Post verità ad alzo zero e ban a bruciapelo
I tentativi di arginare la pericolosità dei social in nome della sicurezza, ma anche della libertà di pensiero
Uno dei più clamorosi casi recenti di controllo totale dei social su di un individuo è senz’altro quello della vicenda legata all’ex presidente USA Donald Trump il quale, come sappiamo, ha istigato con una sequenza di tweet e post controversi una folla di rivoltosi ad assaltare il Campidoglio, simbolo della democrazia statunitense. Conseguenze: la “purga” social nei confronti delle correnti trumpiste (Qanon, White Suprematists…) e di Trump stesso da parte dei pesi massimi Facebook e Twitter, seguiti a ruota da altre piattaforme di nicchia e dagli app stores. In questo contesto, dunque, i campioni della Silicon Valley hanno preferito la linea dura, facendo scomparire account e post del magnate americano; non solo ma, in perfetto stile aziendale, Facebook e Twitter hanno spiegato le loro azioni (il primo a mezzo di un post del CEO e fondatore Mark Zuckerberg, il secondo attraverso un comunicato stampa) impugnando le proprie linee guida e giustificando tali provvedimenti: Zuckerberg ha infatti stabilito come le affermazioni di Trump fossero ormai arrivate al punto di minacciare la stabilità di un governo eletto. Twitter, dal canto suo, si è giustificato facendo riferimento a una delle sue linee guida — in particolare quella riguardo alla “glorification of violence” (promuovere ed istigare atti violenti). Tuttavia, l’opinione pubblica (o meglio, l’opinione social) è rimasta talmente scossa dalla forma violenta dell’ultimo colpo di coda del trumpismo che ha largamente biasimato i social network nonostante le azioni intraprese: c’è stato chi ha messo in luce l’incoerenza del comportamento di queste piattaforme, le quali, sin dalla loro fondazione, si sono presentate come “l’ala del libero pensiero del partito del libero pensiero” (fonte: New Yorker) e solo adesso corrono ai ripari. C’è poi chi ha sottolineato (riportando le dichiarazioni di Trump stesso), che l’ex presidente avrebbe comunque le risorse per fondare un social tutto suo (fonte: Fox News), trasferendo la sua base di supporters (a questo proposito, Riccardo Tagliabue ha fornito un’interessante riflessione qui) e rendendo vano lo sforzo delle big tech. Di fatto, l’insegnamento che possiamo trarre da questa vicenda ci mostra come ormai la realtà dei social sia dotata di un grande potere di influenza che arriva a manifestarsi nelle nostre pratiche quotidiane in modo anche violento (vedi sopra l’attentato al Campidoglio). La reazione più comune a fronte di certi episodi è sicuramente la paura, che molto spesso sfocia in una sfiducia a priori per tutto ciò che le nuove avanguardie tecnologiche portano e per estensione ai social — una sorta di “pessimismo cibernetico”. Possiamo trovare opinioni in tal senso, ad esempio, nella proposta di Farhad Manjoo del New York Times, il quale afferma in un articolo, senza mezze misure, che ai vertici di Stato semplicemente non dovrebbe essere permesso di possedere un profilo social, in quanto dei capi di governo non dovrebbero avere la possibilità di esporre ciò che passa loro per la testa. Ma sono veramente necessarie azioni così drastiche?
Per fare un quadro più chiaro, proviamo ad aiutarci con le parole di Marshall Mcluhan, storico sociologo che pone l’importante teorema: “il medium è il messaggio”( ilSole24).Da questa affermazione possiamo concludere che il canale, in questo caso il social media, assume una connotazione così importante da influenzare la valenza del messaggio stesso: quando Trump pubblica insinuazioni prive di fondamento, non ha bisogno di accompagnare l’enunciato con fonti e dati. Il contesto di enunciazione rende la dichiarazione vera; sommato all’auctoritas rivestita dalla persona–emittente della comunicazione, le possibilità di scardinare tale processo sono quasi nulle e i provvedimenti drastici sembrano essere l’unica soluzione. Tuttavia, è necessario cercare di vedere oltre le censure lapidarie e il pessimismo cibernetico: i social non sono solo macchine da post verità; la loro funzione ha contribuito a creare un senso di comunità e di aggregazione colmando distanze tra individui che anni fa non avrebbero neanche lontanamente immaginato di poter avere interessi e idee comuni nonostante abitassero a capi opposti del pianeta; i social media sono ormai una parte integrante di noi stessi, come un nuovo arto. Prima di procedere ad una brutale amputazione, è necessario sforzarsi di trovare dei mezzi di prevenzione per impedire il dilagare di propaganda violenta, preservando tuttavia la sacrosanta libertà di pensiero, ma in sicurezza.