Didattica innovativa o tradizione 2.0?
Un articolo su Edutopia dal titolo Stiamo innovando o semplicemente digitalizzando la didattica tradizionale? parte dalla considerazione che molti insegnanti affermano di utilizzare Google Classroom (o Edmodo, Schoology, Canvas, Moddle, ecc.) ma poi, se si osserva bene, si scopre che si tratta semplicemente di una digitalizzazione dei contenti già esistenti e delle consuete pratiche.
Sulla differenza tra apprendimento digitale e apprendimento digitalizzato mi sono già occupato in un post di qualche tempo fa (Didattica digitale vs. didattica digitalizzata), in cui parlavo anche del modello SAMR. In sostanza, anche l’articolo di Edutopia sottolinea il rischio di “replicare le pratiche esistenti con nuovi strumenti, anche più costosi.” Ma soprattutto concentra l’attenzione sul blended learning e sull’aspetto che si ritiene più importante: la centralità dello studente e la sua autonomia. Di seguito riporto alcuni paragrafi tradotti, con il sempre sottinteso invito a leggere l’intero post in originale.
Nell’articolo vengono individuati i rischi e le promesse del blended learning:
I rischi
La diffusione di contenuti creati ed erogati dall’insegnante non è un vero e proprio blended learning. Sebbene ciò possa essere visto come un primo passo verso nuovi modelli didattici, il rischio risiede nel compiacimento. Infatti gli studenti rimangono comunque fruitori passivi di un contenuto erogato e messo insieme da altri, invece che diventare creatori di conoscenza all’interno di un contesto che possono controllare attivamente.
Le promesse
Il vero blended learning fornisce agli studenti non solo l’opportunità di lavorare sia online sia in classe, ma anche un elemento di autorialità rispetto al processo di apprendimento. Liberando gli studenti dai limiti della giornata di scuola, dalle mura scolastiche, dall’expertise di un solo insegnante e dai ritmi del resto della classe, il blended learning potrebbe cambiare radicalmente il sistema e la struttura della scuola e dare agli studenti un’esperienza di apprendimento più attivo e personalizzato.
Seguono esperienze dirette e testimonianze di insegnanti che hanno applicato questi principi, “mettendo gli studenti nella condizione di controllare ciò che apprendono, il loro ritmo di apprendimento e perfino il lo spazio dove apprendere all’interno della classe.”
Gli insegnanti interpellati lavorano tanto alle materne quanto con studenti di master: c’è una docente che racconta come l’utilizzo di propri video per spiegare i concetti più difficili l’abbia liberata dalla costrizione della lezione frontale permettendole di lavorare con gli studenti in modo più individualizzato, dando istruzioni e compiti su misura. C’è l’insegnante che ha fornito agli studenti opzioni differenti per accedere ai contenuti (video, testi digitali, testi cartacei o ebook, confronto faccia a faccia): “invece di richiedere agli studenti di restarsene seduti e imparare a ranghi serrati”, ha creato un ambiente dove i suoi studenti possono controllare il percorso, il ritmo e gli spazi dove si svolge l’apprendimento.”
“Il blended learning”, conclude l’articolo, “può significare un passo in avanti verso qualcosa di veramente grande: dare agli studenti la piena responsabilità rispetto al loro proprio apprendimento. Ma questo dipende dalla direzione scelta dall’insegnante. (…) Gli insegnanti non danno questa responsabilità semplicemente con la tecnologia o lavorando in modalità blended, bensì solo quando creano le condizioni grazie alle quali questa responsabilità può prosperare.
Il blended learning, se vuole essere un segno di discontinuità, deve sostituire l’erogazione unidirezionale dei contenuti così come ora accade nella scuola e andare verso un modello più centrato sullo studente. Altrimenti, rimarrà niente più che una versione digitale del concetto tradizionale di scuola.”
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