“L’influencer non è un attore, ma un appassionato che conosce il suo pubblico”(2)

Ce ne parla Cristina Lazzati, direttrice della rivista Markup, dell’e-magazine Gdoweek e delle riviste Freshpoint Magazine e Pet Trend, con cui abbiamo approfondito il tema dell’influencer marketing

Martina Ottoboni
Innovation Eye
3 min readMar 9, 2023

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Al giorno d’oggi sono molte le aziende che investono nell’influencer marketing, questo perché permette di ampliare l’audience, incrementare il traffico verso il sito web, aumentare la brand awareness e migliorare il tasso di conversione.

È un settore in estrema crescita e molti esperti in materia hanno individuato alcune nuove tendenze che spopoleranno in questo anno. A tal proposito abbiamo intervistato Cristina Lazzati, direttrice della rivista Markup, dell’e-magazine Gdoweek e delle riviste Freshpoint Magazine e Pet trend che lavora principalmente nel settore del retail e del marketing e, proprio in merito a questo tema, ha scritto un articolo sulla Repubblica.

In un suo articolo indica fra i trend del 2023 quello di lasciare liberi gli influencer di creare contenuti senza troppi vincoli. Ci sono esempi di brand che non hanno rispettato la libertà degli influencer e di conseguenza hanno fallito nel loro obiettivo comunicativo?

Ci sono e ce ne sono stati molti, ma poi sono caduti, questo perché l’influencer non è un attore o un testimonial, ma i brand lo scelgono perché è un appassionato e conosce il suo pubblico. È la passione rispetto a quella materia che spinge un brand a scegliere un influencer piuttosto che un altro. Che senso avrebbe pagare un esperto per poi limitarlo nel suo lavoro? A quel punto sarebbe meglio scegliere un altro strumento per comunicare.

Secondo lei è vantaggioso per le aziende assumere direttamente influencer e creator rendendoli parte integrante del *proprio* team per una collaborazione continuativa o è meglio continuare ad avere un rapporto tramite partnership?

Dipende molto da come un brand utilizza i suoi social. Se Instagram è il canale di comunicazione privilegiato dal brand che nel frattempo sfrutta anche tv e radio e quindi risulta un brand di largo consumo, è meglio avere un rapporto continuativo su un determinato social ma non necessariamente assumerlo. Se invece tutta la comunicazione è rivolta ai social e l’influencer è veramente competente, allora conviene assumerlo e dichiararlo pubblicamente, in modo tale da essere trasparente.

Nel 2023 il video è il contenuto più richiesto. Secondo lei, nel lungo periodo andrà a sostituire del tutto gli altri format o alla lunga finirà per saturare il mercato e quindi occorrerà trovare nuovi format?

Nei prossimi anni il video continuerà a essere fondamentale. Alcuni social hanno provato a utilizzare solo l’audio ma non hanno avuto “il successo sperato”. Il pubblico di oggi è sempre meno attento, per questo i video sui social sono “pillole”: danno velocità e offrono relax. Questo non significa che non ci siano altri format che funzioneranno: sempre più aziende investono nei format più lunghi, come i mini-film che raccontano una storia riguardante i valori e gli ideali del brand stesso. Anche i podcast stanno andando benissimo e sono fruiti perché permettono di svolgere altre attività mentre si ascoltano; ma il video rimarrà sempre in cima alla lista come formato breve. I formati lunghi è meglio lasciarli ai podcast, ai cortometraggi d’autore… anche se non tutti possono permetterselo.

Linkedin è un social che sta crescendo molto in questo periodo; secondo lei *in che modo* i brand possono sfruttare una campagna di influencer marketing su un social come questo, dove gli influencer sembrano non esistere?

Non sono gli stessi influencer che si trovano su Instagram, ma esistono anche su Linkedin; spesso sono amministratori delegati, sociologi, giornalisti che hanno dei pareri su determinati temi. Come può utilizzarli un brand? Attraverso campagne istituzionali. L’azienda riesce a farsi notorietà, attirare talenti, trovare personale adeguato alle sue scelte, fare attività di CSR (Corporate Social Responsability che comprende tutti quegli interventi atti a conciliare il profitto dell’impresa con l’attenzione all’ambiente e al sociale) sulla base delle tre P, people, planet and purpose e qui le campagne ci sono e sono anche molto importanti. Linkedin è il medium giusto per lavorare su questo.

Trovate la prima parte dell’intervista qui

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