Horace è sorprendente

“Cameriere, per me un Asimov allungato con molta cultura pop anni ’80 e molto ghiaccio, grazie”.

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica
8 min readApr 3, 2020

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Perché un impenitente snobbatore del contenuto critico tipico della recensione si ritrova nella propria adombrata cameretta, ai tempi del Coronavirus, a scrivere di Horace, questo indie sviluppato da due persone in croce, nelle forme della recensione?

Beh, facendo una breve mente locale, direi per almeno tre ordini di ragioni. La prima è che mi è piaciuto — è un argomento un po’ debole, ma vedetela più come una conditio sine qua non. La seconda è che è uscito relativamente da poco: Luglio 2019, un tempo sufficientemente prossimo da non rendere una recensione una cosa più ridicola di quella che intrinsecamente è. La terza è che, purtroppo, non se l’è filato quasi nessuno, nemmeno fra i più lerci degli spalatori del sottosuolo indipendente: su Reddit, tra i pochi thread sul gioco, alcuni di essi riportano della poca attenzione (e dei conseguenti pochi introiti) che il videogioco del duo britannico ha ricevuto. Non è un caso che solo qualche mese dopo l’uscita su Steam, Horace sia stato regalato sull’Epic Games Store.

In breve: faccio pubblicità (si fa per dire, eh!), senza poter e voler dire più di tanto — ergo senza spoiler — a un gioco recente che mi è piaciuto.

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TRAMA!

Come si inizia di solito…? Ah! Sì, con la sinossi dell’opera! Lo ammetto, normalmente avrei linkato la pagina wikipedia piuttosto che ripetere la stessa pappardella che tanto leggerete in qualsiasi presentazione del gioco, ma… Horace non ha una pagina wikipedia, nemmeno inglese (*sob).

Horace è un simpatico e tondo robot costruito da un altrettanto simpatico anziano in vestaglia, che vive nella sua enorme (oh, se è enorme… *wink wink*) magione insieme a moglie, figlia e servitù varia. Horace viene istruito, si affeziona ai personaggi della magione, impara ad amare il cinema e i videogame, fa delle scampagnate e diventa famoso sui giornali. Poi accadono eventi spiacevoli, ci sono figuri nell’ombra e Horace viene spento. Horace poi si riattiva — con una sequenza delirante che avrei voluto linkare, ma su Youtube non si trovano molti video del gioco (*sob x2) — e inizia il suo viaggio che lo porterà “even on the moon”, citando il buon Clifford Unger.

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Le aspirazioni narrative del titolo, così come la sua natura ironica di fondo, si evincono anche dall’uso sovente di primi piani con i quali si possono letteralmente contare i pixel.

Sì, Horace è un gioco dannatamente e sorprendentemente (fate attenzione a quante volte usi il lemma “sorpresa” in tutte le sue declinazioni, durante questa recensione) story-driven. Non solo l’opera abbonda di cutscene (al punto che nelle impostazioni c’è l’opzione per eliminare i video), le quali raccontano una vicenda elaborata ed estesa; Horace, in realtà, non nasconde sin dall’inizio il suo cipiglio cinematografico, con una regia ben presente, che riprende questi personaggi pixellosissimi con primi piani e “movimenti di macchina” studiati.

Paul Helman (qui una sua intervista) e Sean Scaplehorn volevano raccontare una storia, volevano colorarla di numerosi personaggi e avvenimenti. Questo si respira sin dalle prime ore del titolo, in questo tutorial molto narrato in cui viene messo in scena il prologo delle vicende.

Due sono le carte vincenti nella partita fra Horace-kun e Indifferenza-sama. La prima estratta dal mazzo grazie al cuore delle carte è “Capacità di sorprendere”, grazie alla quale il gioco per tutta la sua durata non lesina mai in colpi di scena ed eventi, anche assurdi e fuori da ogni logica previsione, che lasciano il giocatore in una condizione tale da spingerlo a chiedersi, costantemente, “E mo’ che succede ancora?”.

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Taaaaaaaaanti personaggi.

La seconda carta scoperta messa a terra è “Ironia sempre e comunque”. Con essa lo sfidante, pur narrando vicende non prive di approdi drammatici e anche lacrimosi, non ha mai la pretesa, date le premesse, di dare un tono serioso ai fatti, e la storia è intrisa di momenti comici, di humour (brillante, a tal fine, l’idea di filtrare tutta la storia tramite i pensieri e la voce di questo robot ingenuo, Horace appunto) e di risvolti tipici della commedia.

La partita è presto vinta da Horace-kun, che narra una vicenda leggera ma non frivola, e accompagna con le sue evoluzioni pirotecniche un gameplay fatto della stessa sostanza. I punti di Indifferenza-sama scendono a 0.

GAMEPLAY!

Già sì, ma che si fa in Horace? In una recensione con tutti i criteri del caso ora dovrei enucleare il core gameplay del titolo, cimentandomi in un’operazione tassonomica richiesta dal ruolo e sviscerandone punti di forza e criticità.

Ma io sono un pessimo recensore e ho fiducia nel fatto che tutti voi, avviando il gioco, saprete riconoscere e determinare autonomamente in cosa consistano le “azioni ludiche” tipiche del titolo, senza che qualcun altro vi abbia preparato il terreno; ricordate ancora come è “inserire un CD” senza sapere “cosa aspettarvi”? Horace è il gioco giusto per avere un momento amarcord, così come ho fatto io. Dunque non solo vi dirò molto poco di “quello che si fa” in Horace ma ometterò anche gran parte dei limiti.

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Spoiler: si salta.

Il nostro robottino dovrà fondamentalmente affrontare singoli livelli, superando ostacoli e sfruttando un paio di stivali speciali, capaci di vincere la gravità. In altri termini grazie a essi Horace è capace di attaccarsi alle pareti. Questa meccanica permette allo scenario del livello di roteare continuamente, in base alla superficie su cui Horace è ancorato. Conseguentemente, la gravità agirà diversamente in relazione a dove “si attacca” Horace: ma ciò vale solo per il robottino, il resto dello scenario seguirà le normali leggi della fisica newtoniana. Gli stivali sono il perno intorno cui ruota tutto il platforming del titolo, a cui poi, via via, si aggiungono piccole variazioni.

Sì, è il classico caso in cui spiegarlo è molto più complesso di quello che effettivamente è.

Ogni livello ha un quantitativo di “rifiuti”, il collezionabile che Horace avrà l’onere di raccogliere per motivi di trama, e non tutti questi possono essere immediatamente prelevati: baluginano qui le venature più “metroidvania” del titolo. Non tutte le zone della mappa generale (perché sì, c’è un mondo esplorabile, con tanto di negozi e mezzi di trasporto) né tutte le parti dei singoli livelli possono essere raggiunti sin da subito: Horace può potenziarsi con sempre nuove feature che gli permettono azioni e abilità necessarie per sbloccare talune aree.

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Spoiler: si viaggia.

Bene, ora mettete da parte ciò che vi ho appena detto e pensate che, in realtà, il nucleo fulgido di Horace si situi totalmente altrove.

Pensate a come il videogioco in questione alterni senza soluzione di continuità sorprendenti sezioni mutuate di peso da memorabili esperienze del gaming anni ’80. Pensate alla sorpresa nell’affrontare livelli dall’impostazione più classica che vengono succeduti da altri in cui le stesse meccaniche si declinano — vuoi per una particolare disposizione della camera di gioco, vuoi per il diverso obiettivo, vuoi per le condizioni peculiari imposte dal livello — in modi sempre diversi, o quantomeno dandone la sensazione. Pensate a vere e proprie bossfight, diverse e da decifrare, che non lesineranno di lasciare un sorriso per un’idea brillante di fondo o l’ennesima citazione lampante. Pensate a come tutto questo si succeda con un ritmo incalzante, in un flusso di colori, rimembranze e musiche, mentre una storia folle ma non banale si sciorina davanti a noi.

Un tourbillon sottolineato e rafforzato da un accompagnamento sonoro costante, da una morte che non interrompe mai l’azione data la subitaneità della rinascita (un po’ come accade ne The end is nigh), da una difficoltà giusta ma che non vuole frenare il giocatore (ed è per questo che subentrano, arrivati ad un cospicuo numero di retry nel livello, una serie d’aiuti da parte del gioco) e dalla varietà di situazioni di gioco (varietà assolutamente… sorprendente) che mirano a trascinare il giocatore.

Ah sì, per chi ci tiene: Horace è un platform con elementi metroidvania. Ma non ditelo a Dama.

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Spoiler: si fanno robe.

GRAFICA E SONORO!

C’è la pixel art. I pixel se usati bene sanno essere evocativi. [Inserire carrellata d’immagini di dimostrazione]

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Solo tre. Non si trovano molte immagini online (sob x3).

Tanti brani classici ri-arrangiati con sonorità chiptune e alcuni originali che entrano nella testa (sia per bellezza che per il numero di volte che li ascolterete), utilizzati per contribuire a dare il tono voluto ai singoli livelli. [Inserire esemplificazioni sia del primo che del secondo]

(sob x4).

LONGEVITÀ!

Se volete essere un minimo completisti, ergo se volete raggiungere il goal del milione di rifiuti (e se siete brave persone, lo volete), Horace dura una ventina di ore. Se siete pippe, di più.

GIUDIZIO FINALE!

Horace è un videogioco per chi è nato, cresce e morirà nella cultura pop. Ed Helman e Scaplehorn omaggiano quella cultura, in un inno spassionato e verace al videogioco e alla nascita della sua iconografia, in un poutpourri di rimandi e citazioni, più o meno colte, a prodotti e opere sedimentate nella nostra cultura. Così, fra una deferenza a Metropolis di Fritz Lang e un simpatico riferimento a Robocop, fra una partita al GameGuy e una sortita dietro lo specchio di Lewis Carroll, Horace si snocciola in un bombardamento di stimoli visivi e sonori, in un susseguirsi di pianti (da risata o di commozione), mentre ci arrampichiamo e saltiamo ed evitiamo ostacoli e lanciamo oggetti e facciamo un mucchio di altra roba che non vi dico, tentando di salvare il mondo; o di pulirlo, che di questi tempi è più o meno la stessa cosa.

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Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica

Ci sono poche cose che meritano di esser dette e spesso manca anche la voglia.