Frequenza Critica racconta: Mass Effect — Parte 2

Sono il comandante Shepard e questa è la migliore retrospettiva della Cittadella.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
10 min readApr 14, 2021

--

MaleShep e FemShep in un artwork di Mass Effect 3

Pensavate che fosse tutto finito? Che avrei messo da parte la storia di Mass Effect nel momento più succoso? Nel momento delle mille polemiche? Certo che no, io con le polemiche ci vado a nozze. Perciò se ancora non lo avete fatto leggete la prima parte, che racconta quella che potremmo definire l’età d’oro della saga, e preparatevi alla scoppiettante conclusione di questa retrospettiva.

His name was Marauder Shields

Ci eravamo lasciati con Shepard che guardava all’orizzonte l’arrivo dei Razziatori, pronto allo scontro finale. Ovviamente tutto questo non è vero, a bordo della Normandy non c’è nessun orizzonte e i Razziatori stanno ancora fuori dalla Via Lattea.

l’arrivo dei Razziatori nel finale di Mass Effect 2
Ready or not, here we come!

In teoria avevamo sventato l’arrivo dei nemici giurati della vita organica in quell’aborto di DLC chiamato Arrival, con il nostro comandante preferito improvvisatosi genocida per il bene superiore. Peccato che dopo 6 mesi un’umanità completamente impreparata se li ritrovi comunque alle porte di casa, quindi tanti sforzi (e soldi dei giocatori) per niente.

Ah, mi sono dimenticato di dirvi la data di uscita di Mass Effect 3, che sono sicuro consideriate fondamentale: 6 marzo 2012. L’ultimo episodio della trilogia arrivava con un carico di aspettative enorme: non solo era il seguito di un gioco amatissimo, ma si trovava nella situazione di dover chiudere tutte le storyline senza invalidare le scelte fatte dai giocatori nei precedenti capitoli. Per certi aspetti possiamo dire che riuscì nell’intento, ma per altri fu semplicemente una catastrofe. Una catastrofe multicolore, per essere precisi.

Prima di elencare i vari problemi di questa produzione vorrei però spezzare una lancia a favore di Bioware e EA. Avrete notato come la copertina di questo speciale ritragga entrambe le versioni di Shepard, quella maschile e quella femminile, e non si tratta di una scelta casuale. Fino al terzo episodio FemShep non era praticamente stata presa in considerazione dal marketing, con MaleShep (si dice così, giusto?) a dominare la scena. Con Mass Effect 3 le cose cambiarono, e alla comandante — il cui doppiaggio inglese era tra l’altro superiore rispetto alla controparte maschile — venne dato uno spazio (quasi) uguale. Venne così introdotta una doppia copertina nella versione scatolata, che poteva essere rivoltata per mostrare la nostra versione preferita del personaggio. Non solo, addirittura il classico trailer di lancio in CG spaccamascella venne proposto in due versioni diverse, dietro alle quali ci deve essere stato sicuramente un discreto lavoro.

Ora però è il momento di andarci giù pesante.

Vi ricordate la discutibile politica dei DLC di Mass Effect 2? Bene, perché il successore la portò a un livello ancora superiore. Venne infatti annunciato un DLC a pagamento chiamato From Ashes, contenente una missione e un personaggio addizionale. Chi era questo personaggio? UN DANNATISSIMO PROTHEAN. Ebbene sì, EA nella sua infinità avid… saggezza aveva deciso di tagliare dal gioco base e vendere a parte l’ultimo esponente della razza che aveva dominato la galassia 50.000 anni prima degli eventi della trilogia. Non c’è alcun dubbio sul fatto che si trattasse di un contenuto tagliato, perché Javik aveva una marea di linee di dialogo ed era perfettamente integrato nella storia (non come Zaeed e Kasumi in ME2 per esempio). Andò un po’ meglio per quanto riguarda gli altri contenuti scaricabili: Leviathan aggiungeva sì parecchi retroscena alla storia principale, ma non era fondamentale, così come il dimenticabile Omega, mentre Citadel era un concentrato di fanservice bello e buono che tutto sommato ci stava far pagare.

Facciamo un passo avanti e parliamo di che tipo di gioco era Mass Effect 3. Con la conclusione della trilogia la trasformazione poteva dirsi pressoché conclusa, e ormai si poteva parlare senza farsi troppi problemi di sparatutto in terza persona. Lo dimostrava tra le altre cose il fatto che il gioco proponesse una nuovissima “modalità azione”, che automatizzava totalmente i dialoghi. Nella “modalità RPG”, quella classica, questi ultimi venivano inoltre privati delle risposte neutrali (che in realtà già in ME2 erano pressoché inutili, se non dannose) e si moltiplicavano le conversazioni in-game su cui il giocatore non aveva alcun controllo.

Nel complesso si notava la volontà di ridurre i margini di interpretazione del personaggio, con sommo orrore di tutti i fan dei giochi di ruolo. Le sparatorie, pur senza raggiungere chissà quali picchi, venivano ulteriormente affinate dotando il protagonista di una maggiore mobilità e di un sistema di copertura più preciso, mentre le armi si presentavano in quantità e qualità superiore rispetto al secondo capitolo ed erano finalmente personalizzabili, con le varie mod che ne modificavano anche l’aspetto. Discreto il lavoro sulla varietà degli avversari, che costringevano il giocatore a modificare l’approccio in base in base alle situazioni.

Razziatore su Menae con Palaven sullo sfondo in Mass Effect 3
Mass Effect 3 tentava in tutti i modi di farci sentire nel mezzo di una guerra galattica per la sopravvivenza, riuscendoci però solo a tratti.

In generale Mass Effect 3 era un’esperienza ancora più lineare delle precedenti, con l’esplorazione della Via Lattea ridotta all’osso e le missioni secondarie quasi inesistenti e basate tutte sull’innata capacità di Shepard di origliare ogni singola conversazione a bordo della Cittadella. Tutto questo per puntare sulla corposa campagna principale, che ci vedeva scorrazzare per la galassia in cerca di alleati per la battaglia finale contro i Razziatori mentre veniva costruito il più grande MacGuffin di sempre. Ogni missione tentava — solitamente con un tono leggermente melodrammatico— di chiudere le varie storyline e mostrare le conseguenze a lungo termine delle scelte fatte durante i precedenti episodi, riuscendoci a volte bene (Tuchanka, Rannoch) e a volte male (la questione dei Rachni).

Ma mettiamo da parte i convenevoli e parliamo del fulcro della questione. Parliamo del finale.

Il pubblico ha odiato Mass Effect 3 principalmente per l’ultima mezz’ora di gioco, ma sono dell’idea che l’intera missione finale, quella ambientata sulla Terra, rappresenti il punto più basso dell’intera saga, segno di uno sviluppo frettoloso e svogliato durante le fasi finali. A suo tempo arrivai per la prima volta sulla superficie del globo terracqueo convinto che avrei assistito a un’epica battaglia degna dei migliori Call of Duty, ma nella realtà mi ritrovai con quattro Mako che esplodevano e soldati alleati che schiattavano in un quarto di secondo.

E poi incontrai il boss finale. L’eroe che non meritiamo ma di cui abbiamo bisogno.

Del finale di Mass Effect 3, dello Starchild e dei suoi filtri colorati si è detto di tutto, qualcuno riuscì persino a tirare fuori una contorta ma affascinante teoria capace di dargli un minimo di senso logico. Peccato che gli sceneggiatori di Bioware fossero chiaramente molto meno ispirati del loro stesso pubblico. Dopo tutti questi anni non vale neanche la pena di approfondire ulteriormente: faceva schifo e basta, da qualunque punto di vista lo si osservasse. Brutto come idea, brutto come realizzazione, brutto brutto e brutto. La cura, quella Extendend Cut che gli sviluppatori dovettero realizzare per cercare di bloccare la tempesta di feci, si rivelò forse ancora peggio del male, introducendo spiegoni che manco Marco Damilano, ulteriori plot hole e momenti totalmente privi di senso logico, come la Normandy che arrivava dal nulla nel mezzo della battaglia terrestre e riusciva a evacuare i feriti senza farsi un graffio.

Insomma la trilogia andava a concludersi nel modo peggiore possibile. Sarebbero passati molti anni prima di assistere a un disastro delle stesse proporzioni in una trilogia fantascientifica… Star Wars, sto guardando te. In questa situazione Mass Effect era destinato a essere messo temporaneamente da parte. Una generazione di console dopo la serie sarebbe tornata, portandosi dietro un ulteriore carico di polemiche. Perché a EA le cose facili non piacciono.

PS: Mass Effect 3 è stato il primo capitolo della saga ad avere il multiplayer, ma davvero questa cosa interessa a qualcuno?

Nuova galassia, nuovi problemi

Col senno di poi, la possibilità che Mass Effect: Andromeda sarebbe potuto essere un disastro epocale era ampiamente preventivabile. Del resto EA aveva dato un franchise importantissimo a uno studio privo di esperienza, obbligandolo per di più a usare un motore grafico, il Frostbite, che già in precedenza aveva mostrato i suoi limiti in ambiti diversi dagli sparatutto di DICE. I segni di uno sviluppo travagliato li troviamo poi anche nei fin troppo numerosi teaser pubblicati ben prima dell’annuncio ufficiale.

screenshot di Mass Effect: Andromeda

Le cose andarono peggio di qualunque previsione, facendo apparire le polemiche sul finale di ME3 un’allegra conversazione tra amici. Se volete approfondire la storia della creazione di Mass Effect: Andromeda vi rimando all’ottimo articolo del mitico Jason Schreier su Kotaku, che potrebbe essere un buon modo per farsi due risate prima di andare a dormire o per avere gli incubi per il resto della vita.

La premessa narrativa di Andromeda, quella di una spedizione verso l’omonima Galassia per colonizzarla rimanendo ben lontani dal casino provocato dai Razziatori, è deboluccia (per non dire stupida) ma giustificata dal fatto che il finale del precedente capitolo era riuscito nell’impresa di fare schifo e allo stesso tempo lasciare zero spazi per la prosecuzione della saga, con o senza Shepard. Perciò avrebbe davvero poco senso mettersi a fare i puntigliosi facendo notare tutte forzature a livello scientifico, narrativo e di lore.

È decisamente più difficile non soffermarsi sul cataclisma tecnico che i fan si trovarono davanti in quel lontano marzo 2017 dopo aver avviato il gioco che aspettavano da cinque anni. La saga non si era mai fatta notare per le meraviglie tecniche, ma Andromeda arrivò sugli scaffali in uno stato semplicemente pietoso, per certi versi era addirittura un passo indietro rispetto ai capitoli precedenti. So che state aspettando qualche meme, perciò sono costretto a riproporre il classico dei classici:

my face is tired meme di Mass Effect: Andromeda

Un’immagine che da sola racchiude due aspetti tipici di questo Mass Effect: le terribili (non) espressioni facciali e la ancor più terribile scrittura dei dialoghi. L’elenco dei problemi tecnici potrebbe andare avanti all’infinito: compenetrazioni, movimenti dei personaggi inavvertitamente comici, illuminazione scassata… devo davvero continuare? In realtà bisogna ammettere che generalmente i bug non erano così gravi da rompere completamente il gioco, per cui un buon lavoro di rifinitura — si dimenticano sempre di farlo prima dell’uscita, accidenti — avrebbe potuto rimettere un minimo le cose a posto.

Ma i problemi di Andromeda andavano oltre la mera tecnica.

BioWare Montreal aveva deciso di abbandonare la classica struttura lineare della saga in favore dell’inflazionato open world, pescando a piene mani dalla precedente produzione della casa di Edmonton, Dragon Age: Inquisition. Il piccolo dettaglio è che già quest’ultimo, a livello strutturale, aveva dei grossi problemi ereditati dalla sua natura di MMORPG “fallito”. Problemi che si riproposero in tutta la loro gravità anche in salsa fantascientifica, nella forma di missioni secondarie fatte a stampino e ambientazioni tanto belle da vedere quanto noiose da esplorare.

L’idea di una serie di pianeti selvaggi da colonizzare aveva il suo fascino, ma si risolveva nei soliti punti interrogativi nella mappa, in fetch quest a non finire e nell’ennesimo sistema di raccolta di risorse, che poi non era altro che quello di Mass Effect 2 a bordo di un veicolo invece che nella mappa galattica. Il Nomad in realtà era sorprendentemente piacevole da guidare e si poteva pure modificare a livello estetico e funzionale, cosa che permetteva di esplorare ambienti via via più ostili.

collector’s edition di Mass Effect: Andromeda
Andromeda avrà pure i suoi problemi, ma il modellino funzionante del Nomad è comunque tanta roba.

Altrettanto piacevoli si rivelarono le sparatorie, che abbandonavano la staticità dei precedenti capitoli eliminando del tutto la pausa tattica e introducendo fin da subito un jetpack, perfetto per sfruttare la verticalità delle ambientazioni e per velocizzare i movimenti. Ritornava pure un sistema di coperture automatico tutt’altro che perfetto, ma il peso di questa limitazione era notevolmente ridotto rispetto al passato proprio a causa dal maggiore dinamismo degli scontri a fuoco, da cui era molto difficile uscire illesi limitandosi a stare dietro una copertura tutto il tempo.

Quello che però mi preme sottolineare è come Andromeda fosse debole dal punto di vista della storia e dei personaggi. Ryder era un/a protagonista a dir poco anonimo/a — anche da un punto di vista estetico — e lo stesso si può dire per i suoi compagni di viaggio, che cercavano con scarso successo di scimmiottare quelli della trilogia originale. No, assumere Natalie Dormer per doppiare un’Asari che manco le assomigliava non era la cura di tutti i mali. Non andava meglio alla trama principale, col suo cattivone assolutamente privo di carisma e i suoi continui tentativi di porre le basi per una narrazione di più ampio respiro.

Nel complesso il primo e ultimo gioco di BioWare Montreal non era brutto, ma semplicemente anonimo, privo di una personalità distintiva. Scorreva innocuo fino allo scontato scontro finale, ma poi si finiva per dimenticarsene completamente — ho dovuto davvero scavare in profondità nella mia memoria per ricordarmi qualcosa. Non poteva esserci modo peggiore di ridare linfa vitale a una saga che proprio sull’iconicità dei suoi protagonisti e del loro universo aveva fondato il suo successo. C’era davvero poco da fare per riuscire a rilanciare una produzione di questo genere, per cui la chiusura della software house e la cancellazione dei DLC già programmati sembrò una liberazione un po’ per tutti, da EA fino ai giocatori. Oggi è complicato pensare di proseguire su quella strada, ed è ormai certo che in futuro si cercherà in qualche (astruso) modo di ritornare all’epopea di Shepard.

Che al prossimo giro ci mettano quanto meno un po’ di cuore.

PS 2: spero si sia intuito l’incremento della mia depressione mentre mi avvicinavo alla conclusione di questa retrospettiva.

--

--