Alessandro Gottardo

Di cosa parliamo quando parliamo di editing

Circolo dei lettori
il Circolo degli scrittori
4 min readFeb 9, 2015

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Come sarà chiaro ai più, il titolo del post di oggi, dedicato all’incontro del Circolo degli scrittori di giovedì 5 febbraio, è mutuato direttamente dalla celebre raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo di amore di Raymond Carver.

Nel corso di questi mesi ci siamo accorti che molti tra gli autori dei dattiloscritti pervenuti in gara subiscono evidentemente la fascinazione della sua scrittura
(vedi il post Perché l’imitazione non è una limitazione)

Carver ci fornisce un esempio davvero interessante nell’ambito della relazione tra scrittore ed editor, argomento di cui il Gruppo ha discusso più volte. Carver ebbe un rapporto di vera e propria dipendenza con l’editor e amico Gordon Lish, al quale affidò i suoi racconti con la stessa cieca abnegazione e fiducia con cui si affida il proprio cuore alla persona amata. Purché questa ne abbia cura, nel caso del cuore, e che questi vengano pubblicati, nel caso dei racconti.

La domanda che ha fatto da sottofondo alla lettura dei manoscritti dati in lettura la settimana scorsa è questa: “Di che cosa parla? Che cosa vuol dirci l’autore?” Alla provocazione dei nostri editor, che hanno semplicemente chiesto all’uditorio di spiegare in una frase secca il tema dei testi letti, il Gruppo si è guardato intorno attonito. Perché forse non è così semplice rispondere. Tra sguardi titubanti qualche spavaldo lettore ha preso il coraggio e la parola.

La chiamata è un giallo fantascientifico, perciò forse, in quanto romanzo di genere, l’intento è il puro e semplice divertissement. Diverso il caso di Le attitudini professionali. Giulio fa notare come lo scopo dell’autore sia raccontare la depressione di un personaggio che alla fine non distingue più tra realtà e finzione.
Gli Assi cartesiani, invece, racconta la vicenda di due amici di lunga data che si ritrovano a confrontarsi sugli esiti dei loro sogni di gioventù. X ha seguito la sua passione e, per poter continuare a suonare, è diventato un clochard, mentre Y alla fine ha distolto lo sguardo dai sogni “di gloria” ed ha sposato la figlia di un ricco imprenditore, finendo, alla morte del padre di lei, per dirigere l’azienda di famiglia ma vivendo terribili incubi notturni. Secondo Giovanni il romanzo mostra quanto costi scendere a patti con la vita e il suo incedere, lasciando aperta la questione: è meglio accontentarsi o inseguire i propri desideri?

Di che cosa si parla? è dunque la domanda attorno cui andrebbe costruita l’ossatura del romanzo e non significa solamente mettere a fuoco la trama ma andare in profondità, in quel grumo di paure e sofferenze che rendono una storia degna di esser raccontata. È un esercizio faticoso, che solo talvolta può risolversi in un’epifania, come avvenne per Raymond Carver:

«Una volta mi son messo a scrivere quello che si è poi rivelato essere un bel racconto, anche se all’inizio mi si era presentata solo la prima frase. Erano già diversi giorni che andavo in giro con queste parole in testa: “Stavo passando l’aspirapolvere quando squillò il telefono.” Sentivo che dietro quella frase c’era una storia che voleva essere raccontata. Me lo sentivo nelle ossa che insieme a quell’inizio ci doveva andare una storia, bastava che trovassi il tempo per scriverla. Il tempo lo trovai, un giorno intero — dodici, quindici ore, addirittura — bastava che volessi metterle a frutto. E così fu, una mattina mi sono seduto e ho scritto la prima frase e subito le altre frasi hanno cominciato ad attaccarsi a quella. Ho composto la storia come avrei composto una poesia; una riga dietro l’altra e poi un’altra e un’altra ancora. Dopo un po’ ho cominciato a intravvedere la storia e sapevo che quella era la mia storia, proprio quella che avrei voluto scrivere». (Raymond Carver, Il mestiere di scrivere, Einaudi 2008)

Il Gruppo di lettura oggi si è concluso con la lettura dell’incipit della Prefazione scritta da Paolo Giordano a Principianti di Carver. Giordano affronta proprio la relazione tra editor e scrittore (e qui torniamo al nostro punto iniziale e al motivo del titolo di questo post). In riferimento al racconto Dummy di Carver, Giordano scrive: «L’editing è un po’ come la pesca a fin di bene. Nella maggioranza dei casi si concretizza nell’eliminare parti più o meno brevi del testo originale. Talvolta si tratta di togliere un aggettivo […] altre volte occorre rinunciare a un capitolo per intero: in quei casi, mentre lo si cancella, il fiato manca per un istante, perché quel gesto significa gettare via ore di lavoro e inevitabilmente qualche buona intuizione. […] Ogni parola uccisa, come ogni pesce persico pescato, gli lacera il cuore. Ecco perché non possono esistere rapporti distesi, ma soltanto di lotta sana, di morbosa sudditanza oppure di cieca devozione fra uno scrittore e il suo mentore».

Per questa e altre questioni, si consiglia a tutti la lettura de Il mestiere di scrivere: un vademecum sulla scrittura creativa che molto può offrire per dissipare dubbi e domande che sono emersi oggi in Sala Lettura.
L’appuntamento è alla prossima settimana. Solo Assi cartesiani ha passato il vaglio del nostro Gruppo, ma per prendere posto sulla panchina di eventuali ripescaggi.

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