivò nella città di suo padre, Atene, e ascoltò l’orribile storia del Minotauro; oppure può essere trasportato o inviato all’estero da un agente benigno o maligno come per Odisseo, spinto per il Mediterraneo dai venti del dio arrabbiato, Poseidone.”

Mentre il non-morto prescelto subisce la sua chiamata alle armi e viene trasportato alla periferia del regno di Lordran (in quell’inizio particolare di cui aveva già parlato, su Frequenza critica, Francesco Toniolo), Siegmeyer decide di sua spontanea volontà di mettersi in cammino, desideroso di avventure. Nonostante la sua condizione — il marchio della maledizione già ne ha scavato la pelle, sotto l’armatura — il prode cavaliere non è ancora pronto a chinare la testa.

“La disobbedienza all’appello interiore trasforma l’avventura nel proprio contrario. Immerso nella noia, nel lavoro, o nella ‘cultura’, il soggetto perde la capacità di svolgere un’azione positiva e significativa e diviene una vittima da salvare. Il suo mondo fiorito si trasforma in un arido deserto e la sua vita perde ogni significato. […] Qualunque dimora egli si costruisca, sarà una dimora di morte: un labirinto chiuso da mura ciclopiche ove nascondere il suo Minotauro. Tutto ciò ch’egli può fare è crearsi dei nuovi problemi ed attendere il graduale avvicinarsi della disintegrazione.”

Campbell registra, da parte di molti eroi, la difficoltà iniziale a rispondere alla chiamata all’avventura. Per il nostro Siegmeyer non è così, l’abbiamo detto — eppure anche lui arriva a sbattere contro un muro “ciclopico”, una vera e propria “dimora di morte”: la fortezza di Sen. Lì, di fronte alla gigantesca porta sigillata, avviene (o meglio, può avvenire) il primo incontro tra il protagonista e il cavaliere. “Immerso nella noia”, col tempo scandito da un mugugnare distratto, tutto ciò che è in suo potere fare è “attendere il graduale avvicinarsi della disintegrazione”.

“Coloro che hanno risposto all’appello incontrano per prima cosa, durante il viaggio, un protettore (spesso una buona vecchierella o un vecchietto)[…]. Questa figura simboleggia il potere benevolo e protettore del destino.
[…]
Con l’aiuto e la guida di colui che personifica il suo destino l’eroe procede nell’avventura sinché incontra il ‘guardiano della soglia’, all’ingresso della zona di potere amplificato. […] Al di là di essi c’è l’oscurità, l’ignoto e il pericolo”

Nel caso di Siegmeyer, il protettore misterioso, in grado di fornirgli l’aiuto decisivo per superare la prima soglia, è il non-morto prescelto guidato dal giocatore. È infatti lui ad aprire la porta della fortezza di Sen, permettendo al cavaliere di Catarina di addentrarsi nel labirinto fatto di insidie, trappole e bestie feroci. Eppure, il nostro cavaliere non riesce a raggiungere il fantomatico “guardiano della soglia” (in questo caso, il gigante di ferro che verrà abbattuto, di lì a poco, dal protagonista), ma finisce di nuovo per imbattersi in un ostacolo troppo ostico per lui — uno dei tanti marchingegni letali della fortezza.

Qui, la strada di Siegmeyer comincia a separarsi drammaticamente da quella dell’eroe; il destino lo sta mettendo da parte, privandolo del primo passaggio chiave. Seguendo i passi del non-morto prescelto, il cavaliere si addentra nella seconda fase del viaggio dell’eroe (l’iniziazione) senza aver dimostrato davvero il suo valore.

L’iniziazione dell’eroe

“L’addentrarsi nella terra delle prove rappresentava solo l’inizio del lungo e davvero pericoloso percorso di conquiste e momenti di illuminazione. Ora I draghi devono essere uccisi e bisogna sorpassare barriere impreviste […]. Nel frattempo ci saranno una moltitudine di vittorie preliminari, estasi passeggere e scorci momentanei della meravigliosa terra.”

Anor Londo è la terra oltre la soglia. Sono molti gli “scorci momentanei” che rivelano la maestosità di una terra ormai quasi deserta. Nessun giocatore che ha attraversato le lastre bianche di questo regno faticherà a ricordare la “moltitudine di vittorie” (e la marea di sconfitte che le precedevano) che gli hanno permesso di arrivare, infine, al passaggio successivo del viaggio dell’eroe — guarda caso, l’incontro con la dea. Non sappiamo quale percorso abbia compiuto Siegmeyer, in questo caso, ma il nuovo, inglorioso incontro avviene mentre egli è bloccato all’interno di una delle sale del castello, minacciato da alcuni dei cavalieri d’argento di Lord Gwyn.

Ancora una volta è l’aiuto del giocatore a permettere al non-più-così prode comprimario di procedere. Non c’è dato di sapere se, anche nel suo caso, ci sia stato un incontro con la dea (l’immagine di Gwynevere), perché al successivo incontro non ne farà menzione. Lo vediamo partire per la sua personale discesa nell’abisso (quello che si apre con la città infame, per finire alla perduta Izalith), dopo che tutto ciò che c’era in superficie gli è sfuggito tra le mani. Lui stesso ammette che “non c’è più niente quassù”: è il non-morto prescelto ad avergli sottratto la gloria che forse meritava? Il cavaliere non può che rispondere cercando nuove avventure, avviandosi quindi verso una “apoteosi” del suo viaggio molto singolare.

la vista al tramonto di un castello maestoso.
Anor Londo, in tutto il suo splendore.

Dopo aver fatto la conoscenza di sua figlia Sieglinde, anch’ella cavaliere di Catarina, partita alla ricerca del padre che non riesce a starsene fermo, il giocatore trova di nuovo Siegmeyer di fronte a una coppia di bestie a guardia di uno degli ingressi della perduta Izalith. Qui, per sdebitarsi di tutto quanto il non-morto prescelto ha fatto per lui, si offre di lanciarsi da solo nella mischia, dando il tempo al compagno di sgattaiolare inosservato; con la sua stessa vita intende riscattare il suo onore, in un ultimo slancio avventuroso verso l’ignoto.

Il punto di non ritorno

L’apoteosi del viaggio di Siegmeyer è destinata a essere qui, eppure questa può non essere la fine del suo percorso. Se il giocatore sceglie, ancora una volta, di salvare la vita del cavaliere, questi se ne andrà via sollevato, ma consapevole di non essere stato all’altezza della situazione.

“Ciò che l’eroe cerca di ottenere attraverso il contatto con gli dei è la loro grazia, cioè il potere della loro sostanza sostenitrice. Questa miracolosa sostanza-energia è essa sola Indistruttibile […]. I suoi custodi la concedono solo a coloro che sono stati messi alla prova.”

La sostanza in questione, nel caso di Siegmeyer — che torna “vivo” ma non certo vittorioso dalla sua apoteosi — sono le parole che la moglie ha detto, in sua assenza, sul letto di morte, riferite dalla figlia Sieglinde, finalmente ricongiunta al padre. Il dono che arriva al termine di questa lunga avventura, è un dono ancora una volta legato alla morte.

“L’eroe, conclusa la propria ricerca con la penetrazione nella fonte, o per mezzo della grazia di qualche personificazione maschile o femminile, umana o animale, deve far ritorno con il suo trofeo rinnovatore della vita. […] Spesso tuttavia l’eroe non accetta questa responsabilità.”

Anche Siegmeyer si rifiuta di tornare e, come dice Sieglinde, esausta, al non-morto prescelto, si è di nuovo lanciato verso un’altra avventura. Incapace di accettare la sua inadeguatezza, il cavaliere di Catarina continua a gettarsi nella mischia. Ma il successivo, ultimo incontro con padre e figlia, rivela che la lunga serie di sconfitte l’ha condotto, infine, verso l’oblio senza ritorno.

“A volte l’eroe deve essere soccorso, per far ritorno dalla sua avventura soprannaturale, da un aiuto esterno. È cioè il mondo che deve venire a riprenderlo.”

Tocca alla figlia correre in soccorso del padre. L’aveva detto, in precedenza, al giocatore, che forse “avrebbe dovuto ucciderlo ancora una volta”, se avesse perso il senno. Quando il non-morto prescelto arriva alle sponde del lago delle ceneri, trova l’eroe di Catarina finalmente in pace, privo di vita, a terra. L’ultima soglia superata da Siegmeyer, nonostante tutti i tentativi del protagonista di sottrarlo alle grinfie del destino, è quella che conduce alla morte. La fine tragica di questo cavaliere avviene, non a caso, in un luogo sospeso tra le ceneri di un fuoco passato, estinto, e l’acqua di un mondo ancora in vita. Al giocatore non resta che chiedersi se l’idea eroica di dover preservare la vita di tutti non nasconda in sé, in fondo, una punta di egoismo e se, forse, non sarebbe stato più giusto lasciare che quell’eroe mancato si gettasse a braccia aperte verso la fine che sembrava tanto desiderare.

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Diego “Syd” Cinelli
Frequenza Critica

Chiacchieratore seriale, passa buona parte del suo tempo a parlare ad altri della sua passione per i videogiochi.