Medium non è uno strumento di pubblicazione

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5 min readJun 16, 2015

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Dodici anni fa, ero alla guida di Blogger di Google e frustrato dal fatto che continuavamo a perdere utenti che passavano alla concorrenza, come Movable Type di Six Apart. Un fenomeno comune a quel tempo era che la gente iniziava a pubblicare su Blogger – perché era gratis, popolare e facile da usare – e poi passava a strumenti più potenti.

Movable Type, Greymatter e, più tardi, Wordpress avevano barriere molto più alte all’ingresso (prima che WP offrisse l’opzione di hosting completo). Ma una volta che qualcuno aveva scoperto le gioie della condivisione dei propri pensieri su internet, era disposto a fare lo sforzo in più necessario per avere la flessibilità e le funzionalità aggiuntive offerte dal software da installare sul proprio server.

Con Blogger come lo concepivamo all’epoca, come strumento software per creare e pubblicare siti web, ci trovammo coinvolti in una gara che molti produttori di software conoscono bene: aggiungi funzionalità e attiri più utenti; la concorrenza aggiunge più funzionalità e tu perdi utenti. (Il marketing e altri fattori hanno qualche influsso, a seconda del mercato. Nel mondo dei blog, era un effetto minimo.)

Quel gioco era particolarmente difficile da seguire per noi, dal momento che Blogger era software ospitato (anzi, nel cloud), a differenza della maggior parte degli strumenti con cui eravamo in competizione. La sfida operativa e tecnica era che dovevamo sviluppare funzionalità scalabili per tutti i nostri utenti. E quando volevamo modificare qualcosa, tutti gli utenti dovevano accettare quella modifica.

A quel tempo, scalare sistemi centralizzati era un problema meno risolto (anche con numeri ben più piccoli). Cosa ancora più importante, per quanto fosse più facile in quel contesto, non stavamo creando effetti di rete. Anche se molte più persone (credo) pubblicavano su Blogger che su qualsiasi altra piattaforma, ciò non aveva reso Blogger migliore. Anzi, lo aveva reso peggiore, perché era diventato più lento e più difficile da integrare con nuove funzionalità.

Oggi, tutti comprendiamo che il settore di Internet non è quello del software. Vogliamo costruire reti e piattaforme. Cerchiamo di competere con la concorrenza in termini di user experience (e di marketing, in una certa misura). Le funzionalità e la flessibilità sono in fondo alla lista delle tattiche competitive, almeno quando hai a che fare con software di consumo (anzi, con i servizi).

Il mio strumento successivo di “blogging” aveva molte meno funzionalità – e decisamente molti più utenti. Nessuno cambia dove twitta perché qualche altro strumento offre una migliore formattazione o personalizzazione del profilo. Questo perché solo una minima parte del valore apportato da Twitter viene dal software in sé. Quello che conta davvero è il network, la rete: le connessioni e gli scambi con altri utenti e i contenuti che creano.

Chris Dixon ha scritto un ottimo post qualche tempo fa per descrivere come alcune piattaforme, a differenza di Twitter, erano partite concentrandosi sul valore dello strumento in sé per poi svilupparsi intorno al valore della rete (che in definitiva è diventata una parte molto più grande dell’equazione, come nel caso di Instagram). Avevamo intuito questo sviluppo e stavamo appena iniziando a concentrarci sull’aspetto di rete di Blogger, quando me ne sono andato più di dieci anni fa. Non è che Blogger ne abbia risentito subito. La sua facilità d’uso ha continuato ad attirare utenti nell’ordine di decine di milioni per molti anni. (Secondo Compete, blogspot.com ha avuto 63 milioni di visitatori solo lo scorso marzo). Ma è stata una grande occasione mancata per Google. (Non preoccupatevi, se la sono cavata bene.)

Cosa ancora più importante, è stata un’occasione mancata per le persone e le idee. Le reti ben progettate riducono gli attriti e facilitano gli scambi, aiutando a far emergere le cose più interessanti. Le connessioni permettono all’insieme di diventare più grande della somma delle sue parti e offrono nuovi percorsi per scoprire e sviluppare significati.

Non vi sorprenderà che queste osservazioni rivelino molto su quello che stiamo cercando di fare con Medium. Abbiamo iniziato creando un grande strumento per la scrittura. Non è stato però l’editor di testo in sé ad aver creato il valore principale: è stato il fatto che puoi scrivere e condividere facilmente una storia senza lo sforzo di configurazione, la quantità di tempo e il livello di impegno necessari per aprire un blog. È chiaro che ci sono molte più persone che hanno ogni tanto valide prospettive da condividere rispetto a quante vogliono essere “blogger”. Queste persone amano scrivere su Medium, anche se lo vedono solo come uno strumento per creare una bella pagina a cui indirizzare gli utenti da Twitter.

Non è quello il punto, però. O, almeno, non è tutto lì. Negli ultimi mesi, abbiamo spostato sempre più la nostra attenzione sul lato del prodotto dal creare valore come strumento al creare valore come rete. Cosa vuol dire? Ovviamente, una forma di quel valore è la distribuzione. E non c’è dubbio che una cosa pubblicata su Medium abbia una maggiore probabilità di trovare un pubblico rispetto alla stessa cosa pubblicata su un’isola non trafficata del web.

Ma la parte più interessante del valore di rete che stiamo iniziando a vedere in misura sempre maggiore è il feedback qualitativo. L’evidenziazione del testo è uno dei miei esempi preferiti:

Per chi scrive, le evidenziazioni su @medium sono utilissime. Ti fanno sapere subito qual è la frase più efficace del tuo testo

E non è solo a beneficio di chi scrive. Quando leggo qualcosa e noto l’evidenziazione di qualcuno che seguo, rende subito quel brano, anzi, tutto il pezzo, più significativo e memorabile:

Le risposte sono l’altra grande cosa che sfrutta sia la potenza della piattaforma aperta di Medium sia la rete sempre più ampia che tiene tutto insieme.

Quando leggi un pezzo ragionato sui micropagamenti che mette in discussione l’approccio di una società, e il co-fondatore di quella società risponde con una replica ragionata, è una gran bella cosa. Questo tipo di cosa è possibile – e succede – nei commenti sui blog tradizionali, ma la capacità delle risposte su Medium di vivere di vita propria offre sia una maggiore motivazione a scriverne (come autori), sia una maggiore probabilità di scoprire quelle più significative. (Per quelli della vecchia scuola: Sì, come i Trackback).

Ecco un’osservazione interessante da un autore “inizialmente scettico” sulle risposte, su un aspetto che non mi era venuto in mente prima: «Credo che dover soddisfare lo standard necessario per premere il tasto “Pubblica” su un pezzo mi abbia aiutato a rivolgermi in modo più civile alla persona che ha scritto l’articolo originale».

Stiamo ancora cercando di capire come far funzionare al meglio tutte queste cose. (Le conversazioni multiple, ad esempio, sono un po’ difficili da seguire). Ma ogni giorno vediamo una crescita di queste attività e ottimi esempi di utilizzo effettivo delle potenzialità di rete di Medium.

“Se cerchi uno spazio dove pubblicare articoli ragionati per una comunità che interagisce con i tuoi contenuti, devi usare @Medium”

Ecco perché dico che Medium non è uno strumento di pubblicazione. Si tratta di una rete. Una rete di idee che si arricchiscono a vicenda. E di persone. E di GIF (sì, abbiamo anche quelle, anche se non sono certo la nostra specialità, sia chiaro).

Fateci sapere cosa ne pensate scrivendo una risposta (breve o lunga) qui sotto e/o evidenziando le vostre parti preferite, qui sopra.

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