Quando i videogiochi diventano una droga

Piccolo excursus sui titoli che non riesco a smettere di giocare.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
6 min readDec 14, 2019

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Cos’è la dipendenza? Secondo Wikipedia si tratta di una alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica. Quando si parla di videogiochi, preferisco una definizione un (bel) po’ più semplice: passare le notti a giocare senza neanche rendersene conto. Semplice, no? Non è mia intenzione mettermi ad analizzare in maniera “scientifica” la questione, che tra l’altro durante l’anno che si sta per concludere è stata piuttosto dibattuta; vorrei invece raccontare la mia esperienza personale, che in quanto tale si limita a momenti e produzioni specifiche.

Sono tre le categorie di giochi che mi coinvolgono al punto tale da farmi perdere completamente la cognizione del tempo. Ho deciso di metterle in ordine di “gravità” della patologia.

La prima è quella dei giochi che fanno della storia il loro fulcro. In questo caso succede qualcosa di non dissimile dal binge watching di una serie tv: la trama è così serrata e appassionante che diventa difficile riuscire anche solo ad aspettare un giorno per sapere come prosegue o come va a finire. In questi casi scatta dentro di me una vocina (mica tanto “ina” in effetti) che mi dice “sarebbe un peccato smettere adesso, ormai la conclusione è dietro l’angolo”. Peccato che molto spesso sia solo una vile bugia, dato che il finale è a diverse ore di distanza. Di esempi potrei farne a bizzeffe, soprattutto tornando indietro di qualche anno. Ad oggi, infatti, trovo molto più complicato trovare esperienze narrative di spessore assoluto, vuoi perché purtroppo ne escono meno, vuoi perché sono diventato decisamente più esigente.

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Pronti al tripudio di colori?

Ironicamente, alcuni dei giochi che ho finito per terminare a notte fonda sono anche quelli che più mi hanno deluso. Vogliamo parlare del finale di Mass Effect 3? O di quello della prima stagione di Life is Strange? Due titoli che, tra alti e bassi, mi hanno tenuto col fiato sospeso fin quasi alla tanto agognata conclusione, per poi andare a schiantarsi malamente quando c’era da tirare le fila del discorso. Peccato che poi gli effetti dello schianto li abbia provati principalmente il sottoscritto, e insieme a me molti altri fan. Volendo invece parlare di qualcosa di ben più recente (e assolutamente non deludente), devo ovviamente citare il magistrale finale di Red Dead Redemption 2, che sarebbe stato criminale vedere, anzi vivere in maniera spezzettata. Quasi a fare da contrappasso, il lungo epilogo, complice anche l’impostazione volutamente lenta e pacata, ho preferito gustarmelo a piccole dosi. Un piccolo miracolo che solo Rockstar poteva compiere.

Un simile tipo di dipendenza, che mi capita di provare anche in alti ambiti (sono riuscito a leggere Sfera, il libro di fantascienza di Michael Crichton, in un giorno), è per sua natura limitata: quando qualcosa finisce, finisce. Certo, dal giorno successivo — da buon drogato — sarò subito alla ricerca di un’esperienza di pari livello, ma non è detto che la troverò, e a un certo punto mi dovrò mettere il cuore in pace.

Il gioco inizia a farsi duro parlando della seconda categoria, quella degli strategici. Non tutti gli strategici però, mi riferisco soprattutto ai grand strategy games di mamma Paradox. I vari Age of Empires, Rise of Nations e Company of Heroes rimarranno sempre tra i miei giochi preferiti, ma nessuno di questi è riuscito a farmi giocare per centinaia di ore come Europa Universalis IV e Crusader Kings II. In realtà parte tutto da più lontano, dagli strategici a turni e dal mitico Civilization II, giocato secoli fa sulla prima Playstation. Ancora un altro turno e poi smetto è una frase familiare a molti videogiocatori. L’esistenza stessa dei turni può però essere utile ad autolimitarsi, soprattutto quando, arrivati nella fase avanzata, facevo in tempo ad andare e tornare da Plutone prima che la povera console Sony riuscisse a calcolare le mosse degli avversari.

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Quello sullo sfondo è chiaramente un missile nucleare cammuffato.

I grand strategy games eliminano questo fattore, offrendo così un’esperienza ininterrotta e, soprattutto, in continuo mutamento. È proprio la dinamicità di questi giochi, che si evolvono sia in base alle nostre scelte sia indipendentemente da esse, che me li ha fatti amare fin dal primo minuto. I giochi narrativi mi raccontano una storia, i grand strategy games me la fanno scrivere. Non c’è nessuna trama con bivi che possa competere con questo tipo di narrativa emergente, neanche quella con il sistema di scelte-conseguenze più raffinato. Aggiungete alla ricetta gli elementi gdr di Crusader Kings II e mi troverete all’alba che ancora tento di evitare che il mio re e la sua dinastia siano spodestati da un gruppo di conti facinorosi. E in tutto questo non ho neanche installato la mod di Game of Thrones.

Anche i giochi di Paradox però pongono dei limiti alle partite trascinate fino al sorgere del sole. Il primo è molto semplice: dopo averci giocato in maniera intensa tendo a stancarmi e a perdere l’interesse. Questo non vuol dire per forza abbandonare il gioco per sempre, a volte ho semplicemente bisogno di una pausa, che può durare anche molti mesi. Queste pause però si sono allungate a dismisura, fino a farmi abbandonare quasi completamente il genere, a causa delle politiche discutibili dei DLC di Paradox. Va benissimo supportare i giochi per tanti anni, ma ormai è diventato economicamente quasi insostenibile stare dietro alle continue uscite di contenuti scaricabili, che tra l’altro non sempre valgono quello che costano. Ormai molti giochi (anche di altri generi) della casa svedese all’uscita sono solo delle impalcature da riempire con contenuti a pagamento. A posteriori posso dire che l’impossibilità di giocare con le dinastie musulmane nella versione base di Crusader Kings 2 è una scelta degna delle peggiori EA e Bethesda. Francamente, nonostante la mia passione per il genere, non me la sento di supportare queste scelte col mio portafoglio.

Due sono le cose certe di Crusader Kings 2: l’invasione mongola e i DLC.

Infine, last but not least, concludo spendendo qualche parola su un gioco che, per rimanere in tema, gioca in un campionato a parte: FIFA. Non mi ritengo fan storico della serie, che seguo da appena 3 anni, né tanto meno un giocatore decente, però mi devo togliere un sassolino dalla scarpa. Sì, perché la gallina dalle uova d’oro di Electronic Arts, diversamente dai titoli citati in precedenza, è scientificamente pensata per creare dipendenza e far spendere vagonate di denaro ai giocatori. Si potrebbe scrivere un intero trattato sulla dubbia eticità di FUT, ma preferisco fare un discorso più generale.

FIFA è un gioco che dà una soddisfazione modesta quando si vince, ma provoca una rabbia enorme quando si perde. Se sei scarso in un gioco competitivo devi prendertela solo con te stesso, ma FIFA è competitivo solo nelle apparenze. La ragione è che il giocatore non sta solo affrontando il suo avversario, ma anche il gioco stesso. Sono gli script che, dietro le quinte, decidono come deve andare la partita; batterli, pur non essendo impossibile, è estremamente improbabile. Ecco quindi che ci si ritrova in un vortice dove a ogni sconfitta si vuole provare un’altra partita nella speranza che vada meglio, e a ogni vittoria si continua perché non si vuole rinunciare alla serie positiva. E magari, dopo una serie di partite perse con un gol preso all’ultimo minuto, si inizia pure a pensare di comprare qualche pacchetto di carte come quello simpatico youtuber ci ha consigliato; chissà, magari troveremo dentro Messi e Mbappé come è successo a lui.

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Non c’è niente da guardare, circolare.

Fortunatamente non sono mai caduto completamente nel tranello, non ho mai speso una lira in FUT e, anzi, sono riuscito a giocarci il meno possibile. Eppure questo non mi ha impedito di passare nottate nella modalità carriera, cercando di non impazzire completamente dopo aver visto un giocatore prendere tre pali consecutivi o infortunarsi dopo un’entrata omicida di un difensore, chiaramente ignorata dall’arbitro. E meno male che in teoria gli script in single player dovrebbero essere meno invasivi. La rabbia provocata dalle continue “ingiustizie” è però anche positiva, perché a un certo punto mi rendo conto che sta andando completamente fuori controllo e rischio di rivolgerla ingiustamente anche contro altre persone, oltre che contro gli oggetti (no, non sono mai arrivato al livello di fare a pezzi un controller). Così, dopo essermi fermato e calmato, mi accorgo che non ne vale la pena e semplicemente smetto di giocare. Quanto meno fino all’episodio successivo.

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