Divertiamoci tutti. Ma si può?

A che punto è il nostro Paese sull’accessibilità del tempo libero?Parchi tematici, aree verdi, cinema, musei e grandi monumenti, sono davvero accessibili a tutti? Nella nostra inchiesta una fotografia dell’Italia inclusiva

AISM onlus
10 min readJul 5, 2016

Di Laura Pasotti, AISM

La Torre Panoramica di Palazzo Madama a Torino. Foto di Davide Camesasca Davide/AGF

Dalla Torre Panoramica di Palazzo Madama a Torino tutti, cittadini e turisti, persone disabili e non, possono osservare lo skyline urbano e il paesaggio naturalistico attraverso immagini in rilievo, descrizione sonora e
lingua visiva in Lis (Lingua Italiana dei Segni).

A Rimini il parco giochi cittadino “Tutti a bordo” è stato progettato per far sì che i bambini possano divertirsi, insieme: il gioco principale è il “serpente scivolo”, in genere il meno inclusivo, in cui al posto delle scale è stata creata una collinetta nel terreno con una pendenza dolce percorribile anche da chi è in sedia a ruote.

Al Festival del cinema di Roma i film italiani proiettati sono sottotitolati per permettere la visione alle persone sorde e i ciechi possono usufruire dell’audio descrizione.

La Pinacoteca civica di San Severino Marche ha eliminato ogni barriera architettonica e ha dato spazio alla multimedialità.

La Villa di Piazza Armerina, in Sicilia, è stata ricostruita con un criterio di accessibilità.

Bastano questi esempi per dire che in Italia il tempo libero è accessibile a tutti?

“Il nostro Paese rischia di essere sempre il ‘fanalino di coda’ — dice Elisabetta Schiavone, architetto collaboratrice di Aism e di Cerpa (Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità) — a volte le strutture che sono segnalate come accessibili, si rivelano non esserlo una volta che la persona è sul posto. Certo, è migliorata la consapevolezza, se ne parla tanto ma si rischia di sottovalutare il tema perché l’accessibilità non si fa leggendo un manuale e applicando la normativa, che è prestazionale e, ad esempio, indica le misure minime da rispettare. Peccato che spesso i tecnici le considerino come lo standard”.

Il problema è culturale:

“Non siamo ancora pronti per essere un Paese davvero ospitale per tutti. Rischiamo di avere strutture di eccellenza, ma di non riuscire a far girare la città”.

Eppure passi avanti ne sono stati fatti e buone pratiche, che si tratti di teatri e cinema, musei, monumenti o anche solo aree verdi cittadine, ce ne sono. E spesso la spinta per renderle possibili è arrivata dal basso, dai cittadini e dalle associazioni delle persone disabili.

È il caso della giostrina accessibile ai bambini in sedia a rotelle del parco giochi cittadino di Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, installata grazie alla battaglia di due amiche, Claudia Protti e Raffaella Bedetti, mamme di tre bambini e creatrici del blog parchipertutti in cui si possono trovare dati e informazioni sui parchi inclusivi in Italia.

“Ci siamo conosciute qualche anno fa e se in inverno non c’erano problemi su cosa fare nel tempo libero con i nostri figli, con la bella stagione non è stato lo stesso — racconta Protti –. Il figlio di Raffaella ha una atrofia muscolare spinale e non poteva andare al parco perché né a Santarcangelo né a Rimini c’erano giochi inclusivi”.

Da qui è nata la richiesta al Comune che le ha ascoltate e ha installato una giostrina girevole accessibile anche ai bambini con disabilità motoria facendo sì che il parco di Santarcangelo finisse nell’elenco di quelli segnalati sul blog parchipertutti: sono 235 in Italia i parchi che hanno installato almeno un gioco accessibile, la maggior parte però ha solo l’altalena per carrozzine, e una trentina sono quelli realmente inclusivi.

Giochi inclusivi sono i pannelli tattili e sensoriali posizionati a un’altezza tale da poter essere utilizzati anche da chi è seduto, l’uso di rampe al posto delle scale per accedere a castelli, navi e torri, giostre girevoli che possono essere usate da tutti, tunnel con accessi abbastanza larghi da far passare una sedia a ruote.

“Non basta un’altalena per carrozzine per rendere un parco giochi inclusivo ma serve un progetto, il coinvolgimento di persone esperte per far sì che i giochi possano essere utilizzati da tutti i bambini, disabili e non, insieme — spiega Protti — in Italia, invece, spesso ci si rivolge a un’azienda a cui si chiede quanti giochi si riescono a installare con il budget a disposizione: ma un’azienda non ha le attenzioni che può avere un pedagogista, tanto che spesso si sceglie solo l’altalena o si mettono i giochi sul prato perché la pavimentazione costa, senza pensare che i bambini in sedia a rotelle sull’erba non si muovono bene”.

Anche il parco di Rimini “Tutti a bordo” (progettato da Fabio Casadei), è nato dalla richiesta di una mamma con due figli con disabilità motoria, «il Comune però rendendosi conto di non avere al suo interno competenze adatte a realizzarlo ha deciso di affidarsi a un consulente esterno e ha creato un gruppo di lavoro, di cui facevano parte associazioni come UILDM e Unione Italiana Ciechi e a cui abbiamo partecipato anche io e Raffaella». Per le due mamme di parchipertutti, il parco di Rimini è «bellissimo, anche se migliorabile’ ma risponde ai criteri di inclusività perché è nato grazie a un progetto.

La chiave è il ‘design for all’, la progettazione universale.

“Negli anni più che alla definizione ‘progettazione universale’ mi sono affezionata a quella di ‘progettazione inclusiva’ perché un’unica soluzione per soddisfare tutti i bisogni è impossibile da trovare — spiega Schiavone — però si possono offrire più soluzioni in un unico contesto sia a livello costruttivo, ad esempio usare rampe e scale per superare dislivelli in caso di disabilità fisiche o altre problematiche, sia a livello di comunicazione”.

Nei parchi, nei musei, nelle città, la comunicazione è fondamentale e deve essere fatta in modo da raggiungere persone con esigenze diverse, non solo con una disabilità ma anche con diversità di tipo culturale o linguistiche.

“Da questo punto di vista — continua Schiavone — i pittogrammi sono di grande aiuto perché attraverso immagini e simboli si può avere una comunicazione a 360 gradi per accogliere, ad esempio, i sempre più numerosi turisti non anglofoni che arrivano nel nostro Paese e aiutare al tempo stesso le persone dislessiche o con difficoltà di tipo visivo”.

Passi avanti comunque ne sono stati fatti: basta pensare che nelle Linee Guida del Ministero per i Beni Culturali si parla di “museum fatigue” che, anche se riferita al visitatore generico che naturalmente percepisce la fatica durante una visita, può essere utilizzata per le persone con disabilità e, in particolare, per chi ha la sclerosi multipla, patologia in cui la fatica è uno dei sintomi presenti e difficile da comprendere per chi non la vive. Schiavone ha lavorato con AISM al progetto Europe Without Barriers sul turismo accessibile in cui sono state valutate anche le criticità non strettamente legate a disabilità motorie, cecità e sordità, ma ad esempio alla fatica o alle difficoltà cognitive che richiedono tempi più lunghi e una comunicazione più semplice.

Per le persone con sclerosi multipla, oltre alla fatica, c’è il caldo che amplifica il disagio per cui i luoghi del tempo libero dovrebbero prevedere un microclima al chiuso ad esempio con aria condizionata, e all’aperto percorsi ombreggiati, con fontane per rinfrescarsi e sedute comode per riposare — spiega l’architetto — capita, invece, che nei musei le sedute siano scomode e senza schienale mentre andrebbe garantito il riposo con una sosta confortevole non solo a disabili ma anche alle altre persone, ad esempio quelle anziane che altrimenti rinunciano alla visita.

© Carlos Spottorno / Under Pressure 2012, Germany

Accessibilità non significa solo possibilità di accedere al parco, entrare in un museo, visitare un monumento. Ma anche poter fruire di quel parco, museo o monumento. E su questo in Italia di strada bisogna farne ancora un po’.

“Se per un pubblico non deambulante c’è attenzione, dovuta soprattutto alle leggi restrittive, per tutto il resto la situazione è in divenire” spiega Dario Scarpati, coordinatore della Commissione sull’accessibilità museale dell’International Council of Museums Italia (ICOM), nata nel 2007 e oggi formata da un sessantina di professionisti volontari che lavorano per analizzare l’esistente e sollecitare i musei ad attrezzarsi. «Molti musei italiani hanno una buona parte tattile, le esperienze sensoriali diverse come quelle olfattive sono ancora una nicchia, mentre tutta la parte della disabilità cognitiva è ancora una problema grosso”, afferma Scarpati.

Esistono buone prassi e obiettivo della Commissione è mettere in evidenza le cose belle che si fanno provando a entrare in una relazione diversa con il museo: sono state realizzate schede per i direttori o i custodi dei musei in cui si chiede loro in che modo pensano il museo, se lo ritengono accessibile e come potrebbe essere migliorato.

“Poi verifichiamo con loro se è così e cerchiamo di migliorare il servizio — spiega Scarpati, che di formazione è archeologo — perché quando fai un museo ti devi mettere a disposizione dell’utente per far sì che senta il museo come un luogo proprio e non lontano dal suo vissuto personale. Tu sei quello che sa da dove proviene il vaso esposto, di cosa è fatto e a che periodo risale, ma non sai come quell’oggetto viene letto dall’utente. Ad esempio non si possono scrivere didascalie con un linguaggio da archeologi perché si escluderebbe il 99% dei visitatori”. Al centro dell’azione della Commissione c’è il concetto di accessibilità declinato nel modo più ampio possibile.

“A me piace parlare di accessibilità per tutti non per disabili — spiega Scarpati — perché un ingegnere aerospaziale in un museo archeologico è un disabile cognitivo, un italiano in Cina in un museo in cui didascalie e informazioni sono solo in cinese se non conosce la lingua è un disabile linguistico: l’altro è chiunque, per questo bisogna lavorare per creare un rapporto biunivoco e imparare ad ascoltare, è una battaglia difficile ma non impossibile e se ci riesci si possono fare delle belle cose”.

Come migliorare la situazione?

Elisabetta Schiavone non ha dubbi: “bisogna puntare sulla formazione dei tecnici”.

I più attenti oggi sono quelli della sicurezza, “basta pensare che i Vigili del fuoco hanno istituito un Osservatorio per la sicurezza e il soccorso delle persone con esigenze speciali e il fatto che parlino di esigenze speciali e non di disabilità è un grande passo avanti”.

E poi capire che la sicurezza non può essere scissa dall’accessibilità, mentre in genere è considerata specialistica e i tecnici non la conoscono. “In questo senso bisogna promuovere la sicurezza verso i cittadini perché in una situazione di emergenza non devo aspettare che qualcuno venga a salvarmi ma devo sapere quali comportamenti tenere, avere le informazioni che, se possibile, mi permettano di mettermi in salvo in autonomia”.

Un segnale potrebbe arrivare dai musei che sono luoghi di cultura, “che potrebbero mettere sul retro della piantina con la mappa dell’esposizione le informazioni sull’accessibilità e sulla sicurezza — continua Schiavone — lo fanno sugli aerei dove, in caso di incidente, le possibilità di salvarsi sono pari a zero e non in un luogo come un museo in cui invece potenzialmente sono del 100 per cento”.

Anche l’ambiente infine può essere di aiuto per comunicare: “In un edificio ben realizzato una persona dovrebbe riuscire a orientarsi senza basarsi sulle indicazioni, che servono da supporto, se non è così vuol dire che c’è qualcosa che non va”.

Una Giostra per tutti

©Una giostra per tutti

Negli ultimi anni sono stati registrati casi di presunte discriminazioni nei confronti di persone con Sindrome di Down che si sono viste rifiutare l’accesso ad alcune attrazioni in parchi tematici sulla base di una generica pericolosità legata alla loro disabilità. Questi episodi sono stati il punto di partenza del percorso che, su sollecitazione di CoorDown (il Coordinamento nazionale delle associazioni delle Persone con Sindrome di Down), ha coinvolto responsabili di parchi divertimento e rappresentanti di imprese costruttrici nel progetto ‘Una giostra per tutti’.

L’obiettivo? “Far sì che tutti possano fare tutto, nei limiti della sicurezza — spiega Gianni Chiari, referente del progetto e consulente tecnico dell’Associazione nazionale dei costruttori di attrezzature per spettacoli viaggianti (ANCASVI) — un obiettivo che si scontra con la realtà: il nostro mondo può impattare con circa 100 mila diverse patologie. Certo non si può immaginare un’attrazione che vada bene per tutte queste persone, ma tra il non fare niente e il provare a migliorarsi noi abbiamo scelto la seconda strada”.

Ma come si fa a combinare la sicurezza per tutti con il divertimento di andare in giostra?

“I parchi divertimento sono città in miniatura e come tali dovrebbero essere accessibili a tutti, nei parchi però ci sono le giostre che, per quanto evolute e sicure, non potranno mai essere accessibili a tutti — continua Chiari — Esistono precauzioni che precludono certe attrazioni a determinate persone: io ad esempio ho superato i 60 anni e non possono salire su alcune giostre, anche se non ho particolari patologie”.

Precauzioni e divieti non devono applicarsi per presunte questioni di sicurezza o motivi legati alla disabilità, ma sulla base di ricerche approfondite che individuino le abilità necessarie per accedere alle singole attrazioni.

Uno dei primi passi del progetto è stata la sperimentazione in due parchi: Leolandia di Capriate San Gervasio (Bergamo) e Miragica di Molfetta (Bari) con persone con disabilità fisiche di vario tipo per verificare lo stress provocato dalla giostra, gli effetti sull’equilibrio e le reazioni a prove di evacuazione a sorpresa.

“Le sperimentazioni hanno dimostrato che queste persone reagiscono come le altre, poi è ovvio che ci può essere l’elemento singolo che fa eccezione, ma questo vale per tutti non solo per chi esigenze particolari”.

Il progetto ha portato alla definizione di 110 raccomandazioni per progettisti, gestori di parchi, ospiti con esigenze speciali e personale addetto all’emergenza e ai soccorsi già adottate da alcune strutture e prese in considerazione da altre. Ora il gruppo vorrebbe lavorare sull’autismo.

(“Divertiamoci tutti. Ma si può?” di Laura Pasotti. Una versione di questa inchiesta è stata pubblicata su SM Italia 3/2016)

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AISM onlus

Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Diritti, persone, ricerca, per un mondo libero dalla sclerosi multipla.