Faust e il “signor Nessuno”

Antonio Gallo
Bibliomania su GoodReads & Librarything
8 min readMay 20, 2020

--

Una scena del dramma di Goethe: Faust passeggia con Margarita,
quadro di Hendrik F. Schaefels (1863).
fonte: Wikimedia Commons

La figura di Faust ha avuto un enorme successo nella letteratura e nell’arte in generale. L’elenco di drammi, poesie, romanzi, opere liriche, addirittura di balletti che hanno come protagonista Faust è lunghissimo. Alla figura di Faust furono ispirate opere di ogni genere, da quelle musicali di Gounod, Boito, Busoni, Spohr, Schumann, Liszt, Wagner e Berlioz, alle rivisitazioni teatrali e letterarie di Marlowe, Klinger, Lessing, Goethe, Novalis, Chamisso, Grabbe, Lenau, Heine, Ibsen, Valéry, Bulgakov e Thomas Mann, ai film di Murnau, Clair e di Lara, fino al balletto di Béjart. Anche la pittura e il disegno (vedi in alto l’incisione di Rembrandt e sotto il quadro di Schaefels) ne approfittarono alla grande. Persino la musica rock contemporanea trae ispirazione dalla figura di Faust.

In una realtà digitale, quale questa che stiamo vivendo, caratterizzata dalle “quattro D”, ormai diventate famose, è facile tanto perdersi quanto ritrovarsi. E’ quello che è capitato a me con questo post che è la trascrizione di un altro, scritto sempre da me, partorito quasi una ventina di anni fa.

E’ come se mi fossi ritrovato, se lo riscrivo è per una ragione ben precisa che intendo chiarire prima a me stesso e poi al mio “alter ego”, “il signor Nessuno”. Riguarda il mito di Faust a cui ho fatto riferimento qualche giorno fa.

I pensieri, si sa, vanno e vengono, ritornano per poi scomparire. Non si sa mai perché. Questo mito di Faust non è solo il patto col diavolo che ha sempre affascinato gli uomini quanto, piuttosto, le infinite possibilità che si aprono quando qualcuno cerca di andare oltre i limiti intellettuali e fisici dell’uomo.

E’ bene o male se l’uomo vuole dalla vita più di quello che gli dà la natura ? É lecito che l’uomo voglia, con l’intelletto e con la sua scienza, dominare tutto, anche i segreti più nascosti del mondo? Questi i sempre attuali interrogativi che a maggior ragione oggi si pone in piena pandemia anche un “signor nessuno” come chi scrive.

«Ahimé! Ho studiato a fondo e con ardente zelo filosofia e giurisprudenza e medicina, e purtroppo, anche teologia. Eccomi qui, povero e pazzo, e ne so quanto prima!».

Goethe, riprendendo il soggetto di una leggenda popolare molto diffusa in Germania, trasformò la figura di uno studioso che vende la propria anima al diavolo in cambio di giovinezza, sapienza e potere nel simbolo della grandezza dell’uomo, nella sua instancabile ricerca della verità e aspirazione verso l’assoluto.

La leggenda di Faust ha origine nella tradizione popolare tedesca. Qualcuno la fa risalire ad un uomo realmente vissuto nel XVI secolo che praticava la magia e l’alchimia e che si diceva avesse acquisito le sue conoscenze grazie ad un patto col diavolo.

Quasi certamente si tratta di un personaggio storico, un certo Johannes Faustus, vissuto all’incirca nei primi decenni del Cinquecento in terra tedesca, all’epoca di Lutero, durante la riforma protestante che stava scuotendo l’Europa.

Sporadiche testimonianze durante la prima metà del secolo ne riportano la presenza in luoghi sempre diversi, incessantemente perseguitato dalla legge. Si definiva negromante, astrologo, mago, chiromante, veggente. Con ogni probabilità non era che un ciarlatano dalle doti medianiche e suggestive notevoli.

Si racconta che al tentativo di conversione di un francescano avrebbe rifiutato dichiarando di aver ormai firmato un patto inviolabile con il Diavolo. Nella notte di Venerdì Santo forse del 1540, “Faustus” trova la morte in un modo violento nei pressi della città di Staufen. Si rafforza così fra la gente il sospetto che egli abbia stretto un patto con il diavolo. Tutta la sua vita si circonda di mistero e diventa ben presto leggenda.

Dopo alcuni anni circola già un primo libro anonimo su di lui, pubblicato a Francoforte nel 1587 sotto il nome di “Historia von D. Johann Fausten” che fissa la leggenda nei suoi tratti essenziali. Faust vi è presentato come astrologo, matematico e medico. Per ottenere conoscenza e potere al di là dei limiti stabiliti dalle facoltà umane, firma con il Diavolo un patto: cedendogli l’anima ottiene i suoi servizi per i successivi ventiquattro anni.

Per 24 anni il dottor Faustus viaggia per tutta l’Europa , conducendo una vita di piaceri, divertimenti e avventure finchè, allo scadere del patto, in una terribile notte di tempesta, il diavolo si prende la sua anima e il corpo di Faust viene trovato penosamente straziato.

Il finale è dunque tragico. Faust sente il bisogno di conoscere i segreti meccanismi che regolano la vita, uscendo dalla costrittiva visione teologico-tolemaica, ma proprio per questo viene punito. L’autore anonimo del Cinquecento dimostra di condividere l’ideologia di quelle forze reazionarie che si oppongono all’uomo di cultura rinascimentale, che intende carpire i segreti della natura e comprenderne le leggi con il proprio intelletto.

Il libro vuole essere un esplicito ammonimento, perché l’uomo devoto non pecchi di orgoglio , credendo di poter contare sulle possibilità umane, ma si rassegni ad accettarne i limiti, rimettendosi ai disegni di Dio ed alla Chiesa sua interprete.

Il libro ottenne subito grande fortuna ed ispirerà numerosi altri autori , fra i quali l’inglese Christopher Marlowe che nel 1598 ne ricava un dramma che viene portato in tutta Europa da compagnie teatrali inglesi, divenendo repertorio anche dei teatri di marionette.

Ed è in questa veste che Goethe , ancora giovinetto, ne fa la conoscenza. Prima di lui, verso il 1760, si era interessato alla leggenda di Faust l’illuminista Lessing, in un modo tutto nuovo. Del suo dramma intorno alla figura del Faust ci sono rimasti solo frammenti.

Lessing è il primo a non condannare Faust alla dannazione eterna per la sua sete di sapere, per la sua instancabile ricerca di verità. Questa nuova , rivoluzionaria versione influenzerà il dramma di Goethe che termina, infatti, con la salvezza del protagonista.

“Non è la verità che l’uomo possiede o crede di possedere, ma la coscienziosa fatica che egli compie per arrivare a questa verità a costituire il valore dell’uomo. Se Dio tenesse nella sua mano destra la verità e nella sinistra unicamente il continuo tendere verso la verità, anche alla condizione ch’io sempre e in eterno rimanessi nell’errore, e mi dicesse: scegli; io mi butterei, con umiltà, alla sua sinistra e direi: Padre, ecco! La verità è solamente ed unicamente per te!”

Il Faust accompagnò Goethe per tutto l’arco della vita, seppure con molte pause e momenti di crisi e rinunce. Goethe ha lavorato al suo Faust per sessant’anni, dal 1772 al 1831. Appena diciassettenne già compose, lasciandola incompiuta, una prima stesura, il cosiddetto Urfaust (Primo Faust, 1775).

Trascorso un intervallo di dieci anni, rielaborò il soggetto successivamente al viaggio in Italia che tanto profondamente lo aveva cambiato. Ancora parve dimenticare l’opera, per poi riprenderla diversi anni dopo spinto dall’entusiasmo dell’amico e poeta Schiller. Dopo la morte di Schiller riuscì finalmente a pubblicare Faust. (Prima parte della tragedia, 1808).

Negli anni seguenti l’impegno di Goethe tuttavia si concentrò verso altre opere, fino al 1825 quando, a distanza di mezzo secolo dalla stesura dell’Urfaust, riprese, questa volta per concludere, le vicende di Faust, riuscendoci nel 1831 e sentenziando «la conclusione dell’impegno capitale».

L’ultimo volere del poeta fu che si attendesse la sua morte, avvenuta quello stesso anno, per pubblicare Faust (Seconda parte, 1832) come a simboleggiare che la propria arte gli sopravviveva.

L’opera di Goethe ha inizio con il prologo nel cielo: Mefistofele scommette con il Signore di traviare Faust e di condurlo alla perdizione. Dio, che guarda con ammirazione agli sforzi che l’uomo fa per varcare i limiti della conoscenza, promette al diavolo di concedergli l’anima dello studioso se sarà capace di deviarlo dal suo istintivo tendere al bene.

Quando si apre il sipario Faust è nella sua stanza, deluso dalla ottusa limitatezza della scienza umana e dall’inutile ricorso alla magia. Disperato, vede nel suicidio l’unica soluzione al suo problema. Mefistofele gli si manifesta e propone allo studioso un patto: gli farà da servo sulla terra mentre nell’al di là avverrà esattamente il contrario. Faust accetta, ma inserisce una clausola che trasforma il patto in una scommessa :

“Se all’attimo dirò “Resta! Sei bello!”, allora sì, ti sia concesso stringermi entro le tue catene”.

E’ una scommessa, più ancora che con il diavolo, con se stesso. Mefistofele è lo spirito materialistico che gli sa offrire solo i volgari piaceri terreni. Se Faust troverà in tali piaceri il suo appagamento, allora non gli importerà più nulla del suo destino, nemmeno se si perderà in eterno.

FAUST Se mai prenderò requie su un letto di pigrizia
sia per me la fine, allora!
Se potrai illudermi a segno
che io sia gradito a me stesso,
se mi potrai, nel piacere, ingannare,
sia quello il mio ultimo giorno!
T’offro questa scommessa.

MEFISTOFELE Accetto.

FAUST E qua la mano.
Dovessi dire all’attimo:
« Ma rimani! Tu sei così bello! »
Allora gettami in catene,
allora accetterò la fine!
Allora batta a morto la campana,
allora, esaurito il tuo impegno,
s’arresti l’orologio, cada già la
lancetta,
per me finisca il tempo!

Punto focale del contratto è che la morte, con conseguente perdizione, potrà avvenire solo quando Faust si facesse raggiungere dalla pigrizia e dal compiacimento di sé, quando per prolungare la bellezza e il piacere dell’istante desiderasse fermarsi in esso.

Non è l’appagamento che Faust cerca, a dominarlo è soltanto il desiderio di conoscere ogni cosa, di penetrare la vita nella sua essenza e nella sua verità più segreta, il tendere verso l’alto (lo “Streben”, parola chiave dell’opera) di ogni sua forza, la continua tensione verso nuove mete, l’aspirazione a superare ogni limite.

Lo “Streben” (tensione conoscitiva interiore) non è però un impulso rettilineo, ma piuttosto un dinamismo irrefrenabile, legato indissolubilmente all’impazienza e all’insoddisfazione. Faust è l’eroe dell’azione e per lui esiste solo l’aldiquà, mai l’idea della dannazione e dell’inferno sembrano preoccuparlo.

L’irrealizzabile desiderio di abbracciare l’assoluto lo costringe tuttavia a rendersi conto della propria natura imperfetta e limitata, a cui risponde gettandosi, senza scopi apparenti, nel vortice della vita, andando incontro alle gioie e ai dolori, consacrandosi alla ricerca smaniosa di esperienze e sensazioni estreme.

Ciò che lo anima è, dunque, un impulso irrazionale e dispersivo, ma che pure in fondo è conscio della retta via e quindi destinato ad essere giustificato, poiché teso verso il progresso, il bene.

Alla conclusione della tragedia, dopo aver conosciuto l’amore, i piaceri terreni, il potere, Faust si dedica alle grandi opere di trasformazione della terra, prosciugando insalubri paludi con canali e dighe grandiose. Il tempo trascorre fino ad una sua nuova estrema vecchiaia. Attorniato dai Lèmuri che lo servono, ancora sognando nuove terre feconde e uno stato dove vivano uomini operosi e liberi , esclama:

«Potessi un dí mirar queste contrade
brulicanti d’un simile fervore
ed abitar sovra il redento suolo
fra un popolo redento;
potrei gridare allora
“Resta, sei bello!” all’attimo fugace.
…Nel presagir questa letizia eccelsa,
io godo, adesso, l’attimo supremo».

Faust cade riverso e Mefistofele viene a prendere ciò che crede gli spetti: l’anima. Ma scendono dal cielo gli angeli che trasportano in alto Faust, un uomo che ha peccato ma ha lottato per progredire, e quindi merita di essere salvato. «Chi si affatica tendendo sempre verso la meta, può essere da noi redento.»

Il diavolo tenta di afferrare la sua preda, ma compie inutili salti, bloccato nella sua goffa animalità. Il Faust di Goethe rappresenta l’umanità e la sua insofferenza dei limiti della conoscenza e il tentativo di superarli è per Goethe “il più nobile delle aspirazioni dell’uomo”.

La condizione umana consiste nel perenne errare. L’attività inesausta, il tentare continuo fanno l’uomo; la colpa peggiore consiste nell’inerzia e nell’auto compiacimento. E ancora: meta dello Streben non è né la sensualità né l’appagamento materiale che Mefistofele gli tende ma l’amore, la gioia del fare, il bene e la felicità altrui.

--

--

Antonio Gallo
Bibliomania su GoodReads & Librarything

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.