Guida per capire (e amare) Undertale — Vol. III

Di un’introduzione alle boss fight.

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica
10 min readNov 12, 2019

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Nella scorsa parte di questa guida, affermavo come lo scontro con l’avversario fosse il pretesto, da parte di Toby Fox, per rappresentare una dialettica del confronto fra due personalità contrassegnate da individualità distinte ma conciliabili dal dialogo. Se ciò è vero per ciascuna delle “battaglie” che il nostro bambino dovrà affrontare, è altresì (anzi, ancor più) calzante per gli incontri con i principali personaggi che ostacoleranno (o accompagneranno) il suo cammino.

Quello della semantica e dell’evoluzione del concetto di boss fight è un tema che ha coinvolto già altri appassionati, e non è certo questa la sede per approfondire le ragioni della capillarità di questo segmento ludico, pur nelle alterne accezioni in cui è stato declinato. In linea generale, in Undertale questi “boss” non si distaccano dal modus classico di presentazione: sono nemici più resistenti e duri da abbattere del normale, con pattern di attacco peculiari e una personalizzazione maggiormente spiccata.

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La battaglia contro Papyrus è l’ennesima dimostrazione da parte di Fox della capacità di abbinare narrazione e comparto ludico: il simpatico scheletro è smargiasso ma debole, e i suoi attacchi (gli ossi blu) paiono pericolosi e senza scampo ma in realtà per evitarli basta…rimanere fermi.

Proprio nelle battaglie contro questi personaggi “straordinari”, tuttavia, l’estro di Toby Fox raggiunge il suo culmine, partorendo continuamente soluzioni originali, in un perpetuo ondeggiare tra la trovata visiva fuori dagli schemi e una rimodulazione dei paradigmi videoludici che trova una giustificazione coerente con l’impianto narrativo. Dove la “visione” di Fox fuoriesce è proprio nello stritolamento delle regole ludiche dello scontro e dell’asservimento delle stesse all’esigenza comunicativa, mediante la quale i “nemici” si pongono su un “piano di intervento” paritetico rispetto a quello del giocatore.

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Soluzioni visive, colpi di scena, continua volontà di sorprendere: le boss fight di Undertale sono tutto questo e oltre. Nella battaglia contro Mettaton, lo scontro non è altro che una esibizione dei due belligeranti, con tanto di rating.

Al fine di esemplificare questo processo comunicativo, proverò a porre l’attenzione su due bossfight del videogioco, tenendo da parte quelle meno significative per esigenze di spazio e quelle “troppo” significative, di cui discuterò in un volume a parte. Va da sé che il lettore che non abbia esperito l’opera, troverà evidenti SPOILER. Il mio consiglio, di tutto cuore, è che in quel caso lo stesso non prosegua nella lettura: gran parte della potenza di Undertale deriva dalla propria ignoranza riguardo certe soluzioni adottate dal designer americano.

Toriel, o della “scelta del giocatore”

La boss fight contro Toriel; nel caso in questione con l’intento di ucciderla.

Dello scontro con la regina dell’Underworld, situato nel reale prologo della vicenda e pensato come un sottilissimo test d’ingresso per il giocatore, ho già parlato nel Volume II. Ciò che mi preme a questo punto è proprio contestualizzare quella battaglia e spiegare la reale profondità di questo confronto, posto non casualmente all’inizio dell’avventura (anche prima dei “titoli di testa”).

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Ah, quanto avremo da dire su di lui (e su ciò che afferma)…

Il nostro protagonista, appena caduto nel ventre del monte Ebott, fa l’immediata conoscenza di Flowey, un fiorellino dall’aspetto docile e gentile che, tuttavia, subito palesa uno dei leitmotiv (nonché una delle chiavi di lettura prioritarie, come spiegherò nei prossimi volumi) di Undertale: “kill or be killed”.

Questo incontro subitaneo, oltre a rappresentare perfettamente le coordinate etiche, il mood e le aspirazioni di Undertale, permette al giocatore di maturare sin dall’inizio una certa diffidenza nei confronti delle apparenze e delle intenzioni degli esseri di quel mondo. Flowey scientemente si prodiga per essere il primo mostro che il nostro bambino incontra e lo fa per immettere in lui un pregiudizio (se questo discorso suscita in voi certe assonanze con la scena politico-sociale di questo paese nei giorni odierni, sì, è da me voluto).

Un focolare domestico, una madre amorevole, un camino: non c’è davvero motivo per andare via…

Ed è per questo che il giocatore, pur assistendo alla solerzia e alla premura con cui Toriel scaccia via Flowey, con cui ci accompagna nel primo tratto del mondo sotterraneo e con cui ci accoglie nella sua casa, non può fare a meno di avere un leggero brivido di fronte ad alcune delle stanze della dimora chiuse a chiave, ad alcuni oggetti per infanti chiaramente messi da parte in alcuni scatoloni. Toby Fox ha instillato il dubbio circa le buone intenzioni e Toriel raccoglie questa eredità pienamente, nel momento in cui invita con una sospettosa insistenza il giocatore a non allontanarsi da quella casa.

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Toriel (to toriel, tutorial) ci conduce, letteralmente, per mano in alcuni dei puzzle del tutorial iniziale. Purtroppo non ho spazio e caratteri per spiegare le potenzialità di una soluzione simile.

Quando il giocatore, deciso a proseguire nella sua avventura, trova Toriel pararsi di fronte a sé, ha come opportunità concreta la scelta di attaccare e uccidere la regina. Nonostante i suoi atteggiamenti premurosi, nonostante le sue parole affettuose e protettive, Fox ha mirabilmente costruito un contesto (e soprattutto ha sfruttato la logica videoludica dell’ostacolo da abbattere; ma di ciò parlerò nell’ultimo volume) tale da rendere plausibile che la stessa possa celare ragioni ostili alle quali noi dobbiamo rispondere con la violenza: in fondo è un nemico, un ostacolo alla nostra prosecuzione nel gioco, è implicito che si possa (e, sotto certi aspetti, si debba) abbatterla.

Afferma con estremo acume Alessio La Greca: “ Così facendo, Toriel soddisfa a pieno il suo scopo, quello di introdurci in un mondo con delle regole ben diverse da quelle a cui siamo abituati in giochi di questo tipo. Molti giocatori sono portati ad ucciderla proprio perché è ciò che sarebbe naturale fare nei GDR, e la sua morte, così scioccante e triste, serve a mandare forte e chiaro un messaggio alla persona davanti allo schermo, ovvero che si può avere pietà. In Undertale non si sconfigge semplicemente un nemico combattendolo, lo si priva della sua vita, e Toriel è l’esempio chiave di questa verità.”

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Uccidendo Toriel e ricaricando la partita (o iniziando una nuova run), avremo accesso a queste frasi. Non è una mera chicca da sfondamento della quarta parete, ma solo un assaggio del geniale buffet servito da Toby Fox.

Quando la battaglia inizia e appare la schermata di combattimento, una musica fomentante ma con evidenti venature di mestizia comincia a suonare — sul valore comunicativo enorme dell’accompagnamento sonoro in Undertale si potrebbe redigere un articolo a se stante. Il giocatore viene attaccato da Toriel, i suoi colpi sono molto forti e possono seriamente mettere in difficoltà l’utente alle prime armi. Quindi il giocatore, messo alle strette da Toriel e sentitosi non ascoltato nei suoi tentativi di dialogare (infatti il “talk” palesa l’assenza di argomenti utili a convincerla), si trova costretto a prendere una decisione, che affonda le proprie radici sia nel contesto ambientale e relazionale di cui sopra sia nelle “logiche da videogiocatore” che portano a compiere scelte ritenute “usuali” (solitamente, nei videogiochi i nemici si sconfiggono/uccidono…).

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Le reazioni di Toriel alle prime 15 volte in cui eviteremo di combattere…

Pertanto in quel momento il giocatore ha il “pensiero di uccidere” la propria “mamma”. Non casualmente Fox fa in modo che il risparmiare Toriel esiga una ripetizione dello spare per ben venticinque volte. Solo un giocatore che ha compenetrato immediatamente il messaggio di Undertale o solo un particolare tipo di utente portato a esplorare le intime meccaniche di sistema, arriva a non uccidere Toriel.

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…le reazioni alle altre 10 necessarie per risparmiarla.

Ci troviamo di fronte a una delle prime iterazioni del poliforme concetto di determination. Quel singolo momento avrà conseguenze per tutta la run.

Asgore Dreemur, o del giocatore dall’altro lato della barricata

Una neutral boss fight contro Asgore.

Il re, per iconografia e prassi narrativa, è spesso posto come baluardo e nemico finale per il protagonista di una storia. Asgore, il monarca dell’Underground, è anch’esso prospettato sin dall’inizio come il pericolo principale e la meta ultima del viaggio del nostro protagonista: qualora volessimo scappare da quel mondo sotterraneo, l’unica chance sarebbe far propria la potente anima del re dei mostri.

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Il potente e minaccioso Re Asgore, con l’avanzare nell’Underground, viene sempre più ricondotto da abitanti e racconti a una figura pacifica e quasi timida (ennesimo trope distrutto da Fox). Arrivati nella sala del trono, intento ad innaffiare i suoi fiori gialli (sì, i fiori gialli…) il re sembra quasi impaurito alla vista del bambino.

A ben vedere, pur non essendo di fatto il boss finale in (praticamente) nessuna delle tre “run” che compongono l’esperienza di Undertale, esso è tuttavia posto come il custode dell’integrità della singola run, prima dell’introduzione o dopo l’introduzione (nel caso della genocide run) dell’elemento di rottura (in ogni senso possibile, come vedremo). Asgore, similmente a tutti gli altri abitanti del sottosuolo, non ha reali intenzioni cattive, nonostante a due passi dal suo trono trovino luogo le sei bare dei sei bambini che hanno preceduto il nostro protagonista: lui vuole proteggere la sua gente e sa che non c’è alternativa alla battaglia.

Ed è per questo che prima di iniziare lo scontro, dopo un discorso introduttivo, compie una gesto altamente significativo, sul limitare della rottura della quarta parete: con il proprio tridente distrugge il tasto “mercy”.

“Questo è senza dubbio uno dei momenti più alti di tutto il gioco, che rendono evidente come l’avventura in cui ci siamo imbattuti sia qualcosa di unico e irripetibile. Toby Fox ha trovato un modo geniale di rompere la quarta parete, ma senza sacrificare la “sospensione dell’incredulità”. Il gesto di Asgore infatti non implica che egli sappia la nostra vera natura, ovvero quella di videogiocatori.” — Alessio La Greca

Vorrei che il lettore si soffermasse su questo passaggio della boss fight, in quanto esplicativo e anticipatorio della peculiarità con cui Toby Fox tratta la comunicazione videoludica. Apparsa la schermata di battaglia, parte il theme di Asgore (ancora una volta potrei approfondire su come il mood e la personalità del nemico siano mirabilmente trasmessi dal sonoro), con una cadenza sostenuta ma dal sapore di amara ineluttabilità — dal momento che Asgore, pacifico e gentile, si vede nuovamente forzato a fare del male a qualcuno.

Bergentrückung, ovvero “Re nella Montagna” o “Re sotto la Montagna” è il nome della OST di inizio battaglia. E ciò si lega sia alla figura di Asgore, come effettivo monarca del regno sotterraneo; sia all’iconografia di questa figura mitologica, un dormiente docile, capace di risvegliarsi solo in caso di necessità ed estremo pericolo.

Poi la musica cessa e Asgore si rivolge al nostro protagonista, affermando con uno sguardo dolce ma uggioso di essere stato felice di averlo conosciuto. “Goodbye”. È in questo momento che Asgore sfila la sua lancia, celata sotto il mantello, e infrange l’opzione “Mercy”. La battaglia ha inizio.

Lo scontro contro il monarca dei mostri è un altro straordinario esempio di come Undertale comunichi mediante il gameplay. Facendo check, possiamo assistere alle statistiche di uno degli esseri più potenti dell’Underground (secondo solo alla versione potenziata di Undyne), ma non c’è ulteriore sua descrizione, tre puntini sospensivi certificano il suo imbarazzo, il suo sguardo è costantemente rivolto al terreno.

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Testa bassa, sguardo curvo, Asgore ci attacca. Ma ci lascia una possibilità.

Come se ciò non bastasse a certificare la sua riluttanza a battersi (pur nella necessità di doverlo fare), i suoi attacchi rivelano ulteriormente le sue intenzioni recondite. Con l’attacco circolare di cui sopra, Asgore, mostro di inaudita forza, potrebbe benissimo arrecarci un danno inevitabile (come suo figlio Asriel/Flowey, all’inizio della partita): eppure ci lascia uno spiraglio ogni volta. Non si tratta di mero gameplay, è comunicazione videoludica nella sua forma più pura.

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Questo processo induttivo ordito da Fox è ancora più evidente con l’attacco portato mediante la falce. Pur mantenendo lo sguardo chino per tutta la battaglia, solo in questo caso Asgore si rivolge a noi, palesando delle piccole scintille dagli occhi, che “suggeriscono” al giocatore la sequenza di attacco (attacco blu, fermo; attacco arancione, movimento). Ecco, quel suggerimento non ha solo un valore ludico (altrimenti non avremmo gli strumenti per evitare i colpi), ma soprattutto diegetico: Asgore ci sta effettivamente confidando come sopravvivere al suo attacco. Straordinario.

Tornando alla distruzione del “Mercy”, a ben vedere, non ci troviamo di fronte a una vera rottura della quarta parete, in quanto Asgore non sta effettivamente bypassando il “tramite” per comunicare direttamente con la “realtà del giocatore”. L’ambito è molto più sottile e non è che un’anticipazione (in misura minore) di quella che sarà la modalità (senza precedenti) con cui Toby Fox inscena lo sgretolamento del “cerchio magico”.

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Usando “talk” dopo essere stati uccisi da Asgore, ci permetterà di comunicargli il numero preciso (fino a un massimo di 10) di morti patite per sua mano. Il suo “annuire” cambierà in base al numero di morti. Altro assaggio della metanarrativa foxiana.

Come avrò modo di ribadire in futuro a sostegno di esempi ancor più calzanti, Fox riesce nel notevolissimo risultato di utilizzare la rottura della quarta parete non come divertissement intellettuale o un non-sequitur dal gusto umoristico; piuttosto, piega le possibilità offerte da questo effetto al fine precipuo di raccontare la propria storia. La metanarrazione in Undertale è strumento perfettamente coerente di diegesi e veicolo potente di comunicazione “ipertestuale”.

Quando Fox fa in modo che Asgore distrugga il tasto “Mercy” non sta solo veicolando unicamente con le prerogative del videogioco che il monarca è risoluto a combattere in una battaglia all’ultimo sangue in cui non sono ammesse via traverse a quelle della violenza — sebbene il giocatore possa provare il dialogo, supplicando il re di evitare di combattere, input di fronte al quale Asgore opporrà un significativo silenzio. Di più, infrangendo quel tasto, Fox sta instaurando un nuovo “orizzonte di senso”, che nasce e si alimenta delle regole del videogioco; e infine le supera.

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In realtà, qualora non ci fossimo macchiati nemmeno di una goccia di sangue prima di affrontarlo, l’opzione “Talk” sortirebbe un effetto diverso dal solito risoluto silenzio: un abbassamento delle sue statistiche di attacco e difesa.

Il tasto non è semplicemente assente nel momento in cui si inizia la lotta, bensì viene fisicamente distrutto dinnanzi ai nostri occhi; l’HUD di battaglia diventa elemento di interazione non solo per il giocatore ma per i personaggi su schermo; viene di conseguenza a crearsi un nuovo alfabeto interno al videogioco che le personalità del mondo di Undertale (e dunque, in ultima istanza, Fox) possono sfruttare al fine di comunicare. In altre parole quel gesto scandisce un neonato complesso di regole, con cui il giocatore ora dovrà fare i conti, sorgendo in lui rinnovate aspettative; giocatore che, per di più, intuisce a questo punto di “poter non avere più totale controllo” sul videogioco.

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Sconfitto Asgore, un’ultima decisione incomberà su di noi. Notare la finezza del “Mercy” ricostruito come un vaso con i suoi cocci infranti.

Se tutto questo è solo sapientemente trasmesso mediante una formula estetica (il gesto di Asgore), saranno alcuni scontri e alcuni momenti che avrò modo di illustrare a detronizzare concretamente (e non più come mera sensazione) il videogiocatore, interrompendo la rituale primazia dell’utente sul software.

Howdy!

Benvenuti in Undertale.

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Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica

Ci sono poche cose che meritano di esser dette e spesso manca anche la voglia.