Il miglior gioco VR di cui non avete sentito parlare

Tra Alyx e Boneworks si nasconde una piccola gemma passata inosservata.

Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica
13 min readMay 21, 2021

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the walking dead saints and sinners copertina

Grazie ad alcuni recenti risultati competitivi (chi ha detto che i videogiochi sono uno spreco di tempo?) mi sono finalmente potuto permettere l’ingresso nel mondo della realtà virtuale, grazie al relativamente modico prezzo del Quest 2 e la sua compatibilità col mondo PC che mi ha permesso di accedere ai titoli più rilevanti della piattaforma — su tutti, naturalmente, Alyx e Boneworks.

Titoli che, a scanso di equivoci, ritengo essere davvero di alta qualità, soprattutto Half-Life. Ma, mentre quest’ultimo si culla troppo nella sua identità da “il mio primo gioco VR”, finendo per osare meno di quanto avrebbe tranquillamente potuto fare, Boneworks va nella direzione opposta, spingendo verso una libertà che spesso non riesce a gestire o giustificare. Mentre questi sarebbero argomenti potenzialmente interessanti da approfondire (e sarebbe anche doveroso spiegare i molti modi in cui invece riescono nel loro obiettivo), quello di cui voglio parlare oggi è un gioco che, invece, trova quella via di mezzo tra i due titoli che prende il meglio di entrambi i mondi: un prodotto che offre la libertà di azione che ci si aspetta dal VR e la mette in un contesto che gli dà significato e profondità.

Sto parlando di The Walking Dead: Saints & Sinners, gioco che avrei facilmente ignorato se non fosse stato raccomandato da un amico. Vi invito a non fare questo errore, e cercherò con questa recensione di spiegare il perché.

La licenza di The Walking Dead, che non ha bisogno di presentazioni, si presta molto bene alla struttura con cui Saints&Sinners si presenta, ovvero un survival horror pensato per il VR. Vestiremo i panni del “Turista”, che si avventura a New Orleans nel mezzo dell’apocalisse. Qui apprende dell’esistenza della Riserva, un bunker militare ricco di risorse che rappresenta l’obiettivo finale della nostra permanenza in città. Raggiungere questo posto non sarà facile per diversi motivi; oltre al doverne scoprire la posizione e trovare un modo per entrare, il giocatore si troverà coinvolto in una guerra tra due fazioni — la Torre, una comunità severa con zero tolleranza verso quelli che giudicano come “pesi morti”, e i Reclamati, ex-membri della Torre che cercano di trovare un senso nell’apocalisse che non sia solo sopravvivere fino al giorno dopo. Mentre il suo obiettivo finale sarà sempre la Riserva, il Turista potrà decidere di aiutare (o attaccare) le fazioni in questione lungo la strada, cosa che potrà semplificare o complicare le incursioni giornaliere in città — nelle quali cercherà di recuperare vari “pacchi” per una persona che potrebbe garantirgli l’accesso all’agognata meta.

Questo si traduce, in termini di gameplay, in quello che viene introdotto come un survival horror. Dalla prospettiva in prima persona del Turista il giocatore dovrà avventurarsi in una decina di aree liberamente esplorabili, cercando sia di completare una serie di obiettivi sia di trovare risorse utili alla sopravvivenza, combattendo zombie e (non sempre, ma spesso) nemici umani. Ed è qui che possiamo cominciare a parlare dei modi in cui Saints&Sinners si distingue dal resto, partendo da ciò che, in VR, non è tanto ovvio — i controlli e il modo in cui il giocatore interagisce con il mondo.

Trattandosi di una tecnologia ancora in piena infanzia, infatti, non c’è ancora uno standard per come il giocatore si muove attraverso i livelli. Alyx, per esempio, non si fa problemi ad appoggiarsi sulla sua componente più “ludica” per semplificare la vita al giocatore: la pistola è incollata alla mano destra (o sinistra, per i mancini) e viene equipaggiata con la semplice pressione di un tasto, che attiva la classica ruota delle armi a cui siamo stati abituati dagli sparatutto console degli ultimi anni. Questa scelta indica una filosofia di design di fondo — Half-Life è, essenzialmente, più “limitato” a livello di interazioni. Avere una mano sempre dedicata alla pistola riflette la relativamente bassa utilità dei molti oggetti fisici in giro per il gioco, che sono lì perlopiù per essere spostati e buttati per terra in cerca di preziose munizioni o medikit. Mentre questo non danneggia in maniera rilevante l’esperienza, la rende comunque ben diversa dalla libertà assoluta di Boneworks, dove ogni azione è possibile se si desidera farlo. Si può uccidere un nemico sparandogli addosso, tirandogli un’ascia addosso, afferrandogli la testa e schiantandola contro il muro finché non muore — la scelta è puramente in mano al giocatore, e Boneworks fa davvero poco per incentivare una scelta al posto dell’altra. Una lama a doppio taglio, visto che mentre ogni opzione è divertente non c’è davvero nulla a giustificare un approccio al posto di un altro, riducendo lo spessore tattico a… beh, zero.

Qui entra in gioco Saints&Sinners, che offre la stessa libertà di Boneworks ma gli dà uno scopo e ne raffina le parti più grezze, creando l’esperienza VR più fisica e coinvolgente che abbia provato finora.

the walking dead saints and sinners machete e pistola
Quale arma sarà più adatta per sopravvivere all’inferno?

Al fine di non annoiarvi troppo partirò dal dettaglio per poi allargare al contesto più grande. In questo caso, il dettaglio è il combattimento — il cuore pulsante di Saints&Sinners, e quello che farete per la maggior parte della vostra permanenza a New Orleans.

New Orleans, città che è popolata da due tipi di nemici: gli zombie, come da copione, e sopravvissuti umani, che generalmente partono come neutrali e possono diventare ostili in base alle azioni del giocatore. In entrambi i casi quest’ultimo ha accesso a diversi strumenti con cui eliminare le minacce, divisi grossomodo in due gruppi — armi da fuoco e armi corpo a corpo. Per eliminare uno zombie, come suggerisce il tutorial, il modo più efficace è distruggergli il cervello, che sia con un colpo di pistola o piantandogli un coltello attraverso il cranio. È su quest’ultimo metodo su cui voglio soffermarmi un attimo, perché Saints&Sinners ha di gran lunga il miglior corpo a corpo che abbia avuto il piacere di provare in VR.

Alyx non ha un sistema corpo a corpo, quindi riprendiamo il paragone con Boneworks. Mentre questo è probabilmente più libero di S&S, l’ho trovato francamente riuscito a metà. Usare le armi a due mani è poco agevole e la precisione che richiedono è millimetrica, al punto che a un certo punto ho impugnato un’ascia a due mani per il collo e non la agitavo, limitandomi a dare colpi leggeri ai robottini che mi saltavano addosso, lasciando che fossero loro a fare il lavoro fisico. TWD è leggermente più permissivo, ma la differenza è colossale: affondare il coltello nella testa di uno zombie è facile e incredibilmente soddisfacente, quasi quanto rimuoverlo subito per piantarlo nell’occhio del secondo zombie che si avvicina rapidamente. A differenza di Boneworks, dove è molto facile arrivare a muoversi goffamente e mancare il bersaglio (o, peggio, mollare l’arma per terra e fare la figura del citrullo), Saints&Sinners riesce a rendere ogni azione fluida, dall’estrarre l’ascia dalla fondina sulla schiena al tirarla contro il nemico più vicino — i controlli sono bilanciati al punto giusto, dove ogni azione viene eseguita con una naturalezza che rivaleggia con Alyx, ma con molta più libertà nelle azioni possibili.

Parlando di asce, una delle parti più impressionanti di S&S è il modo in cui riesce a trasmettere la “sensazione del peso”, cosa particolarmente notevole quando parliamo di qualcosa come una robusta arma a due mani, come un piede di porco o un’accetta. Il trucco è semplice ma geniale: a meno che non impugniamo l’arma nel modo giusto, semplicemente, non si riuscirà a utilizzarla correttamente. Se prendiamo una mazza da baseball ad una mano, per esempio, il colpo sarà goffo e senza controllo. Ma non basta semplicemente usare due mani: senza disporle come si farebbe con una mazza reale, infatti, il colpo sferrato risulterà debole, come se si fermasse a metà prima di completare il movimento. Disponendo le mani in maniera corretta verrà molto più naturale, poi, eseguire il movimento, che rende incredibilmente soddisfacente fare azioni che già di loro sono davvero niente male, come decapitare uno zombie con un potente colpo d’ascia da dietro la spalla. Ho giocato a diversi giochi VR con il corpo a corpo (Boneworks, Sairento, Gorn — Blade&Sorcery si avvicina ma è meno “intuitivo”), ma nessuno di questi è andato anche solo vicino all’incredibile sensazione che trasmette Saints&Sinners.

the walking dead saints and sinners uccisione corpo a corpo
Il modo più pulito per uccidere uno zombie non è una pistola, ma un coltello.

A differenza di Boneworks, inoltre, S&S ha un bilanciamento (dettato dalla sua natura da survival horror) che gli garantisce una profondità sistemica che manca nell’altro gioco. In termini molto semplici, le armi si rompono. Non solo quelle corpo a corpo — la cui durata è determinata dalla qualità dell’arma — , ma anche pistole e fucili si consumano col tempo, oltre all’ovvio problema di doverne gestire le munizioni. Qui è dove le cose cominciano a farsi interessanti, sia da un punto di vista survival che da uno più inaspettato.

Il primo aspetto è formato dal crafting (non scappate, giuro che questa volta è decente!), le nostre statistiche e dalla gestione dell’inventario. Il gioco è diviso in giornate: possiamo scegliere liberamente tra una decina di aree da visitare, sia per completare gli obiettivi della storia che per cercare risorse con cui sopravvivere. Abbiamo a disposizione due fondine piccole, due grandi e uno zaino con una trentina di spazi liberi. Questo sarà la parte fondamentale dell’esplorazione, in quanto quei trenta spazi risulteranno molto rapidamente stretti, dovendo dividerli tra loot utile e strumenti per la sopravvivenza, come coltelli extra portati per rimpiazzare quello principale in caso di rottura, o bende per curare una brutta ferita, o cibo per recuperare la stamina persa. Sì, perché ci sono anche dei bisogni. Bisogni non letali (vita e stamina non scenderanno mai sotto il 50% massimo), ma che comportano delle severe limitazioni (50% di vita massima vuol dire che un colpo di shotgun ben piazzato può uccidere istantaneamente il giocatore), da cui il bisogno di cercare risorse — medicine per recuperare vita, cibo per recuperare stamina, materiali vari per il crafting… all’improvviso lo zaino è pieno, e bisogna scegliere bene cosa portare con sé.

Inutile dire che le armi trovate in giro non sono il massimo, il che rende le armi create dal giocatore ancora più preziose. Fortunatamente il crafting non è pesante come in altri giochi: le risorse da raccogliere non sono troppe e le ricompense sono pratiche, come una potente doppietta o una lama più resistente. Questi oggetti di “alto livello” verranno alternati alle armi più scarne trovate in giro per le mappe, che variano da coltelli rubati da cadaveri a vere e proprie armi improvvisate, come cacciaviti o bottiglie, spaccate contro un muro per ricavarne una lama improvvisata. Uno dei pregi maggiori del gioco è, infatti, il modo in cui permette di usare tutto in maniera dinamica e credibile, pregio che funziona bene esattamente perché è in VR. Per esempio, mi è capitato di star puntando il mio arco nuovo di zecca verso una guardia che pattuglia l’edificio in cui mi devo infiltrare, per poi sentire il verso di uno zombie che si avvicina dietro di me. Nessun problema: afferro la freccia dall’arco con la mia mano libera, mi giro di scatto e la pianto nella testa del nemico, eliminandolo sul colpo. Il formato VR rende l’azione incredibilmente naturale e fluida, creando un tipo di azione impossibile da replicare tradizionalmente.

Quello su cui voglio portare l’attenzione dal paragrafo di sopra però non è questo. Ho accennato alla possibilità di spaccare una bottiglia per usarla come lama improvvisata. La prima volta che l’ho fatto ho scoperto che… beh, rompere una bottiglia fa rumore. Uno zombie ha sentito l’azione ed è salito al piano di sopra per investigare. Fortunatamente l’avevo notato e ho rigirato l’azione a mio favore, nascondendomi e colpendolo alle spalle mentre stava ancora investigando il rumore. Questo esempio di meccaniche “abusabili” dal giocatore è il primo esempio di un fatto inaspettato: Saints&Sinners non è solo un survival horror. È un immersive sim.

the walking dead saints and sinners zombie e fucile
Non sempre attaccare a testa bassa è la decisione giusta.

Ora che abbiamo i pezzi individuali, è il momento di metterli insieme nel grosso quadro del mission design di Saints&Sinners. Come accennato all’inizio, l’obiettivo principale del gioco sarà recuperare dei documenti per una certa persona. Il problema, però, non è solo l’orda di zombie che si porrà tra il giocatore e il pacco in questione a creare problemi. L’ostacolo numero uno è, invece, la posizione del pacco stessa, che si troverà quasi sempre in un edificio appartenente a una delle due fazioni menzionate all’inizio, la Torre e i Reclamati. A prescindere dal rapporto attuale con il giocatore, queste aree saranno sempre considerate “off-limits”, ed essere scovato a girovagare all’interno porterà la fazione in quesitone ad aprire il fuoco contro il protagonista. E qui è dove le cose iniziano a farsi interessanti.

Interessanti perché l’assalto frontale non è l’unica opzione. Anzi, scegliere di attaccare apertamente i membri delle fazioni porta a conseguenze a lungo termine, visto che il giocatore verrà attaccato a vista durante le missioni successive, complicando la situazione. Ed è qui che entra in gioco, un po’ inaspettatamente, un level design di una discreta complessità: la maggior parte degli edifici principali ha più ingressi a disposizione, permettendo più approcci. Faccio un esempio: in una delle prime missioni, al primo tentativo, sono passato per il garage della casa, prendendo delle scale che mi hanno portato sul tetto. Sfortunatamente una guardia pattugliava quest’area, costringendomi ad aprire il fuoco e combattere attraverso l’edificio, eliminando tutti gli abitanti a colpi di doppio revolver. Purtroppo l’assalto mi ha impiegato troppo tempo, e sono finito dritto nell’orda di zombie che mi ha reso impossibile fuggire, uccidendomi. Al secondo tentativo ho trovato una strada alternativa che portava direttamente sul retro, protetta da barattoli appesi a corde che funzionano da allarme improvvisato. Dopo aver ucciso silenziosamente la guardia sul retro con l’arco ho tagliato le corde dei barattoli con il coltello, assicurandomi di non farli cadere tenendole con l’altra mano, raggiungendo infine la fontana dove si trovava l’agognato documento. Fuggito senza grossi spargimenti di sangue.

E quest’azione dei barattoli, in VR, acquisisce un peso a sé stante che si sposa benissimo con la natura più aperta degli immersive sim. In un’altra situazione c’erano troppe guardie ad aspettarmi, quindi ho preso una lattina per terra e l’ho lanciata contro il muro, portando una delle guardie a investigare portando ad un’uccisione silenziosa. Questa, di per sé, è un’azione standard degli stealth dai tempi di Thief, ma in VR acquisisce una nuova naturalezza e fluidità… e anche tensione, perché sì, capiterà più di una volta di ritrovarsi col revolver scarico con nemici che si avvicinano rapidamente, e ricaricare non è semplice come premere un tasto. Un altro esempio, ancora, è usare gli zombie come distrazione, portandoli dai nemici per tenerli occupati e far spostare certi nemici dalle loro posizioni normali per aprire temporaneamente un ingresso. Insomma, la forza principale del genere immersive sim — quel “se voglio, posso” che stimola la creatività e ci fa sentire ricompensati a ogni idea completata con successo — si sposa perfettamente alle opportunità del VR, che permette di completare azioni complesse con estrema semplicità.

the walking dead saints and sinners zombie
Gli zombie non devono per forza essere un nemico da abbattere.

Ma Saints&Sinners non si limita alla libertà di gameplay. Alle opportunità offerte da level design, meccaniche e VR si affianca una controparte ruolistica sorprendentemente ricca. Stiamo parlando non solo di subquest che permetteranno al giocatore di ottenere ricompense extra, ma di vere e proprie scelte morali da affrontare, che pur non avendo le conseguenze a lungo termine di un gioco di ruolo vero e proprio ci mettono davanti a situazioni dove la scelta giusta non è ovvia, soprattutto quando le due fazioni in gioco sono al massimo nella zona grigia della moralità. I Reclamati ci chiedono di uccidere qualcuno che descrivono come un assassino in cambio del loro aiuto nell’assaltare l’edificio protetto dalla Torre — accettiamo il loro aiuto? Li uccidiamo in cambio del favore dei membri della Torre? O ce la gestiamo da soli? In tutti i casi la soluzione non è bianco o nero come viene descritta, e può lasciare una brutta sensazione nello stomaco.

Quando viene messo tutto insieme, l’esperienza di The Walking Dead: Saints&Sinners è qualcosa di davvero unico. L’esperienza globale è resa immediatamente soddisfacente dall’eccellente sistema di corpo a corpo e intrigante dalle decisioni costanti create dalle meccaniche survival, le missioni risultando profonde e avvincenti grazie alla combinazione di level design e interazioni sistemiche da immersive sim, e il tutto acquisisce peso con le scelte morali a breve termine combinate con le conseguenze a lungo termine del sistema di fazioni, il tutto costruito attorno al VR sotto ogni aspetto. Il risultato è un’avventura dove ogni singola escursione nella città di New Orleans diventa memorabile per motivi diversi e unici tra loro, spaziando da un’infiltrazione silenziosa a una drammatica fuga dalla città inseguiti dall’orda di zombie. Saints&Sinners è, semplicemente, un’esperienza VR completa e memorabile.

Ma forse non rifinita come dovrebbe, perché di difetti ne ha. Uno su tutti, che va menzionato nonostante l’entusiasmo che ho per questo gioco: l’IA, che molto semplicemente fa fatica a stare dietro al giocatore in più situazioni. Spesso faticano a inseguire il Turista o vengono distratti da zombie vicini, risultando in scontri a volte un po’ comici. Mentre non posso negare il peso di questo problema, il fatto che gli zombie siano il nemico più comune aiuta un po’ (gli zombie sono stupidi per definizione, d’altronde). C’è anche il finale, che risulta un po’ frettoloso sotto certe aspetti, ma sotto questo aspetto aiuterà (si spera) il prossimo DLC in uscita a breve, che proseguirà direttamente dalla fine del gioco base.

the walking dead saints and sinners scelta
Nel mondo di The Walking Dead non esistono scelte corrette.

Saints&Sinners non è un gioco perfetto. Nessun gioco lo è, ovviamente, ma i difetti della nuova avventura nel mondo di TWD non sono trascurabili. Quello che invece è, tuttavia, è l’esperienza più completa che abbia provato finora in VR. Dove Alyx esita nel concedere troppo e Boneworks fatica a giustificare il troppo che dà, S&S trova il compromesso giusto. È un gioco che non avrebbe avuto senso senza il VR, ma allo stesso tempo ha la profondità a cui siamo abituati dai titoli che abbiamo visto negli ultimi anni. Soddisfacente nel gameplay immediato e profondo sul lungo andare, è un perfetto esempio di quello che questa nuova piattaforma può offrire di unico rispetto al videogioco più tradizionale a cui siamo abituati, mantenendone comunque gli aspetti più importanti e profondi. Sicuramente Alyx resterà il vostro primo acquisto insieme al visore VR, ma salvate qualche soldo per una visita a New Orleans — potreste rimanere sorpresi da ciò che vi aspetta.

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Lorenzo “Dyni” Sarno
Frequenza Critica

Non so scrivere e passo tre quarti del mio (illimitato) tempo libero giocando ai picchiaduro. Non sono capace neanche a quelli.