Shenmue III: Fuori dalla caverna

Finalmente la luce.

Luca “Master Hayabusa” Sapora
Frequenza Critica
9 min readDec 26, 2019

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In un mondo giusto Shenmue III sarebbe uscito nel 2004, anno più anno meno, e chissà cosa starebbe facendo adesso Yu Suzuki.
In un mondo in cui venga premiato lo spessore artistico e la capacità comunicativa di un’opera, Suzuki avrebbe avuto i mezzi per realizzare la sua visione come hanno fatto altri grandi autori. Invece viviamo in un mondo dominato dalle fredde logiche commerciali, asettiche e spietate, in cui Shenmue è stato un flop catastrofico, così come il Dreamcast, e dopo 14 anni Suzuki si è trovato a dover elemosinare tramite crowdfunding per avere la possibilità di continuare la sua opera.
Shenmue III è ormai uscito da un mese e i fan hanno potuto finalmente mettere le mani sul capitolo che attendevano da 18 lunghi anni, che per molto tempo avevano anche perso le speranze di vedere realizzato.

Per quanto inevitabile, è alquanto ingenuo paragonare Shenmue III ai precedenti capitoli: ricordiamo che il primo Shenmue arrivò sul mercato come un progetto ad altissimo budget, esclusiva di punta dell’ultima console di casa SEGA. Shenmue era un titolo avanguardistico, ambizioso sia a livello tecnico che di design, e ha influenzato in diversi modi il gaming moderno. Al contrario Shenmue III arriva sul mercato in punta di piedi, come piccolo progetto nato tramite crowdfunding, realizzato da un piccolo studio con pochi fondi e una precisa idea dietro: regalare ai fan il terzo capitolo di Shenmue che sarebbe dovuto arrivare tanti anni fa.
Già in partenza quindi Shenmue III rappresenta uno strano unicum nel mercato videoludico, un qualcosa che risulta davvero molto difficile da valutare con dei criteri che siano “obiettivi” (non lo sono mai, ma cercate di capire cosa intendo). Lo si valuta come prodotto contemporaneo o come strano “viaggio nel tempo”? Dal punto di vista di un neofita o di un fan di lunga data?
Da questi e altri quesiti deriva quella spaccatura nel modo in cui è stato trattato Shenmue III dalle varie testate, ben lungi dall’essere una semplice disparità di giudizi: c’è chi ha messo bene in chiaro che la valutazione in fondo era indirizzata ai neofiti più che ai fan, così come c’è addirittura chi ha deciso di optare per una doppia valutazione.
Fortunatamente non sono un recensore, scrivo solo in un piccolo blog che non adotta alcun sistema di valutazione. Eppure parlare di Shenmue III sarà difficile, perché dentro di me ci sono diverse campane.
Proviamoci.

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Shenmue III è un gioco davvero facilissimo da smontare, pezzo dopo pezzo, trovando tutte le storture, gli anacronismi, le debolezze e concludendo che è un gioco inadeguato al contesto d’uscita. Sin dai primi momenti si è inevitabilmente colpiti da una regia statica, con delle improvvise dissolvenze in nero che spezzano il flusso dei dialoghi e donano una forte sensazione di straniamento. Elemento peraltro neanche identificabile come segno di continuità rispetto ai precedenti capitoli, che offrivano invece una regia delle cutscene piuttosto dinamica e paradossalmente più moderna di questo terzo capitolo.
Al tempo stesso, questo sì in un probabilmente voluto anacronismo e in segno di continuità con i primi due, le animazioni facciali lasciano a desiderare, il doppiaggio è strano, rigido, quasi robotico (fatevi il favore di giocarlo in giapponese, che migliora un po’ la situazione), gli scambi non risultano naturali. È in generale il comparto tecnico a risultare piuttosto grezzo: pop-up piuttosto evidenti, collisioni non perfette, effetti atmosferici da rivedere.

Se il videogioco è certamente un prodotto artistico, frutto della visione di un autore e del lavoro collettivo degli sviluppatori, è anche innegabilmente un prodotto tecnologico, in cui tecnologia e visione si intrecciano e si alimentano a vicenda, e possono certamente anche ostacolarsi.
Shenmue del resto fu proprio l’emblema di questo legame, visto che del suo avanguardismo tecnologico fece elemento di pregio strettamente intrecciato al game design, che puntava a offrire livelli di immersione mai visti prima. E proprio l’immersione è un aspetto che risente forse più di molti altri dell’elemento tecnologico, in positivo o in negativo.
È quindi innegabile che Shenmue III risenta, nel paragone coi primi due capitoli, del ridimensionamento delle possibilità e delle ambizioni, e non sarebbe neanche giusto chiedergli altrimenti.

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Dove traballa il comparto tecnico arriva in soccorso una direzione artistica d’eccezione, che tramite colori molto saturi e giochi di luce riesce a proporre scorci dall’estetica mozzafiato, regalando ambientazioni affascinanti e trasognanti. Che sia l’incantevole villaggio di Bailu con le sue atmosfere bucoliche o la seconda ambientazione del gioco (che non voglio spoilerare), quello che non manca mai è la meraviglia visiva, che copre in parte le magagne tecniche.
Al più, si può provare un po’ di rammarico pensando a cosa sarebbe potuto essere Shenmue III se Suzuki avesse avuto i mezzi per sviluppare un tripla A.
La direzione artistica mostra i muscoli anche quando si prende in esame il sonoro: non per quanto riguarda il doppiaggio scadente, ma per le musiche e gli effetti ambientali. Scendere al mattino per il sentiero che da casa di Shenhua conduce al Verdant Bridge, con sullo sfondo uno splendido panorama, accompagnati da delle melodie sognanti o dal tenero cinguettio degli uccellini, è un qualcosa di magico.

In questo Shenmue III ripropone in pieno la potenza della serie, quei suoi ritmi lenti e i toni contemplativi, un elogio alla lentezza e al prendersi i propri tempi.
Non è un gioco per chi cerca ritmi martellanti e azione ogni due passi, come sembra sottolineare anche quella che è una delle novità introdotte da questo terzo capitolo: la barra della vita che funge anche da stamina.
In poche parole mentre si esplora la vita scende, lentamente ma inesorabilmente, costringendo il giocatore a portarsi delle scorte di cibo per riempirla. Al tempo stesso correre significa consumare la propria vita/stamina molto più rapidamente, arrivando ben presto a poter solo camminare.
Pur presentando alcune concessioni alla modernità, come una sorta di fast travel che consente di “saltare” dalla casa fino a determinati punti di interesse nel villaggio, è chiaramente un titolo che può essere apprezzato in pieno solo da chi a questi tempi dilatati è disposto ad abbandonarsi, e a godersi quelle camminate teoricamente superflue.

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Anche strutturalmente questo terzo capitolo si pone in netta continuità con i predecessori ricalcandone in grandissima parte la formula, pur introducendo alcune variazioni.
La base è ancora una volta rappresentata da un mix tra fasi dai toni investigativi, in cui si gira per le location in cerca di informazioni, combattimenti, minigiochi o attività secondarie di vario genere e sporadici QTE.

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È tornato persino il carretto!

Pur con la triste ma inevitabile mancanza di Outrun, Space Harrier e degli altri arcade SEGA che popolavano le sale giochi dei primi due Shenmue, per quel che riguarda le attività secondarie è difficile lamentarsi: sono tante e sono generalmente soddisfacenti, caratterizzate da quel tocco un po’ arcade che Suzuki sa dare anche a una mansione teoricamente noiosa come tagliare la legna.
Più che in passato inoltre i vari elementi del gioco acquisiscono un significato preciso per la progressione: i possibili lavori, la pesca, la raccolta di erbe e il gioco d’azzardo sono tutti possibili modi di guadagnare soldi, che servono a loro volta all’acquisto di cibo o di pergamene che permettono di sbloccare nuove tecniche di combattimento. Persino i collezionabili, i classici Gachapon (niente più mascotte SEGA, purtroppo, ma in compenso ci sono due serie dedicate ai personaggi di Shenmue I & II), guadagnano importanza dal momento in cui è possibile scambiare delle serie complete per delle pergamene.
Sbloccare nuove tecniche è fondamentale perché consente poi di praticarle nel dojo, aumentando non solo l’efficacia della tecnica specifica, ma anche il “livello” generale del Kung Fu di Ryo e quindi le sue statistiche.

Per la prima volta Shenmue adotta un sistema di progressione leggibile e parzialmente parametrico, mentre contemporaneamente modernizza il sistema di combattimento allontanandolo dalle radici risalenti a Virtua Fighter.
Questi cambiamenti portano sia a risultati positivi che a risultati negativi. Da un lato viene valorizzato l’allenamento, che diventa ancora più centrale e fondamentale nel viaggio di crescita di Ryo, incentivando il giocatore a passare parecchio tempo nel dojo ad allenare tecniche e stamina attraverso gli esercizi.
D’altra parte però il sistema di combattimento, parecchio semplificato con l’eliminazione di prese e combo direzionali e soprattutto con l’introduzione di una funzione con cui si può assegnare a R2/RT una combo intera, non riesce a convincere appieno. È in parte apprezzabile il tentativo di rendere il combattimento più fluido e accessibile, e il sistema adottato avrebbe anche potenziale, ma finisce con il risultare abbastanza banalizzato.
Non ho mai giocato Shenmue per i combattimenti, ma se c’è una cosa che ho apprezzato del loro approccio è che riuscivano a dare al giocatore la sensazione di crescere insieme al personaggio: arrivato alla fine del gioco non era solo Ryo a essere più forte, ero io stesso che come lui e con lui avevo padroneggiato le tecniche. Adottando un sistema di statistiche così influente e dando al giocatore la possibilità di realizzare combo complesse con un semplice tasto si impigrisce il giocatore e si elimina questa sovrapposizione: alla fine di Shenmue III è Ryo a essere più forte, non io.

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Il fulcro del gioco, in ogni caso, resta imperniato sull’immersione e sull’esplorazione, non guidata da segnalini vari, delle splendide location. In questo senso, pur con tutti gli anacronismi sottolineati, Shenmue III mantiene quel tocco magico proprio della serie, quelle atmosfere uniche, quella riproduzione affascinante e viva di mondi lontani.
Specialmente nella prima zona si ha in tutto e per tutto quello che sarebbe stato uno Shenmue III se il destino del Dreamcast fosse stato diverso: esplorare è piacevole, il gameplay loop composto dalle varie attività sopraelencate è soddisfacente, l’atmosfera è favolosa, la narrazione mantiene alta la curiosità e tiene sempre al centro il rapporto tra i due principali personaggi.
Purtroppo nella seconda metà si ha un calo piuttosto netto, probabilmente dovuto a limiti produttivi e tempistiche, che investe sostanzialmente ogni aspetto del gioco e finisce col lasciare l’amaro in bocca. La seconda ambientazione è immensa, sempre meravigliosa da un punto di vista estetico/artistico e architettonico, ma non riesce a dare la stessa sensazione di vita e dinamicità, così importante per l’immersione. Le strade sono piene di abitanti con cui non è possibile interagire in alcun modo, mentre l’immensità della mappa non è giustificata dalle vere e proprie attività che essa presenta.
Al tempo stesso anche la scrittura ha un calo evidente che si concretizza da un lato in una struttura narrativa che ricalca troppo pigramente quella già vista nel primo atto, dall’altro in una caratterizzazione dei personaggi abbozzata quando non quasi assente.
Il tutto sfocia infine in un’ora finale abbastanza inequivocabilmente affrettata, in cui si succedono avvenimenti anche emozionanti ma che deficitano di una costruzione adeguata.

Come dicevo all’inizio, è difficile parlare di Shenmue III. Sono uscito da questa esperienza con un po’ di amaro in bocca, eppure ne ho un ricordo piacevole e sono contento di averlo potuto giocare.
Rappresenta un unicum importante nel panorama videoludico, un piccolo sogno impossibile che si avvera, un volontario anacronismo vivente che se ne frega di modernità e innovazioni per regalare ai fan il seguito che sarebbe dovuto arrivare tanto tempo fa.
Non ha le ambizioni dei primi capitoli, non può averle, e il fatto che riesca a ricatturarne la magia è già una piccola vittoria, che per molti sarà più che sufficiente. È un’opera evidentemente frutto di cuore e passione, a cui chiunque apprezzi Shenmue dovrebbe giocare.
Eppure anche con tutte le scusanti dei limiti produttivi, anche per chi ritenesse giustificabili gli anacronismi, ci sono cose che potevano, e dovevano, essere fatte diversamente.
Shenmue III è un miracolo e un sogno che si avvera, ma è anche un’occasione sprecata.

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