I piccoli giganti indipendenti

Da Bastion a Hades, la costante evoluzione di Supergiant Games.

Luca “Master Hayabusa” Sapora
Frequenza Critica
10 min readFeb 5, 2021

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“Proper story’s supposed to start at the beginning. Ain’t so simple with this one.”

A meno che voi non viviate sulla luna, durante il 2020 avrete sicuramente sentito parlare di Hades, l’action roguelite sviluppato da Supergiant Games che ha fatto incetta di elogi, nomination e premi un po’ ovunque. E a buona ragione.

A ben vedere la cosa più difficile nel tentare di spiegare cosa renda Hades speciale è decidere da cosa cominciare: dall’eccezionale art direction o dalla impressionante quantità (e qualità) di dialoghi interamente doppiati? Dai combattimenti allo stato dell’arte o dalla straordinaria reattività della narrazione, inserita peraltro in un genere che per ovvi motivi poco si presta a grandi pretese narrative? Hades, insomma, ne ha un po’ per tutti.

Per chi conosceva già Supergiant Games nulla di tutto questo è una sorpresa, visto che il piccolo studio californiano ha nell’ultimo decennio fatto della costante qualità e ambizione un marchio di fabbrica, merito del vero e proprio “dream team” che ne compone il nucleo fondante.

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Da sinistra verso destra: Amir Rao, Darren Korb, Greg Kasavin, Jen Zee, Logan Cunningham, Gavin Simon e Andrew Wang.

Un modello virtuoso

Supergiant Games nasce nell’ormai lontano 2009 per mano di Amir Rao e Gavin Simon, due sviluppatori ex Electronic Arts precedentemente impegnati sulla serie di Command & Conquer, decisi a tentare di inserirsi in quel mercato indipendente che proprio in quegli anni stava iniziando ad affermarsi con forza.

Si unisce a loro quasi da subito Greg Kasavin (scrittore e creative director), ex critico e direttore di Gamespot che aveva nel 2007 intrapreso la carriera di sviluppatore, conosciuto dai due proprio durante il periodo a EA. Ben presto poi il team si completa con Darren Korb (audio director), Jen Zee (art director), Andrew Wang (technical director) e Logan Cunningham (voice actor), andando a comporre l’affiatato nucleo di personalità estremamente specializzate che ha fatto la fortuna dello studio dai tempi di Bastion ad oggi.

Al di là delle qualità individuali dei membri, la forza di Supergiant sta infatti nel contesto di sviluppo sano che sono riusciti a creare, molto lontano dal modello che sempre più spesso vediamo al centro di polemiche in riferimento alle software house più grosse e blasonate. È grazie a questa gestione virtuosa che il team non ha praticamente avuto turnover negli anni, con i sette membri originali ancora al loro posto e una progressiva crescita (oggi lo studio conta 18 membri) sempre tenuta sotto controllo, per mantenere un contesto che si potrebbe definire quasi familiare, come si può vedere anche nell’interessantissimo documentario di NoClip.

È anche grazie a questa stabilità se tutti i giochi firmati Supergiant risultano immediatamente riconoscibili, dotati di uno stile e di una personalità peculiari nonostante le spesso enormi differenze tra un progetto e l’altro. Se dovessi identificare i punti di contatto che rendono un gioco chiaramente “Supergiant”, come un fil rouge che va da Bastion sino a Hades, potrei riassumere in quattro parole: presentazione, personalizzazione, reattività narrativa e…morte.

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Colori e musica

La forza della presentazione è certamente il tratto più evidente dello storico di Supergiant Games, quello che chiunque conosca anche solo vagamente la nomea dello studio ha ben presente. Che sia per i lussureggianti scenari di Caelondia, l’estetica art nouveau di Cloudbank, l’incantevole character design degli abitanti del Downside, o per la splendida rappresentazione degli abissi del Tartaro e delle Divinità olimpiche, è difficile non restare incantati dallo stile di Jen Zee. Altrettanto camaleontico, oltre che altrettanto fondamentale nell’identità di Supergiant Games, il musicista Darren Korb si è dimostrato capace di adattare il proprio stile al tono richiesto per ogni specifico setting, passando dai toni caldi e country di Bastion a quelli elettronici e talvolta distorti di Transistor, fino alle ballate di Pyre e le sonorità metal di Hades.

Non si può a questo punto non citare Logan Cunningham, voice actor in tutti e quattro i giochi Supergiant, le cui interpretazioni sono diventate un vero e proprio marchio di fabbrica dello studio. Certamente l’esempio più ovvio è Bastion, che non sarebbe quello che è senza la possente voce di Cunningham a narrare ogni passo del giocatore, ma anche il suo ruolo negli altri titoli non va affatto sottovalutato.

Pur senza voler sminuire il ruolo centrale della componente audiovisiva, per fortuna non ci troviamo di fronte a un caso di “tutta forma e niente sostanza”, e molto spesso i lavori di Supergiant si sono distinti anche per la qualità dei sistemi di gioco, oltre che per l’integrazione di questi con la narrazione.

Funzioni, build e comfort zone

Prima di giocare Hades avevo pochi dubbi su quale fosse la mia preferita tra le opere dello studio californiano: Transistor. Se di Bastion avevo adorato lo stile artistico e l’unicità della narrazione, rimanendo però tiepido di fronte a un impianto ludico hack & slash a mio modo di vedere non entusiasmante, Transistor seppe folgorarmi anche e forse soprattutto con il suo brillante mix di azione e strategia, con il sistema di “Functions” a fare da punta di diamante.

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Il sistema di Functions esemplifica al meglio quello che ho prima indicato col termine “personalizzazione”. Fondamentalmente in Transistor il giocatore ha a disposizione poco più di una dozzina di abilità — chiamate appunto funzioni — che possono però essere equipaggiate in tre slot: attivo, passivo e di potenziamento a un’altra abilità, con effetti anche radicalmente diversi. Questo dà al giocatore una notevole libertà di sperimentazione e la possibilità quindi di esprimere il proprio stile di gioco in maniera del tutto personale, mettendo a sua disposizione centinaia, se non migliaia, di possibili combinazioni.

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L’enfasi sulla personalizzazione dell’esperienza del giocatore si estende anche a un altro ambito, comune a tutti i titoli Supergiant: la gestione della difficoltà. Invece delle classiche impostazioni standardizzate, ogni gioco presenta una variante di quelli che potremmo definire dei “modificatori” di difficoltà, accessibili solo da un certo punto del gioco in poi, che vanno a modificare l’esperienza di gioco in maniera modulare. Così innanzitutto viene consentito al giocatore di prendere dimestichezza coi sistemi di gioco prima di dover decidere quale sia il livello di difficoltà adeguato, dopo di che gli viene consentito di scegliere “come” vuole rendersi la vita difficile, dal semplice aumento di punti vita dei nemici fino all’aggiunta di nuovi pattern d’attacco ai boss.

D’altra parte si potrebbe dire che a volte il ruolo del game designer sia anche quello di proteggere il giocatore da se stesso, per evitare di farlo cadere in una comfort zone che finisca per fargli solo scalfire le potenzialità dei sistemi di gioco. A tal proposito Amir Rao e compagni hanno spesso messo in atto intelligenti incentivi per spingere i giocatori a non affidarsi sempre alle stesse soluzioni, sperimentando con le opzioni a disposizione. In Transistor ad esempio, qualora il giocatore dovesse perdere tutti i punti vita non andrà immediatamente incontro al game over, ma perderà accesso alla sua abilità più potente, non solo per la durata dell’incontro stesso ma anche per un paio di scontri successivi, obbligandolo a trovare un’alternativa. O ancora, sempre in Transistor, l’utilizzo di ogni abilità nei vari slot sblocca contenuti nel codex del gioco, inserendo un incentivo narrativo alla sperimentazione ludica.

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In Pyre, l’atipico e spesso un po’ sottovalutato mix tra visual novel e sport game, in un certo senso l’intera struttura ludico-narrativa è costruita intorno alla necessità di “rinunciare” definitivamente a uno dei membri della squadra più utilizzati ogni volta che si vince un “Rito di liberazione”, il che impedisce di fatto al giocatore di affidarsi agli stessi personaggi per tutto il corso dell’avventura. Lo stesso Hades infine lega il suo sistema di ricompense all’utilizzo delle diverse armi a disposizione, impedendo al giocatore di ottenere tutte le risorse con la stessa arma. Insomma, se da un lato Supergiant dà al giocatore la possibilità di personalizzare la propria esperienza di gioco, dall’altro tenta sempre in qualche modo di stuzzicare il giocatore, spingendolo a non adagiarsi e a provare cose nuove.

Storie interattive, il giocatore come co-narratore

Sin da Bastion una caratteristica fondamentale — se non forse proprio la più importante — nella formula di Supergiant Games è stata la qualità narrativa. Non semplicemente per i pur ottimi dialoghi scritti da Greg Kasavin, ma proprio per i modi spesso piuttosto creativi con cui questa narrazione è stata di volta in volta inserita nella struttura di gioco. Durante lo sviluppo di Bastion gli sviluppatori si trovarono in difficoltà nel decidere come sposare narrazione e giocato in un modo che non creasse dissonanze, non rompesse i ritmi e l’equilibrio del gioco interrompendolo forzatamente con scene di intermezzo. La soluzione, a posteriori a dir poco brillante, fu quella di inserire una voce narrante, quella di Logan Cunningham, che narrasse gli avvenimenti del gioco in tempo reale, senza mai interrompere il flusso del gameplay.

La peculiarità della narrazione di Bastion è poi anche data dal fatto che il narratore reagisce alle azioni del giocatore, non limitandosi a commentare gli avvenimenti narrativi scriptati. Se ad esempio il giocatore fosse preso da un improvviso raptus, piuttosto tipico nei videogiochi, e decidesse di distruggere ogni barile o cassa si pari sulla sua strada, il narratore commenterà questo avvenimento come parte della narrazione stessa, invece di ignorarlo e far finta non sia successo, come spesso accade. In questo modo il giocatore è reso parte integrante della narrazione, non mero spettatore ma interprete degli avvenimenti, quasi co-narratore.

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Questo interesse per la reattività della narrazione trova piena realizzazione in Pyre, dove Supergiant abbandona in parte la narrazione lineare per mettere al centro le scelte del giocatore. In Pyre si controlla un gruppo di esiliati, impegnati a lottare per la libertà in una particolare competizione sportivo-ritualistica. A seconda delle scelte fatte dal giocatore in tutto il corso del gioco, oltre che dalle sue stesse prestazioni ludiche (essendo del tutto assente il game over), alla fine potranno aver raggiunto tale libertà un numero e una combinazione del tutto variabili di personaggi, portando il numero di variazioni potenziali del finale a diverse centinaia. La narrazione si adatta in modo sorprendente alle azioni del giocatore, dando la sensazione di una storia personale, unica, anche se di fatto ovviamente prestabilita.

Accettare la morte

Una forma particolare di reattività alle azioni del giocatore è data dalla reazione del gioco alla morte, al fallimento. Tradizionalmente nei videogiochi la morte è stata vista come un incidente di percorso, un qualcosa di separato da un flusso narrativo idealmente continuo, come un ciak sbagliato da ripetere, ricaricando il checkpoint e facendo finta di niente. Specialmente negli ultimi anni non sono però mancati tentativi di sanare questa frattura (chi ha detto Dark Souls?), tra cui anche quelli di Supergiant Games, in particolare con Pyre e, ovviamente, Hades.

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Se già in Transistor si può vedere un primo piccolo tentativo di integrare la sconfitta senza interrompere la continuità narrativa, con la perdita di un’abilità per volta a ritardare un game over definitivo però pur sempre presente, è con i due lavori successivi che Supergiant affronta davvero la questione.

Pyre, come già detto, non presenta game over. Perdere uno scontro non implica un fallimento definitivo, e anzi potenzialmente il giocatore può perdere ogni singolo scontro del gioco e arrivare comunque a una conclusione narrativa che abbia un suo senso, magari neanche insoddisfacente per certi versi. La sconfitta è inserita in un flusso narrativo sempre continuo, che obbliga il giocatore ad affrontare le conseguenze del fallimento e a “continuare a vivere”.

Certo, va anche detto che in Pyre la sconfitta non implica la morte. Ben diverso è tentare di integrare nella narrazione la morte del personaggio principale, ancora più ambizioso è pensare di poterlo fare in un genere come quello dei roguelike, in cui la morte è la prassi e la narrazione tendenzialmente un orpello trascurabile. Eppure Hades riesce a fare proprio questo, trasformando il ciclo di morte e ripetizione costante tipico dei roguelike in un flusso narrativo continuo, coerente persino dopo i titoli di coda stessi e potenzialmente all’infinito.

Se nei roguelike solitamente la morte è una punizione per il giocatore, in Hades la morte è paradossalmente anche un premio, in quanto implica il poter assistere a nuovi dialoghi, commenti dei personaggi sulla “run” appena conclusa o anche avanzamenti nelle side quest e nelle relazioni. Nonostante Hades, al contrario di Pyre, non abbia una storia di fatto influenzabile dalle scelte del giocatore, attraverso una semplicemente mastodontica quantità di linee di testo uniche e a un sistema di dialogo notevolmente reattivo, dà sempre al giocatore la sensazione di essere inserito in una narrazione unica, da lui co-costruita passo dopo passo.

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Hades rappresenta quindi per molti versi la summa del percorso di Supergiant Games, capace di riprendere e attualizzare idee da tutti i lavori precedenti: i combattimenti action frenetici e la narrazione reattiva di Bastion, la profondità di personalizzazione e costruzione delle build di Transistor, il mix tra visual novel ed action con game over diegetico visto in Pyre. Il tutto come sempre arricchito dallo stile audiovisivo meraviglioso per cui Supergiant è famosa, e inserito in una struttura roguelite a dir poco assuefacente.

Per il futuro, da una software house che è passata da un ibrido action-strategy, a uno strano esperimento con elementi visual novel e sportivi, per finire su un solo apparentemente più classico action roguelite, è difficile sapere precisamente cosa aspettarsi. Quel che è certo è che qualsiasi cosa sia, ne varrà la pena.

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