Fenomenologia di Chiara Ferragni [Episodio 3]

Marco Pedroni
HomoAcademicus
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7 min readOct 29, 2019

Terzo episodio della fenomenologia di Chiara Ferragni. (Qui il primo, e qui il secondo, se li avete persi). Allo scoperta della sua biografia imprenditoriale prima che diventasse la signora Ferragnez.

Se sei social, ti tirano le pietre… ma i brand ti cercano

Essere un benchmark per il fashion blogging italiano comporta anche essere obiettivo di polemiche. Il 3 aprile 2012 La Repubblica Affari e Finanza riferisce che

la scorsa settimana, il marchio di abbigliamento Stefanel ha invitato a Milano un gruppo di blogger da tutto il mondo per promuovere la nuova collezione, in un evento esclusivamente dedicato a loro. Nella schiera, però, mancava il nome di una delle più famose in Italia. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, la nuova «star» interverrebbe agli eventi soltanto dietro un compenso a quattro zeri.

Si tratta di una conferma di quanto nel 2012 il blogging (e il rapporto dei professionisti della moda con il blogging) sia ancora in una fase ingenua, in cui è lecito stupirsi che le blogger si facciano pagare. Ferragni, il non nominato bersaglio della critica, smentisce via social network e chiarisce:

Naturalmente ci sono progetti a pagamento, ma la partecipazione ad un evento con altre blogger non è mai stata una di quelle, e soprattutto collaboro volentieri con marchi come Stefanel o anche low cost, come ho fatto con Mango, Yamamay e come farei con altri brand, naturalmente se incontrano il mio gusto personale. Tutto è sempre dichiarato sul blog, che siano collaborazioni o regali, non ho niente da nascondere.

Le società cui TBS Crew ha affidato il digital marketing e la pubblicità introducono Ferragni presso numerose aziende delle industrie della moda e del beauty, mentre altre (ad esempio Dior) contattano spontaneamente la blogger. L’elenco è lungo, ma vale almeno la pena citare le collaborazioni con Burberry nel 2012 e Louis Vuitton nel 2013, nonché la creazione di capsule collection per Yamamay (2012), Superga (2013) e Steve Madden (2014) (Keinan, 2015: 6).

Chiara Ferragni per Yamamay. Fonte: https://moda.pourfemme.it/articolo/chiara-ferragni-per-yamamay-il-web-critica-la-capsule-collection/28035/

Chiara goes to Harvard

Nel 2013 Ferragni può già essere considerata una celebrity a livello internazionale, in costante movimento tra Asia, America ed Europa, mentre il suo team con base a Milano, in costante crescita e sotto il coordinamento di Pozzoli, cura lo sviluppo di The Blonde Salad come brand.

I tempi sono maturi per l’esordio di Ferragni e Pozzoli come produttori di una collezione di scarpe: siamo all’avvio di una nuova società, nel 2013, la Chiara Ferragni collection, fondata insieme all’imprenditore Paolo Barletta, capace di generare introiti per 500.000 € nei primi 5 mesi, che diventano 4 milioni di euro nel 2014, grazie a una distribuzione internazionale.

Ma il campo del blogging è in costante evoluzione. Mentre Ferragni continua a diversificare la sua attività, vestendo anche i panni di designer di gioielli con la collezione Caia Jewels (2013), Pozzoli nota che il successo del blog, ormai giunto a 140.000 visite giornaliere, deve fare i conti con la crescente popolarità dei social media visuali, in particolare Instagram.

Si inizia a puntare con decisione su questa piattaforma, che regala a Ferragni 2 milioni di follower già nel 2013.

La fase aurea del blog sembra essere in procinto di tramontare, e la TBS Crew ne prende atto impostando una strategia volta alla valorizzazione di Instagram e alla parallela trasformazione del blog in un lifestyle magazine online.

Pur non essendosi mai qualificata né proposta come giornalista, Ferragni si trova di fatto ad essere il volto e il direttore editoriale di una testata che compete con i magazine di settore –elemento che spiega il panico dei giornalisti di settore di cui si è detto nei paragrafi precedenti.

The Blonde Salad diventa un progetto editoriale collegato a un sito di e-commerce (dal 2016) con cui Ferragni vende la propria collezione di scarpe e prodotti selezionati di altri brand. Scrive La Repubblica il 10 ottobre 2016:

The Blonde Salad [è] diventato nel frattempo una realtà da 500mila visitatori unici mensili e 6,7 milioni di follower su Instagram per l’account personale della blogger e influencer. È da qui dunque che lo scorso 6 settembre è partito shop.theblondesalad. com, col sistema andato in crash dopo 10 minuti per i troppi contatti. […] Chanel è stato il main sponsor del lancio dell’e-store.

Ferragni è ormai una presenza pienamente legittimata nel campo della moda, nel triplice ruolo di digital influencer (di fatto una modella, pur non sfilando in passerella), imprenditrice (collezione di scarpe e gestione di un e-shop) ed editore (grazie alla trasformazione di The Blonde Salad in magazine).

Nulla risulta più sorprende nell’evoluzione di Chiara Ferragni come brand: il primo topless parziale nel 2014 il primo nudo integrale nel 2016 per Vanity Fair US, tasselli di una trasformazione d’immagine da blogger post-adolescenziale e donna matura e sensuale; la capsule collection di costumi Je m’en fous creata da Francesca Zoppas in collaborazione Ferragni e Candela Novembre, altra influencer, e quella di occhiali in collaborazione con Italia Independent, il brand fondato di Lapo Elkann; il suo ingresso nel mondo del gossip, che si interessa ampiamente alla fine del suo fidanzamento con Pozzoli (2013) e alla relazione con il rapper Fedez (2016); il vedersi accostata a nomi quali Gisele Bündchen, che Ferragni affianca come global ambassador di Pantene (2016); inserita dal Financial Times tra i tre grandi nomi femminili della nuova generale del lusso digitale e da Forbes nella prestigiosa classifica «30 under 30» (2016); usata come modello per una bambola Barbie (2016); premiata come «blogger of the year» (2015) ai BlogLovin Awards (piattaforma on line e punto di riferimento per quello che ruota attorno a lifestyle e moda) e come beauty icon (2015) da Marie Claire; scelta come testimonial europea da Amazon Moda per la collezione primavera/estate 2016; invitata due volte nel corso di corso di Luxury Marketing della Harvard Business School — dove è stato realizzato il case study da cui la nostra Fenomenologia attinge larga parte delle informazioni — ; indicata come possibile valletta del Festival di Sanremo (2017); «Simpsonizzata», ovvero disegnata nelle sembianze di un personaggio del famoso cartone, da Matt Groening in persona (2014); nominata giudice a Project Runway, il popolare talent show americano dedicato agli stilisti (2014); ritratta sulla copertina di Vogue Espana (2015), la prima volta di una blogger su Vogue; e l’elenco potrebbe proseguire.

Lo studio di caso realizzato dalla Harvard Business School. Fonte: Keinan, A. et al. (2015). The Blonde Salad. Harvard Business School.

Verso la (auto)consacrazione

Quanto alla legittimazione di Ferragni, tuttavia, occorre menzionare almeno un’altra importante tappa della sua carriera: l’organizzazione della mostra YOU: The Digital Fashion Revolution presso la Triennale di Milano nell’ottobre 2016.

Promossa da Grazia, che al contrario di altri fashion magazine ha impostato la relazione con i blogger in termini collaborativi, il progetto nasce con l’obiettivo di «mettere alla luce le rivoluzioni e i cambiamenti che i web influencer attuano e hanno attuato nel mondo della comunicazione a 360 gradi».

Il pantheon delle influencer alla mostra YOU: The Digital Fashion Revolution. Fonte: https://www.preziosamagazine.com/you-digital-fashion-revolution-mostra-curata-dal-magazine-grazia-e-the-blond-salad-di-chiara-ferragni/

Il percorso espositivo punta su due aspetti: in primo luogo, mostrare la centralità del consumatore-utente nella presunta rivoluzione bottom-up di cui i fashion blog sono espressione, presentando Ferragni e i blogger i generale come persone comuni in relazione diretta con altre persone comuni (da qui l’enfasi sullo You del titolo), tutte accomunate dalla possibilità di parlare al mondo intero attraverso il web.

In secondo luogo, ricostruire una storia del fashion blogging capace di fornire legittimazione sociale e culturale a questo fenomeno e al tempo stesso di indicarne le traiettorie evolutive.

In questa direzione vengono citati, come passaggi storici preliminari al blogging, il primo servizio di street style photography di Bill Cunningham sul New York Times (1998) e la mostra di Ted Polhemus sullo street style presso il londinese Victoria&Albert Museum (1994), suggerendo un’associazione tra la spontaneità degli stili di strada e il blogging che è molto discutibile (il blogging di Ferragni, basato su personal style e pubblicazione di outfit, è molto diverso dal blogging di autori quali Scott Schuman, dediti alla street style photography). Senza dimenticare la fondazione di Google (1998).

Una carrellata di microbiografie dei più autorevoli blogger, pubblicate su specchi che sollecitano l’identificazione del visitatore con i protagonisti della digital revolution, fa da premessa al pannello che sancisce il passaggio «da fashion blogger a digital influencer».

Se le prestigiose collaborazioni e le statistiche di accesso ai canali social fotografano la forza oggettiva di Ferragni quale digital influencer di successo, l’organizzazione di una mostra autocelebrativa — in cui la blogger stessa qualifica la crescita dei fashion blog come «rivoluzione digitale», ricostruisce a posteriori i fondamenti culturali di tale rivoluzione ed edifica un pantheon di influencer di primo piano — testimonia da una prospettiva soggettiva e interna al campo del blogging il livello di legittimazione che questa categoria di gatekeeper ha raggiunto, nonché la sua volontà di mantenere la posizione dominante affiancando al potere commerciale anche una legittimazione culturale — quella che gli editoriali di Vogue, voce dominante nel coro dei fashion media, hanno finora negato agli influencer.

Il matrimonio con Fedez, il figlio Leone, il docu-film Unposted presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Tutto questo arriverà tra poco. Ma Chiara Ferragni, prima dei Ferragnez, è già la ragazza della porta accanto, baciata dal principe nelle sembianze dei social network, e trasformata in principessa.

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Marco Pedroni
HomoAcademicus

Proudly a sociologist, whatever that means. I write about digital media, cultural industries, artificial intelligence, and academia