Rappresentazione schematica del transito di Venere sul disco del Sole tra il secondo e il terzo contatto, contenuta in uno studio di Edmond Halley del 1716. Credit: Phil. Trans. 1714–1716 29, 454–464

La parallasse solare e i transiti di Venere

3/6. L’unità astronomica o la faticosa ricerca della distanza del Sole

Michele Diodati
GruppoLocale
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6 min readJul 1, 2017

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La misurazione dell’esatta distanza del Sole ha a che fare con il calcolo della cosiddetta parallasse solare. Usando semplici formule trigonometriche, possiamo ricavare la lunghezza dei lati di un triangolo rettangolo, se conosciamo la misura di un solo lato e dell’angolo opposto. Immaginiamo un triangolo rettangolo che abbia per vertici il centro del Sole, il centro della Terra e un punto sulla superficie terrestre. Poiché conosciamo esattamente la misura del cateto minore (il raggio terrestre), possiamo ottenere la misura del cateto maggiore, cioè la distanza tra la Terra e il Sole, se riusciamo a misurare il piccolissimo angolo — detto angolo di parallasse — racchiuso tra quel cateto e l’ipotenusa del triangolo.

In altre parole, occorre misurare l’angolo con cui il raggio terrestre appare visto dal Sole. Possiamo per fortuna ottenere lo stesso risultato, evitando di finire nebulizzati dalla radiazione solare, se misuriamo lo spostamento angolare del Sole che si osserva da due punti della Terra sufficientemente separati, purché sia nota con precisione la distanza tra quei due punti.

La parallasse solare è l’angolo sotteso da un raggio terrestre osservato dal centro del Sole. Fonte: O.M. Mitchell, “Popular Astronomy”, Londra (1860)

Purtroppo compiere la misurazione diretta della parallasse solare è estremamente difficile, soprattutto in mancanza di tecnologie sofisticate. Per questa ragione, nonostante fin dai tempi di Aristarco si fosse compresa l’importanza di misurare quell’angolo, il valore della parallasse solare ottenuto dagli astronomi antichi e anche dai primi moderni era tutt’altro che accurato. Per ovviare alla difficoltà della misurazione diretta, si ricorse allora a soluzioni alternative, come per esempio quelle adottate da Cassini e Flamsteed, che misurarono la parallasse di Marte e da quella derivarono poi il valore della parallasse solare, ottenendo peraltro misure apprezzabilmente precise (9,5 secondi d’arco Cassini, 10 secondi d’arco Flamsteed).

Un nuovo metodo per ricavare con maggiore precisione la parallasse solare e, quindi, la distanza del Sole, fu proposto nel 1663 dal matematico e astronomo scozzese James Gregory nella sua Optica Promota. La proposta di Gregory fu poi ripresa e ampliata dal celeberrimo astronomo, fisico e matematico inglese Edmond Halley. In un articolo in latino, pubblicato nel 1716 su Philosophical Transactions of the Royal Society, Halley propose che l’intera comunità scientifica mondiale si mobilitasse per tempo, in modo da dislocare stazioni di osservazione in numerosi e distanti punti della Terra, per osservare i futuri transiti di Venere sul disco del Sole. A causa dell’inclinazione dell’orbita di Venere rispetto a quella terrestre, i transiti di Venere sono molto rari: si verificano a coppie, separati da otto anni, dopo intervalli molto più lunghi di 121,5 e 105,5 anni, secondo un ciclo che si ripete ogni 243 anni (i due più recenti sono avvenuti nel 2004 e nel 2012).

Halley sapeva molto bene che non sarebbe vissuto abbastanza a lungo per partecipare direttamente alla campagna di osservazione che stava promuovendo. I due successivi transiti si sarebbero verificati infatti soltanto nel 1761 e nel 1769. Morì nel 1742, consegnando ai posteri il lascito ideale di mettere in pratica la sua proposta.

Nonostante la guerra in corso tra Inglesi e Francesi all’epoca del transito del 1761, governi e comunità scientifiche di tutto il mondo si mobilitarono per realizzare al meglio il piano congegnato da Halley. Una mobilitazione ancora più grande si verificò per il transito del 1769 e alla fine, nonostante infinite difficoltà, si riuscirono a ottenere misurazioni della parallasse solare e della distanza Sole–Terra generalmente più accurate di quelle ottenute da Cassini e Flamsteed un secolo prima.

Ma in cosa consisteva precisamente il metodo proposto da Halley? L’idea era quella di misurare con la massima precisione possibile l’orario del secondo e del terzo contatto del disco di Venere con il disco del Sole, da diversi punti della Terra dai quali il transito sarebbe stato visibile. Il secondo contatto è quello in cui il disco di Venere appare completamente dentro il disco solare mentre c’è, però, ancora un punto di sovrapposizione visuale tra i bordi dei due corpi. Il terzo contatto è quello in cui Venere ha raggiunto il bordo opposto del Sole, e lo tocca non avendo però ancora cominciato ad attraversarlo. Tra questi due punti, il pianeta si muove disegnando una corda sul disco molto più grande del Sole. Osservata da punti differenti della Terra, questa corda apparirà leggermente spostata, un po’ più lunga o un po’ più corta, e leggermente differente sarà la durata totale del transito, cioè il tempo che separa il secondo dal terzo contatto.

Rappresentazione schematica delle differenti corde proiettate dal transito di Venere sul disco del Sole, a seconda del punto della Terra da cui si osserva il fenomeno (adattamento da un’immagine di Wikipedia)

C’erano ovviamente delle complicazioni di cui tenere conto. Per esempio, a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre, vi sarebbero state zone della Terra in cui la velocità della rotazione terrestre si sarebbe sommata alla velocità del transito di Venere, rendendo l’intervallo da misurare più breve; vi sarebbero state altre zone, invece, in cui la rotazione terrestre sarebbe avvenuta in direzione contraria al transito, rendendo maggiore la durata del fenomeno. Ciò nondimeno, Halley era convinto che, se tutti gli osservatori avessero preso scrupolosamente gli orari di inizio e fine del transito, sarebbe stato possibile trattare matematicamente quel complesso di dati, in modo da ricavare la parallasse di Venere, e da quella la parallasse solare, con una precisione di 1 parte su 500.

Osservatori dislocati in molte parti del mondo, a volte dopo peripezie incredibili, portarono a compimento con diseguale fortuna le misurazioni pianificate da Halley circa mezzo secolo prima. Vi furono molte ragioni che spiegano la mancanza di accordo finale degli scienziati sulla misura della parallasse solare, quando fu il momento di tirare le somme dei risultati delle osservazioni compiute durante i due transiti del 1761 e del 1769. Ma un motivo in particolare pesò più degli altri: il terribile fenomeno della “goccia nera”. Quando Venere era sul bordo del Sole, non si riusciva a cogliere il momento esatto del contatto e del distacco: il bordo del disco solare e il piccolo disco del pianeta sembravano collegati da una specie di ponte elastico, come una goccia che si allunga prima di staccarsi, sospesa tra due corpi che si allontanano lentamente. Secondo la teoria oggi più accreditata, la “goccia nera” appariva per una somma di cause concomitanti: innanzitutto la diffrazione della luce, probabilmente dovuta all’atmosfera di Venere, poi le cattive ottiche dei telescopi del tempo, infine la turbolenza dell’atmosfera terrestre. Ciò che importa è che la “goccia nera” contribuì a rendere incerta la determinazione del momento iniziale e del momento finale dei transiti di Venere del 1761 e del 1769.

La famigerata “goccia nera”, cioè l’apparente fusione tra il bordo di Venere e quello del Sole, che impediva di misurare con precisione l’inizio e la fine esatta del transito, apparve anche nelle immagini del satellite TRACE, durante il transito di Venere del 2004. Credit: NASA / TRACE / LMSAL

Seguirono così anni di complicati calcoli e di dispute accademiche. Il transito del 1761 era stato osservato da almeno 62 stazioni differenti e quello del 1769 da più di 77. La messe di dati accumulata era straordinariamente elevata per l’epoca. Occorreva trovare valide strategie di analisi, per dare il giusto peso a ciascuna delle numerose variabili e fonti di errore che influivano sul calcolo finale della parallasse solare. Lo svizzero Eulero, dotato di straordinario talento matematico, fu quello che ottenne la migliore approssimazione alla misura corrente. Nel 1770, pubblicò un valore di 8,82 secondi d’arco per la parallasse solare, che corrispondeva a una distanza di 151.225.000 km: circa l’1% in più del valore ottenuto oltre duecento anni dopo, alla fine del XX Secolo. Altri studiosi ottennero risultati che, col senno di poi, appaiono meno precisi, ma tutti i valori proposti per la parallasse solare concordavano nella cifra più significativa, 8 secondi d’arco, limitandosi le discrepanze a decimi o centesimi di secondo.

Alla luce di ciò che sappiamo oggi, le campagne di osservazione dei transiti di Venere del 1761 e del 1769 possono considerarsi un successo, non solo organizzativo, ma scientifico, perché, pur con tutti i limiti delle tecnologie e delle strategie di analisi dei dati dell’epoca, permisero di migliorare notevolmente la misura della parallasse solare, rispetto ai risultati ottenuti nel 1672 da Cassini e Flamsteed.

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Michele Diodati
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Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.