Una leva per spostare il mondo — Parte 1

Sguardi e cornici nei videogiochi strategici.

Francesco Toniolo
Frequenza Critica
7 min readFeb 1, 2021

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Artwork di Age of Empires 2

Il titolo di questo articolo è stato ispirato dalla seguente frase di Carlo Molina, presente nel suo libro su Age of Empires: «Mediante il mouse il gamer può manipolare questo sguardo come una leva meccanica che serve a spostare il mondo […]. Se il gamer non muove la leva meccanica dello sguardo, egli non conosce, e se non conosce non gioca», (Age of Empires. Simulazione videogiocata della vita, Unicopli, 2003, p. 51). Nella citazione è racchiuso il senso di uno degli elementi cardine del genere, legato all’esplorazione di un mondo attraverso il proprio sguardo, direzionabile per mezzo di un mouse.

Al pari di molte altre definizioni di generi videoludici, identificare con precisione i confini dell’etichetta “strategico” non è agevole, anche perché gran parte dei videogiochi richiede — in qualche misura — l’applicazione di una strategia per raggiungere un traguardo. Comunemente, «strategy games refer to military-themed computer games where the player takes the role of a commander and needs to gather resources to summon new military units. Strategy games are divided in two branches: turn-based strategy (TBS) and real-time strategy (RTS)» (S. Dor, Strategy, in The Routledge Companion to Video Game Studies, edited by M.J.P. Wolf e B. Perron, Routledge, 2014, p. 275). Sebbene sia possibile estendere questa definizione, andando a includervi anche altre tipologie di videogiochi (come i god games, i tower defense e molto altro), è utile qui mantenerne la forma più ristretta e diffusa, perché aiuta a definire meglio alcuni elementi necessari per il presente testo.

screenshot di Age of Empires 2: Definitive Edition

Restando quindi in una prospettiva più ridotta, una definizione di particolare utilità è quella fornita da Wayward Strategy, sito dedicato agli elementi di game design propri di questo genere, che in un articolo elenca tutti quegli elementi che contraddistinguono gli strategici in tempo reale. Alcuni dei punti presentati — in particolare quelli ripresi nel presente lavoro — sono applicabili anche agli strategici a turni, ma si manterrà comunque come campo primario quello dei real-time strategy games. Per comodità, peraltro, si mantiene qui l’impiego del termine “strategia”, il quale pure potrebbe esser messo in discussione, in quanto diverse operazioni effettuabili in questi giochi rientrano molto più facilmente nel novero delle componenti “tattiche” piuttosto che strategiche, come sottolineato in questo articolo di Gamasutra.

Fra i punti lì indicati, due sono di particolare importanza per riflettere sullo statuto dell’immagine e la questione del limite all’interno del genere: la scarsità delle risorse e la fog of war. A entrambi è possibile legare un termine: rispettivamente “cornice” e “visione”, attraverso i quali è possibile rileggere alcune pratiche e retoriche di questi videogiochi.

Un conflitto in una scatola

Tutti i videogiochi sono dei mondi chiusi. Anche quando, tramite diversi espedienti, cercano di trasmettere l’illusione di un mondo assai più ampio di quello esplorabile, in realtà rimangono ambienti limitati, dai confini ben definiti. Dei confini solitamente delimitati da una serie di elementi paesaggistici o architettonici — come montagne, muraglie, boschi impenetrabili e simili — che, non dissimilmente dalla nota siepe leopardiana, impediscono allo sguardo di spingersi oltre ma al tempo stesso suggeriscono l’idea di un mondo più ampio, vivo, ammobiliato, di cui il giocatore può immaginar le caratteristiche. Questi ambienti delimitati, inoltre, come per qualsiasi gioco, sono «un luogo altro, che possiamo raggiungere grazie alla nostra volontà di giocare e alla natura stessa del gioco, [al cui] interno le regole del mondo normale passano in secondo piano, surclassate da quelle del gioco, che vi regnano insindacabili» (M. Bertolo, I. Mariani, Game Design. Gioco e giocare tra teoria e progetto, Pearson, 2014, p. 88).

screenshot di Warcraft 3: Reforged

La delimitazione degli strategici è equiparabile a quella dell’arena, come spazio chiuso in cui bisogna sopraffare l’avversario per poter sopravvivere. Una definizione certamente applicabile anche ad altri videogiochi, soprattutto i cosiddetti battle royale come il popolare Fortnite, ma con una prospettiva differente. Non la visuale in prima o terza persona in cui il giocatore condivide lo sguardo col suo personaggio (osservando il mondo direttamente dai suoi occhi o da un punto collocato alle sue spalle) ma una visione dall’alto, una veduta aerea, spesso indicata come uno sguardo divino sul campo di battaglia. Questa definizione, in realtà, è leggermente imprecisa, perché:

L’impressione che il gamer ha del mondo simulato non è quella di una visione frontale e perpendicolare al terreno di gioco. Il piano bidimensionale della mappa è infatti rappresentato in assonometria isometrica […]. Essa si presenta al gamer con l’illusoria inclinazione che ha un piatto di portata esibito da un cameriere a un commensale. In questa lieve inclinazione simulata della mappa è codificato un significato convenzionale di “offerta”.(C. Molina, Age of Empires. Simulazione videogiocata della vita, cit. pp. 48–49).

Un “piatto” offerto a un dio, insomma, per quanto sia una divinità con una visione in varia misura limitata. È utile sottolineare come questo sguardo divino che il giocatore acquisisce sia pienamente consapevole della finitezza spaziale, nel momento in cui osserva la cornice della mappa di gioco e ne scorge l’oscurità completa e impenetrabile che la avvolge. È un confine peculiare, che differisce da quanto visto in numerose storie cinematografiche — soprattutto di carattere più o meno cospirativo — legate a personaggi che a un certo punto vedono oltre un limite che è stato loro imposto: «la rappresentazione del superamento del confine del mondo (del livello testuale) è un topos narrativo di questo genere di film […]. È in un certo senso la rappresentazione del limite della rappresentazione, sotto forma di confini più o meno fisici. Che corrispondono poi ai limiti di una mappa» (G. Avezzù, L’evidenza del mondo. Cinema contemporaneo e angoscia geografica, Diabasis, Parma 2017, p. 98). Questo caso sarebbe piuttosto avvicinabile a videogiochi in prima o terza persona in cui si oltrepassa un qualche limite fisico che va a ‘rompere’ i confini del gioco, come avviene in The Stanley Parable.

screenshot di Command & Conquer Remastered Collection

Quello di cui si parla qui è, invece, uno sguardo al di fuori del cerchio magico del videogioco, posto però all’interno del suo schermo e non al suo esterno. È vuoto perché, finché si gioca, tutto ciò che sta all’esterno passa in secondo piano, non bisogna tenerne conto, ma è al tempo stesso visibile, così come un giocatore di scacchi vede quel che sta intorno alla scacchiera, anche se quegli elementi sono ininfluenti al fine del gioco. Sono stati citati gli scacchi perché sono un parallelismo ricorrente con questi videogiochi (e che essi stessi riprendono, come nel video introduttivo di Age of Empires II), sebbene non sian in realtà così simili agli strategici, soprattutto se in tempo reale (Ó. Pérez-Latorre, From Chess to Starcraft. A Comparative Analysis of Traditional Games and Videogames, in «Comunicar», 38, 2012, pp. 121–128.).

È utile tornare alla scarsità delle risorse citata in precedenza in relazione alla cornice. Una scarsità che è legata alla temporalità ma anche e soprattutto alle caratteristiche fisiche della mappa di gioco e alle sue limitazioni. A prescindere dalle ragioni contingenti per la loro scelta, la visione dall’alto dei confini della mappa accresce efficacemente il senso di urgenza dettato dalla scarsità delle risorse. Su questo punto gli strategici non si svolgono tutti allo stesso modo, ma sotto le differenze epidermiche rimane sempre presente la medesima necessità: ottimizzare al meglio delle risorse limitate. In alcuni casi si assiste a un effettivo esaurimento delle risorse, come i giacimenti di pietra e oro nel già citato Age of Empires II; in altri casi le risorse vengono prodotte all’infinito, ma solo in determinati luoghi, come avviene per esempio in Warhammer 40.000: Dawn of War o in Total Annihilation: Kingdoms. Anche in presenza di strutture che generano risorse all’infinito e possono esser posizionate ovunque (come ne Il Signore degli Anelli: La Battaglia per la Terra di Mezzo 2), per ottenere più risorse dell’avversario bisogna espandersi progressivamente, occupando il più possibile uno spazio che resta limitato.

artwork di Warhammer 40,000: Dawn of War 3

Uno strategico, insomma, è innervato da una duplice e perenne tensione: fra il confine della mappa e la frontiera interna alla mappa. Come indica la geografia, un confine «non è una linea ma un piano: un piano verticale che taglia lo spazio aereo, il suolo e il sottosuolo» (M.I. Glassner, Manuale di geografia politica. Volume primo: geografia e geopolitica dello stato, tr. it., FrancoAngeli, 2002, pp. 98–99). In tal senso trasmette quel senso di assoluta invalicabilità che caratterizza quello spazio nero oltre la mappa, che nessuna unità può esplorare. L’area di gioco, invece, è dominata dal concetto della frontiera, il cui termine «racchiude nella sua etimologia l’idea di essere di fronte a qualcuno o a qualcosa. Tale fronte lascia anche intendere l’idea di mobilità, di costante trasformazione» (A. Capacci, I confini terrestri, in Id, Geografia umana. Temi e prospettive, Carocci, 2010, p. 173). La frontiera è identificabile come quella linea invisibile e sempre mutevole che divide ciò che il giocatore percepisce come un “suo” territorio e l’ignoto. Va anche detto che in alcuni casi sono presenti dei corrispettivi visuali della progressiva espansione territoriale del giocatore, che sposta quindi la sua frontiera. Un esempio è Heroes of Annihilated Empires, in cui il territorio controllato da un giocatore assume un aspetto differente dal solito, in base alla popolazione utilizzata.

Il fatto che ci sia una frontiera visiva porta a ridiscutere la solo apparente onniscienza di quello sguardo divino del videogiocatore che è stato citato in precedenza.

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