Piccoli e grandi momenti in Outer Wilds

L’universo in un marshmallow.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
6 min readJul 22, 2020

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artwork di outer wilds

Ero partito con l’idea di scrivere una recensione tradizionale della produzione di Mobius Digital. Ci ho ragionato un po’ e mi sono reso conto che aveva poco senso, di recensioni ne troverete a bizzeffe e non penso di avere molto da aggiungere ad analisi di tipo meramente tecnico.

Perciò eccomi qui, pronto a raccontarvi Outer Wilds da una prospettiva più specifica. Una delle tante ovviamente, perché c’è davvero molto da dire su questa piccola perla indie.

Notte. Un boschetto, un fuoco che crepita, un banjo che suona mentre una figura solitaria cuoce sopra le fiamme il più classico dei marshmallow. Non è una persona qualsiasi però, è un astronauta in tuta completa. Sicuramente non è umano, come suggeriscono i suoi quattro occhi e l’aspetto vagamente anfibio. C’è anche una piccola navetta dall’aspetto decisamente artigianale, con tante componenti realizzate in legno. È nascosta tra gli alberi, nell’ombra. Un mero strumento.

Avreste mai pensato di vedere insieme elementi presi da immaginari così differenti? E avreste mai immaginato che potessero stare insieme così bene? Outer Wilds è così: piccolo e grande sono perfettamente mescolati.

Ho citato un marshmallow e un fuoco perché è proprio con questa accoppiata che si apre il gioco. Il nostro protagonista si sveglia all’improvviso col fiato corto, forse ha fatto un brutto sogno: c’è un falò davanti a lui e il gioco ci invita gentilmente a cuocerci sopra quel dolce zuccheroso tipico dei campeggi americani, almeno quelli dei film. Si tratta di infilarlo in un bastoncino di legno e metterlo sopra le braci, facendolo ruotare e muovendolo per abbrustolirlo; ovviamente bisogna fare attenzione e non avvicinarlo troppo alla fonte di calore, o finirà per prendere bruciarsi. Sembra una forma di interazione inutile, del resto Outer Wilds non è un survival e non c’è bisogno di mangiare. E invece è il modo geniale con cui lo sviluppatore ci sta dando la prima infarinatura su come pilotare la navetta che tra pochi minuti lanceremo verso le stelle (la stella, se proprio vogliamo essere precisi). E sempre a proposito di navette, poco dopo il nostro percorso introduttivo ci mette tra le mani un vero e proprio modellino della stessa per impratichirci coi comandi. Un oggettino da non sottovalutare: con un po’ di destrezza lo si può far atterrare — o schiantare — sulla luna che solca il cielo, oppure addirittura lanciarlo verso il sole. Mica male.

Mobius Digital sta fin da subito affermando in maniera sottile quello che poi diventerà un dei temi portanti della vicenda: le piccole cose, i momenti di calma prima della tempesta sono importanti, e lo sono quanto l’Universo stesso.

artwork di outer wilds con un astronauta che cuoce un marshmallow

Questa idea è pienamente esemplificata dalla particolare estetica messa in atto dallo sviluppatore losangelino, che accosta coraggiosamente l’esplorazione spaziale alle escursioni in mezzo alla natura. Esplorando l’interno della navetta è facile notare una serie di oggetti che vedremmo anche su un camper diretto verso Yellowstone. Non parliamo poi del fatto che i nostri compagni astronauti— non saremo sempre soli nella nostra epopea — hanno in dotazione, insieme a vari aggeggi tecnologici, uno strumento musicale (rigorosamente folk) e dei “semi di emergenza” con cui far crescere all’istante degli alberi, fondamentale fonte di ossigeno negli ambienti più ostili. Aggiungiamoci un fuoco da campo e un paio di marshmallow ed ecco che avremo ottenuto un piccolo angolo di tranquillità in mezzo a un universo oscuro, misterioso e spesso ostile.

E così, in mezzo ai pericoli e ai misteri indicibili dei pianeti che esploreremo, ci capiterà di captare col nostro segnaloscopio una musica familiare. Basterà seguirla per raggiungere una di queste oasi, dove potremo ricaricare le nostre scorte di ossigeno e scambiare qualche parola amichevole con un nostro collega mentre la sua melodia ci accompagna. Un momento sospeso, breve ma allo stesso tempo infinito, prima di ributtarci nella nostra missione. Ma in realtà la stessa ragion d’essere della missione sta in momenti come quello appena descritto. Del resto per cosa stiamo davvero lottando e soffrendo?

la scrittura nomani in outer wilds

I fugaci istanti di normalità li ritroveremo non solo nel momento che stiamo vivendo, ma anche nel passato: infatti, uno degli strumenti di cui siamo dotati ci permette infatti di decifrare la particolare scrittura del popolo che ha abitato il sistema solare prima del nostro, i Nomai. I testi si sviluppano in rami, spesso scritti da individui differenti che discutono tra loro, fino a creare dei veri e propri dialoghi, e non sarà quindi strano trovare questioni scientifiche e filosofiche mischiate con annotazioni della vita di tutti i giorni. Tante piccole informazioni che permettono di ricostruire un quadro molto preciso della loro storia e della loro ricerca del misterioso Occhio dell’Universo; così, dopo qualche ora, ci sembrerà quasi che questa civiltà non sia mai scomparsa. Gli sviluppatori hanno capito alla perfezione che è davvero complicato riuscire a stabilire un legame con un popolo nel suo complesso, ma è più semplice quando si ha a che fare, seppur indirettamente, con individui singoli e con le loro storie.

Quanto imparato nei testi può a volte sembrare un mero elemento di contorno, ma ben presto ci renderemo conto di come niente sia davvero inutile. È molto probabile che lo imparerete a vostre spese la prima volta che metterete piede su Rovo Oscuro.

Ad apprezzare le piccole cose ci costringe anche la distruzione causata dalla trasformazione della stella in supernova alla fine dei 22 minuti di loop temporale. Terminato questo periodo si resetterà tutto, ad esclusione della mente del protagonista. Se tutto è destinato a ripetersi, non è la conclusione ad essere importante, ma quanto abbiamo appreso e provato durante quel breve periodo di tempo. Tanti piccoli frammenti che, riavvio dopo riavvio, non possono che creare un enorme puzzle, ben esemplificato dall’intricata mappa concettuale contenuta nel computer della nostra nave (anche questa non viene influenzata dal loop, ma in questo caso ritengo sia una questione prettamente di gameplay).

gemello cenere e gemello braci in outer wilds

Outer Wilds ci insegna che non dobbiamo e non possiamo pretendere di avere il controllo su tutto. Certi eventi devono accadere, e non possiamo fare niente per evitarli. Bisogna accettarlo, e godersi il più possibile tutto ciò che si trova nel mezzo. È per quello che vale la pena di vivere.

I temi che ho tentato di raccontare trovano una definitiva consacrazione nello splendido finale, dotato di una potenza estetica e simbolica che raramente ho visto in un videogioco. Non ho intenzione di descriverlo dettagliatamente in questa occasione, sappiate solo che la storia si chiude così come è cominciata: con un falò. Ma il suo significato lo dovrete scoprire da soli dopo aver esplorato in lungo e in largo il sistema stellare del gioco pubblicato da Annapurna Interactive.

Ora che ho cominciato, una vocina in testa mi dice di continuare ancora a parlare di Outer Wilds per affrontare altre questioni, come il modo geniale in cui viene stimolata l’esplorazione o lo straordinario livello della simulazione fisica, capace di rivaleggiare con un certo Kerbal Space Program. Per adesso però mi fermo qui, limitandomi a lasciarvi il link a un interessantissimo documentario sul gioco, che ne racconta la particolarissima storia e svela tanti succosi retroscena. Per esempio sapevate che la software house è stata fondata da Masi Oka?

Mentre lo guardate io mi lancerò per l’ennesima volta verso le stelle.

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