La necessità della polemica inutile

Per nuotare in queste acque devi essere pronto a tutto.

Ioannis Largo
Frequenza Critica
7 min readJun 5, 2021

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Aloy-Horizon

Prima di iniziare è immediatamente necessaria una piccola precisazione: io non possiedo un abbonamento a un servizio come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, Hulu e così via. Possiedo un vecchio televisore e amo guardare i telefilm polizieschi su RAI 2, che siano le innumerevoli repliche di NCIS Los Angeles/New Orleans/Frattamaggiore o The Rookie con il santissimo Fillion. Dietro alla parte del vecchiaccio incapace di comprendere i videogiochi contemporanei e attaccato agli anni 90 come una cozza su uno scoglio, c’è qualcosa di vero, c’è davvero una personcina incapace almeno in parte di comprendere i media moderni.

Dopo questa introduzione, passiamo al sodo.

Questa storia inizia diverse ore fa, quando leggo questo tweet di Alessandro Apreda, il famoso e conosciutissimo Dr. Manhattan.

Piccola precisazione parte seconda: Doc è uno dei pochi esperti del campo videoludico/fumettistico/filmistico/giocodiruolisitco che seguo con piacere e soprattutto che non mi annoia. Uno dei pochi in questa società in cui viviamo che mi ispira sincerità e passione.

Spinto dalla curiosità, vado alla ricerca della polemica primigenia.

Nel momento in cui sto scrivendo, tal tweet è stato retwittato 22086 volte. Tralasciando le risposte, i cuori e altri retweet secondari, vi lascio tal immagine: io vado con un megafono in mano nella piazza di Ariano Irpino, ridente comune dell’avellinese dai 22.000 abitanti, dico una qualsiasi cosa e in pochi secondi ribattono tutti, dall’ottantenne anziano al neonato di dodici giorni. Curioso scorro i vari retweet per vedere se ci sono anche persone “famose” con il bollino azzurro: molti youtuber e streamer, diversi giornalisti del settore, addirittura una playmate, ma anche i famosi Josh Sawyer e Brianna Wu.

Due pensieri si sono formati mentre scorrevo la lista dei retweet.

  • Milioni di look the ratio, ahahahaa non hai mai visto una donna, incel, gamer moment. Io ribadisco la necessità di restare umani, staccare la spina dei nostri congegni elettronici, scendere in strada e menarci. È in gioco la salute mentale di tutti quanti.
  • L’abuso delle parole “politico” e “realismo/realistico”, semplici buzzwords prive di qualsiasi significato utilizzate non per dimostrare la propria tesi o per attaccare l’avversario, ma per rimarcare l’appartenenza a gruppi di valori.

Non è realistico che Aloy sia truccata, perché vivacchia in un mondo post-apocalittico dove la società è regredita allo stato tribale. Tralasciando il fatto che l’autore del tweet originario parla di femminilità e non di trucco, uno potrebbe controbattere nell’affermare che già di per sé non è realistico un mondo post-apocalittico con dinosauri-robottoni, quindi sarebbe giustificabile la Aloy truccata, in quanto l’ambientazione non è realistica in principio. A sua volta uno potrebbe sostituire quel “realismo” con “verosimiglianza” e così via. Si arriverebbe alla stesura di una tabella in cui si definisce una volta per tutte cosa è realistico, cosa è verosimile, cosa è fantastico.

Io mi domando: quando un videogioco è realistico?

Se il realismo implica un riproduzione 1:1 della realtà, nessun videogioco può essere realistico, nessuno, manco Microsoft Flight Simulator. Allora realismo cosa comporta? La riproduzione della fisica dei corpi? L’adozione di certi valori, di una certa idea del mondo, di determinati meme o stereotipi? Quando una simulazione videoludica è realistica? Suzerain è più realistico di Bushido Blade? Un fantasy è più realistico di una space opera? Si aprono tantissime di quelle questioni, impossibili da spiegare in poche righe, questioni più da una rivista filosofica — letteraria come L’Indiscreto che di una di carattere videoludico.

Passiamo a politico. Negli ultimi anni grazie all’esplosione incredibile del videogioco come prodotto di consumo di massa (basti pensare il successo di Fortnite rispetto alle competizioni calcistiche), stranamente tutti sono pronti ad accusare un qualsiasi videogioco di essere politicizzato, di essere un cavallo di troia per la trasmissione dei più svariati e possibili valori. Allora un videogioco è politico se presenta dei valori? Ma allora tutti i videogiochi sono politici, perché indirettamente presentano i valori, le immagini, gli stereotipi e i meme dei propri sviluppatori, artisti, addirittura beta tester. Un videogioco è politico se è finalizzato volontariamente e esclusivamente alla trasmissione di valori stabiliti dagli sviluppatori? Quindi un Six Days in Fallujah o il più famoso Gioventù Ribelle sono finalizzati esclusivamente alla formazione di una determinata immagine rispettivamente della seconda guerra del golfo e del Risorgimento? Se io decido di produrre un videogioco su Harry Potter, Starship Troopers o Dune implica che faccio miei i valori di J. K. Rowling, Robert A. Heinlein and Frank Hebert? L’adesione a quel realismo citato in precedenza bilancia l’aspetto politico del mio gioco?

Polemica-inutile-pc98
Tutti i videogiochi sono politici, quindi anche Sex 2 della AyPio del 1996 per PC98 e Dos è politico. Bello sto sillogismo, me lo porto a Sanremo.

Parole come politico o realistico applicate al videogioco sono semplici buzzwords utilizzate non solo nei battibecchi social, ove Twitter è semplicemente una puntata cosmica di Forum, ma anche nella critica videoludica; questo con un buon vantaggio sul breve periodo, ma gravi danni sul lungo.

E qui casca l’asino reale e politico, potrei fermarmi qui e tornare a giocare a Hanagumi Wars Columns 2, ma devo continuare e ampliare il discorso.

La metafora dello squalo porcospino

Mentre scrivevo queste righe, il tweet originario faceva capolino su diversi siti dedicati al mondo videoludico e veniva citato da diverse personalità. Per quanto riguarda i siti, parliamo di siti generici piuttosto grandi, credo che tanto IGN Italia quanto Ludica non si soffermeranno su tale episodio. Tralascio eventuali video sulle diverse piattaforme, perché ho l’attenzione di un porcospino e mi annoio facilmente.

Gli articoli erano o stringenti comunicati stampa, roba del tipo “Momento shock su Twitter”, oppure articoli più lunghi riassumibili in un “Vergogna gamers! Aloy non è grassa, ma curvy!”. Sì, lo so, ora anche tu mi potrai dire embé stai scrivendo anche tu di sto tweet, ma chi ti credi d’essere? La risposta è la canonica la mia è classe, caro il mio c…! No, Dama non sto prendendo a male parole i lettori, lo giuro, sto esprimendo una colorita opinione.

In verità ho un semplice dubbio: ma è necessario per tutti questi portali, per tutti quei streamers/youtubers/sviluppatori, rispondere o addirittura scrivere articoli o comunicati stampa su un tizio misconosciuto che ha scritto un tweet? Purtroppo sì, è necessario.

Quando ero giovane e bello, la mia maestra delle elementari, pace all’anima sua, rideva di tutti coloro che avevano paura degli squali. Lei spiegava che non aveva senso aver paura di un pesce cartilagineo che deve continuamente nuotare, pena una patetica morte. Questo ricordo e l’ottavo paragrafo di questo articolo pubblicato su Rivista Studio e dedicato alla scrittrice Talia Lavin, mi hanno spinto a costatare una particolare condizione del giornalismo videoludico e forse in parte di tutta l’industria videoludica.

Siti videoludici (e non solo), streamer, gamer per sopravvivere devono continuare a nuotare incessantemente, ossia pubblicare qualsiasi cosa e soprattutto pontificare su qualsiasi cosa. Prendere una posizione sempre, pur non avendone i mezzi culturali, dare, proporre e vendere un’immagine proattiva di sé ed evitare che questa sia affibbiata, essere il primo tra tutti, al di là della qualità. Se c’è un argomento di punta, lo si deve seguire per forza. Esce la remastered di pincopallino deluxe? Ti ritrovi minimo una quarantina di articoli noiosi tra classifiche di qualità e bigami. Pochissimi parlano degli aspetti ludici e narrativi, della loro importanza sulla storia del suo genere, pochissimi sono interessanti e avvincenti. Clicca link, leggi articoletto, condividilo e dammi visibilità.

Qualsiasi trucco sembra essere lecito per il click: l’imbastire polemiche inutili dal nulla (ricordate la polemica sulle crociate in Crusader Kings 3) oppure accusare un qualsiasi gioco di essere -ista. O svegliarsi il mattino e attaccare un altro portale dandogli del -ista. Attacchi finalizzati a una volontà di acquisire una medaglia da mostrare ai propri lettori urlando guardate, io sono buono! Amatemi! Cliccatemi! Alzate l’indice di ascolto.

Critical-Miss-Polemica-Inutile
Critical Miss.

Voglio essere sincero fino in fondo, dato che sono vecchio dentro avevo capito poco e nulla di tutta la polemica delle Hot Tub Stream. Leggendo i vari portali avevo capito solo una suddivisione manichea tra quelli che accusavano le “fighe” di rubare il lavoro agli onesti streamer e chi urlava libertà e omertà per le “fighe”. Fortunatamente ho potuto ascoltare una coppia di podcast videoludici dedicati a ciò, così da poter comprendere meglio la situazione. Se mi fossi limitato ai portali avrei trovato la foto di una streamer in bikini (sempre la stessa) e titoli da Daily Mail del tipo Twitch censura pincopallino.

Nel mondo anglosassone la situazione è ai limiti del tragicomico, vedesi il recente IGN USA contro il satirico Hard Drive.

Leggete le risposte, please.

Un rapporto parassitario tra critica videoludica, il suo pubblico e le stesse case sviluppatrici. Tizio misconosciuto scrive tweet polemico, cento persone (tra cui dieci con il bollino blu) replicano, siti del settore medio-grandi sfruttano il tweet per creare piccoli articoli così da alzare l’indice di ascolto, mille persone replicano, tutto si sgonfia, Caio misconosciuto scrive tweet polemico o Sempronio avvia un fleet o uno stream dove dice al pubblico dove quel gioco l’abbia ferito. Spesso tutto questo avviene in un momento vicino all’uscita di un gioco, non a caso. Crusader Kings 3 ebbe il suo Deus Vult Moment, Mortal Kombat XI il suo rifiutiamo l’oggettivazione del corpo femminile ma lo rimetteremo in un DLC, Mass Effect il suo diamine abbiamo scoperto dopo dieci anni che Miranda era finalizzata in parte anche all’eye candy, ora cancelliamo tutte le inquadrature, tutti i nostri errori, e per inquadrature intendiamo solo una. Proprio in questi momenti ho sottocchio la dichiarazione di Navid Khavari, lead writer di Far Cry 6, e sono senza parole; per pubblicizzare il mio gioco, un FPS (brrr… I killed you!), devo scrivere tutto ciò.

Tutta ipocrisia, ma giustamente senza ipocrisia come ti giustifico la mia esistenza? Diamine, dopo che ho letto un paio di articoli di anteprima e la recensione, che vengo a fare sul tuo portale? Giustamente scrivere un articolo dedicato al game design o agli aspetti di mercato non è una cosa che si può fare in cinque minuti e sotto la ghigliottina della parola chiave o del numero di caratteri.

Ma forse sono solo vecchio e sto protestando contro una nuvola.

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