DOOM Eternal non è esattamente come me lo aspettavo

Il problema non sei tu, sono io.

Marco "Thresher3253" Accogli
Frequenza Critica
9 min readMay 1, 2020

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Ho già scritto in passato dei motivi per cui ritengo DOOM 2016 un gioco eccellente: si tratta di un gradevole ritorno a certe meccaniche considerate “old school”, con delle aggiunte tipicamente moderne quali la raccolta dei punti potenziamento per il personaggio e le Glory Kill. Inevitabile quindi l’enorme hype dietro a DOOM Eternal, forte di un sacco di materiale da anteprima dall’aspetto davvero invitante. Guardate quanto è bello il filmato di gameplay del livello ambientato su Phobos, tanto per dire.

Nella precedente recensione parlavo della speranza che la formula del reboot (che canonicamente non è più un reboot, ma un vero e proprio sequel degli originali grazie alla trama di Eternal) venisse ulteriormente espansa per ampliare le opzioni e gli approcci disponibili, e da un certo punto di vista sono stato accontentato. L’ossatura del gioco è sempre la stessa: si corre in giro per dei livelli quasi completamente lineari accoppando orde di demoni nella speranza che qualche missile vagante non ci mandi al creatore. L’esplorazione dei livelli è ricompensata da una miriade di segreti nascosti in giro in maniera non troppo criptica (anzi, molti non sono neanche poi così segreti), permettendoci di sbloccare collezionabili e punti utili al potenziamento dell’armatura e delle modalità di fuoco secondarie delle armi e così via.

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La motosega resta capace di eliminare un singolo nemico in un sol colpo, ma non è più possibile usarla contro i demoni più grandi.

Le aggiunte alla formula originale sono diverse, ma alterano in maniera abbastanza drammatica l’approccio richiesto da DOOM Eternal per non entrare in un mondo di dolore e sconforto: ora lo Slayer dispone di un lanciagranate da spalla con cui lanciare ordigni congelanti o esplosivi, un lanciafiamme che permette di ottenere punti armatura dai nemici che bruciano e la possibilità di fare una rapida schivata in tutte le direzioni con la pressione di un pulsante; in più sono state riviste le regole per quanto concerne il funzionamento della motosega. Queste modifiche rendono il gioco più tattico, specialmente per quanto concerne il costante movimento nelle arene, necessario per non farsi ammazzare all’istante. D’altro canto, giocare DOOM Eternal con lo stesso stile del precedente ci porterà molto rapidamente a una serie interminabili di sconfitte.

L’aver approcciato il sequel allo stesso modo del primo è stato l’errore che mi ha fatto pensare che questo gioco, almeno fino a metà campagna, fosse una schifezza frustrante. Cercare di attaccare a oltranza scartando a destra e a sinistra per schivare i colpi nemici, assegnare le priorità ai vari demoni presenti e dosare colpi con attenzione non funziona più: il problema principale è che — per rispettare l’ormai memetica fama dello Slayer — gli scontri sono diventati molto più caotici, sia per il numero più alto di nemici che ci si ritrova a fronteggiare e sia perché è fondamentalmente inefficiente cercare di evitare i danni. I missili e le palle di fuoco piovono da tutte le parti e i nemici hanno l’accortezza di mirare non solo dove si trova il giocatore in quel dato momento, ma anche nel punto in cui andrà a finire, e poi anche a destra, a sinistra, dietro, insomma da tutte le parti. Se quindi è inevitabile farsi colpire durante gli scontri, va data grande enfasi al trattare qualsiasi nemico che ci si para di fronte come se fosse una piñata: Glory Kill per ottenere vita, motosega per ricaricare le munizioni e lanciafiamme per ottenere armatura. L’approccio scelto da DOOM Eternal favorisce insomma quello di bombardare a tappeto i grossi gruppi di nemici con tutto quello che si ha a disposizione, per poi darsi alla fuga con la schivata rapida in modo tale da dar modo alle armi da spalla di ricaricarsi. Non aiuta il limite assai inferiore di munizioni che si possono portare, per cui è necessario approfittare degli zombie da macello per ripristinare le capacità combattive.

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I collezionabili non servono assolutamente a niente. Ve lo dico per farvi risparmiare tempo.

Una grossa aggiunta che permette di facilitarsi la vita è il Blood Punch: una volta acquisita questa abilità, bisogna caricarla effettuando due Glory Kill qualsiasi. A quel punto il successivo cazzotto dispensato dallo Slayer causa una forte esplosione che permette di liberarsi dei folti gruppi di nemici minori e di arrecare gravi danni a quelli più grandi. Il Blood Punch è uno strumento indispensabile per tenere a bada le orde che ci si ritrova davanti, sia perché permette di tirarsi fuori da situazioni spinose, sia perché con l’apposita runa è possibile ottenere punti salute dai nemici uccisi in questo modo, esattamente come per le Glory Kill. La somma di tutti questi elementi consente allo Slayer di dispensare altissimi danni concentrati in pochissimo tempo e in una ristretta area: diamo fuoco al gruppo, lanciamo una granata, Blood Punch e poi razzi su qualsiasi cosa sia rimasta in vita nel frattempo, approfittando dei punti armatura e salute lasciati dai nemici per recuperare gli inevitabili danni subiti. È apparentemente opinione comune che DOOM Eternal sia più difficile del predecessore (e per certi versi lo è), ma l’utilizzo delle combo rende la maggior parte degli scontri una passeggiata al parco, a maggior ragione quando, arrivati più o meno metà della campagna, ci si ritrova con tutta una serie di potenziamenti alla salute, alla capacità delle munizioni e ai moduli delle armi.

Dal punto di vista degli strumenti di morte utilizzabili, le armi e i relativi moduli per le modalità secondarie sono rimasti pressoché inalterati. Tra le modifiche più rilevanti menzione d’onore alla doppietta grazie al Meathook, sostanzialmente un rampino che consente di agganciare i nemici per chiudere rapidamente le distanze. L’utilità di alcuni moduli di fuoco secondario è assai dubbia: il lanciagranate del fucile a pompa è fin troppo efficace rispetto al fuoco automatico (che consuma parecchie munizioni), idem per il raggio a microonde del fucile al plasma. Per quale motivo dovrei preferire un raggio che impiega un sacco di tempo a eliminare un singolo nemico, consumando gran parte delle celle, invece della vampata incandescente che emette un cono di morte sostanzialmente gratuito?

Naturalmente ritorna in grande spolvero il BFG9000, sempre dotato delle sue portentose abilità da spazzino, ma una nota dolente che non ho potuto fare a meno di notare è la cronica scarsità di colpi a disposizione, il che lo va a mettere fermamente nel territorio del fin troppo prezioso per utilizzarlo con confidenza. Se va bene, negli ultimi livelli si possono trovare una o due cariche per il BFG9000, quasi sempre in quelle arene il cui spawn aggressivo dei nemici rende necessario utilizzarlo in quello stesso punto. Non va tanto meglio per il Crucible, una spada che permette di eliminare qualsiasi nemico con un colpo solo consumando una delle tre cariche che può tenere. Le cariche aggiuntive per il Crucible sono così rare che è come se non esistesse del tutto nell’inventario fino al boss finale, in cui è possibile utilizzarlo a cuor leggero, in netto contrasto con tutto il resto della campagna. Ma è l’Unmaykr che prende lo scettro di totale inutilità: per ottenere l’Unmaykr è necessario completare i sei Cancelli Slayer sparsi nei livelli, che ci metteranno di fronte a delle sfide opzionali davvero ostiche. La ricompensa è questo cannone certamente devastante, ma che utilizza le stesse munizioni del BFG9000 senza avere lo stesso livello di efficacia. Tre armi potentissime, tutte e tre rese quasi inutilizzabili dalla cronica scarsità di colpi che manco Resident Evil e da un nemico tutto particolare: il Marauder.

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Lui.

Il Marauder è un po’ il nemico simbolo di DOOM Eternal, sebbene siano presenti anche il Cyberdemone (che qui si chiama Tyrant, però è fondamentalmente lo stesso, quindi chi se ne frega) e l’Arch-Vile. Questi tre tizi sono le minacce più gravi che si possono trovare nei livelli, ma se gli ultimi due possono essere spazzati via con un colpo di BFG9000 o Crucible, il Marauder è (parzialmente) immune a essi. Il mio problema principale con lui è che fondamentalmente è un QTE che si muove: quando non attacca alza uno scudo impenetrabile ai nostri colpi, a meno di non colpirlo alle spalle con lo splash damage delle armi esplosive. Per fargli dei danni consistenti è necessario attendere che i suoi occhi emettano un lampo verde corrispondente ai suoi attacchi corpo a corpo e rispondere con la fidata doppietta o un colpo caricato della balista. Per questi motivi quando uno di essi appare in gioco bisogna rivolgergli tutta l’attenzione possibile, cosa non facile visto che spesso e volentieri è accompagnato da altri demoni pesanti. Onestamente, ho trovato l’implementazione del Marauder davvero fuori posto all’interno del gameplay di DOOM Eternal, perché va in netta controtendenza rispetto all’approccio “bombarda e scappa” imposto dalle meccaniche di gioco, nonché rende inutile gran parte dell’arsenale. Poco divertente, a maggior ragione se consideriamo che le sue apparizioni non è che siano proprio rarissime.

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Le catene infuocate rotanti a fare da ostacolo, perché quando gioco a DOOM la prima cosa che voglio fare è saltare in giro tipo Super Mario.

Messo così, sembra che DOOM Eternal abbia quel mix per formare una ricetta esplosiva e adrenalinica ideale per farmi impazzire di gioia, e per certi versi è così, ma trovo che le aggiunte e le modifiche al sistema di gioco del predecessore non siano state calibrate alla perfezione, principalmente a causa dell’inevitabile aumento del numero di variabili in campo. DOOM Eternal preferisce seguire una strada differente, sicuramente non elegante e precisa come il predecessore, ma che consente comunque al giocatore di entrare nel flow delle meccaniche e tenere sempre alto il ritmo. A dimostrazione della bontà del lavoro svolto, durante la stesura di questo articolo ho pensato davvero poco a quello che mi ha dato realmente fastidio del gioco nel suo complesso. Non posso però fare a meno di dedicare un piccolo specchietto a quello che avrei completamente rivisto, se non addirittura eliminato. Penso ad esempio alla maggiore presenza delle fasi platform, perché apparentemente a qualcuno sono piaciute davvero tanto quelle di DOOM 2016 e quindi hanno pensato a espanderle e renderle molto più presenti per spezzare il ritmo: è stata una idea tremenda, mai più, grazie.

Penso anche a quelle — fortunatamente poche — sezioni con la melma viola che rallentano i movimenti dello Slayer e gli impediscono di saltare, anch’esse completamente insensate in uno sparatutto improntato al movimento costante e alla verticalità. Penso in egual misura al level design non sempre ben riuscito, in cui spesso e volentieri le barre su cui dovremmo dondolare per saltare da un punto all’altro dell’arena danno più fastidio che altro. Sono anche presenti un bel po’ di bug, in particolar modo alcuni che impediscono lo spawn dei nemici in certe mappe, rendendo impossibile la progressione anche ricaricando il checkpoint e costringendo quindi a riavviare l’intero livello. E poi ancora l’assenza dello SnapMap, che consentiva di giocare centinaia di mappe aggiuntive in maniera gratuita, soppiantato da delle future espansioni a pagamento per la modalità single player. Non perdo troppo tempo a parlare del multiplayer competitivo, di base ben strutturato se non fosse completamente fuori luogo per un gioco come DOOM, ma avrei voluto provare le invasioni alla Dark Souls, ampiamente pubblicizzate ma assenti nella versione di lancio.

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Il multiplayer competitivo è pure simpatico da giocare, ma onestamente non sarebbe stato meglio l’editor dei livelli?

Non posso dire di non essermi divertito con DOOM Eternal e non posso dire che sia stata una delusione, ma è innegabile che DOOM 2016 sia semplicemente su un altro livello: è molto più equilibrato nel suo insieme, non solo per via del minore numero di variabili da tenere in conto durante l’azione, ma anche per l’aver dosato tutti gli elementi con una cura sopraffina. DOOM Eternal compie l’errore di voler strafare e, sebbene il risultato finale sia senza dubbio molto buono, a posteriori avrei preferito un more of the same.

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