Rappresentazione artistica di un pianeta liberamente fluttuante, cioè non orbitante intorno a una stella. Credit: ESO/L. Calçada

6/10. L’istruttiva storia dei pianeti che non erano pianeti ma raggi cosmici

Ma M22 possiede anche un’oscura popolazione di pianeti solitari …

Michele Diodati
GruppoLocale

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Possiamo tornare ora a occuparci dello studio pubblicato da Sahu e colleghi su Nature nel 2001, in particolare della sua seconda parte. Infatti, oltre all’evento durato 17,6 giorni, attribuito a una possibile microlente gravitazionale causata da una stella di piccola massa in M22, gli astronomi dello Space Telescope Science Institute avevano registrato anche altri sei eventi di illuminazione, molto più brevi e misteriosi.

Ognuno di questi eventi consisteva in un aumento di luminosità di una stella compreso tra 0,3 e 0,8 magnitudini. L’improvvisa illuminazione appariva in entrambe le immagini di uno stesso campo, acquisite da Hubble a distanza di sei minuti l’una dall’altra nel corso della stessa orbita. La durata esatta di ciascun fenomeno non era nota, ma quel che è certo è che nel corso delle successive osservazioni di quei campi da parte di Hubble, in tutti e sei casi, la luminosità delle stelle era ritornata al livello precedente.

La prima e più naturale spiegazione dello strano fenomeno era da ricercarsi nel possibile inquinamento delle immagini da parte di raggi cosmici o pixel difettosi. Ma gli autori dello studio ritennero di poter scartare questa eventualità dopo un’attenta ispezione delle immagini e del loro processo di elaborazione.

Esclusi gli artefatti, possibili cause di natura astronomica di quei sei eventi potevano essere brillamenti di nane particolarmente attive oppure, di nuovo, eruzioni di variabili cataclismiche. Ma i ricercatori esclusero anche queste due possibilità: per quanto riguarda i brillamenti, le nane che ne producono sono stelle di classe M, in genere troppo deboli o troppo rosse per corrispondere alle caratteristiche delle sei che si erano illuminate; per quanto riguarda invece le variabili cataclismiche, queste sono generalmente blu, mentre le stelle interessate dal fenomeno erano rosse.

L’ipotesi che a Sahu e colleghi sembrava la migliore era, ancora una volta, quella della microlente:

D’altra parte, la luminosità e le distribuzioni di ampiezza dei candidati sono esattamente quelle che ci si attenderebbe da microlenti di stelle del nucleo.

Ma, se quello era davvero il caso, ne scaturivano conseguenze a dir poco bizzarre:

Se questi eventi rappresentano davvero delle microlenti gravitazionali, il limite statistico superiore per la loro durata (a un livello di confidenza del 95%) è di 0,8 giorni, corrispondente a una massa pari all’incirca a 0,25 volte appena quella di Giove. Simili oggetti devono essere o liberamente fluttuanti o, come minimo, a diverse unità astronomiche di distanza da qualsiasi oggetto di massa stellare: in caso contrario, l’effetto dell’oggetto stellare sulla curva di luce sarebbe stato facilmente rilevabile. Il contributo totale di questi pianeti liberamente fluttuanti (se davvero esistono) rispetto alla massa dell’ammasso è incerto, ma prendendo in considerazione l’area e la sensibilità del nostro programma di monitoraggio, stimiamo che sia nell’ordine del 10%.

Se il 10% della intera massa di M22 fosse distribuita in pianeti solitari, il loro numero sarebbe davvero enorme. Dato che la massa di Giove è circa un millesimo di quella solare, se attribuiamo 29.000 masse solari (il 10% della massa stimata di M22) a pianeti da 1/4 della massa di Giove, otteniamo un totale di 116 milioni di pianeti “oscuri”, cioè o liberamente fluttuanti o molto lontani dalla stella madre. Ma il numero di tali corpi potrebbe essere di gran lunga maggiore, dal momento che i pianeti di taglia sub-gioviana rappresentano solo il limite superiore di un’ampia scala di masse planetarie possibili.

A tal proposito, Jarrod R. Hurley e Michael M. Shara, due astronomi dello American Museum of Natural History, scrissero in uno studio pubblicato nel 2002:

Se questi oggetti di massa planetaria liberamente fluttuanti sono gioviani, allora la loro grandezza relativa suggerisce che devono esserci 60 gioviani per stella in M22 e, pertanto, che essi costituiscono circa il 10% della massa dell’ammasso. Se essi sono oggetti di tipo terrestre, allora il loro numero sale a 600 per stella, ma formano soltanto lo 0,3% della massa dell’ammasso.

Secondo i due autori, il cui intero studio era dedicato ad analizzare l’esito di una simulazione sui pianeti liberamente fluttuanti in M22, la possibilità che esistesse in quel globulare una simile schiera di pianeti invisibili non era poi così sorprendente.

Alla base della fiducia di Hurley e Shara nell’abbondanza di pianeti solitari in M22 c’era l’ipotesi che la densità stellare al centro dell’ammasso globulare creasse un tal numero di interazioni gravitazionali tra stelle vicine da condurre all’espulsione di un gran numero di pianeti dai loro sistemi d’origine. La simulazione da loro creata, usando 22.000 stelle sintetiche di cui 4.000 in sistemi binari, aveva lo scopo di valutare appunto come evolvono nel tempo le orbite di stelle e pianeti all’interno dell’ammasso in ragione delle complesse influenze gravitazionali in gioco. I risultati sono riportati nella tabella seguente.

La tabella riporta la media dei risultati della simulazione condotta da Hurley e Shara, relativamente alla sorte toccata ai pianeti all’interno di un ammasso a intervalli di un miliardo di anni. La colonna Time riporta il tempo, espresso in milioni di anni. Total è la percentuale totale di pianeti liberati dall’attrazione della propria stella madre. Kept è la percentuale di pianeti liberati che rimangono nell’ammasso trascorso il cosiddetto crossing-time (il tempo necessario per percorrere una distanza pari al raggio di metà-massa dell’ammasso, tempo che per M22 è tra 2 e 10 milioni di anni). Current è la percentuale di pianeti liberati che si trovano nell’ammasso trascorso il tempo indicato all’inizio della riga. Escaped è la percentuale di pianeti sfuggita all’ammasso insieme alla propria stella madre. Swallowed è la percentuale di pianeti distrutti dalla propria stella, inghiottiti per esempio dopo che questa è diventata una gigante rossa. Exchanged è, infine, la percentuale di pianeti che finiscono per orbitare intorno a una stella differente da quella del proprio sistema d’origine. Credit: The Astrophysical Journal, 565:1251–1256, 1/2/2002

L’esito della simulazione indicava che, dopo 4 miliardi di anni, circa i due terzi dei pianeti liberati dalla propria stella madre rimangono all’interno dell’ammasso per un tempo molto più lungo di quello necessario ad attraversarlo (crossing time) fino al raggio di metà-massa. Ciò sembrava confermare l’ipotesi che i sei eventi descritti nello studio di Sahu e colleghi fossero davvero dei casi di microlente gravitazionale e che in M22 albergasse una vasta popolazione di pianeti liberamente fluttuanti.

Ma se davvero questi pianeti nascosti nel buio costituivano una frazione significativa della massa di M22, restava da capire come potesse formarsi da normali dischi protoplanetari, in un ambiente così affollato, un numero così alto di pianeti per ogni stella (le stime più prudenti indicavano tra 100 e 200 pianeti per stella).

Hurley e Shara elencarono a sostegno di questa possibilità alcune ipotesi derivate da studi precedenti di altri autori:

Mentre va sottolineato che la scoperta di pianeti liberamente fluttuanti in M22 è preliminare nonché speculativa, essa suggerisce nondimeno che si sia formato un minimo di 100 pianeti per ciascuna stella. Ciò può suonare non plausibile, ma è supportato in effetti da recenti simulazioni. Ida & Kokubo (2001) hanno mostrato che in un disco protoplanetario dove la densità superficiale della componente solida è bassa, la massa d’isolamento dei pianeti è piccola e possono formarsi molti pianeti di tipo terrestre. È anche possibile che in un disco protoplanetario avente metallicità inferiore a quella solare possano formarsi molti pianeti simili alla Terra: forse 50–100 per stella. Una popolazione di oggetti substellari liberamente fluttuanti è stata inoltre rilevata nel giovane ammasso σ Orionis (Zapatero-Osorio et al. 2000). È stata anche sollevata la possibilità che essi possano essersi formati così come sono (Boss 2001), cioè non collegati a una stella madre.

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Michele Diodati
GruppoLocale

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.