Primi passi nel Folk Horror

Davide Mana
M E L A N G E
Published in
8 min readDec 6, 2019

Il primo a parlare di “folk horror” fu il regista Piers Haggard, che nel 2004, parlando del suo film Blood on Satan’s Claw disse “stavo cercando di fare un film folk horror.”
Fu tuttavia solo nel 2010, quando l’espressione folk horror venne utilizzata da Mark Gatiss nel documentario della BBC, A History of Horror, che il genere comparve finalmente sul radar di critici e appassionati. Nei nove anni trascorsi da allora, non solo il genere è stato oggetto di studi e dibattiti (e di una mostra al British Museum), ma ha anche conosciuto un autentico revival, con la comparsa di nuovi film e romanzi che in qualche modo riprendono i temi e gli elementi distintivi del genere.
Di seguito cercheremo di mettere insieme una breve panoramica di tali elementi, segnalando titoli e i concetti che vanno a formare il canone del folk horror.

Blood on Satan’s Claw (1971)

L’Empia Trinità

La definizione “da manuale” del folk horror parla di

un sotto-genere della narrativa horror caratterizzato dal riferimento a tradizioni pagane europee. Le storie in genere coinvolgono cerchi di pietre, tumuli, rituali elaborati o divinità della natura. Mentre il genere non è apertamente interessato all’ideologia cristiana, termini usati frequentemente come “demone” e “diavolo” sembrano associare il folk horror alla demonologia cristiana.
Tuttavia, mentre molte storie inizialmente sembrano implicare che le forze minacciose sono sataniche, le stesse forze si trovano spesso prima del cristianesimo conclamato. Il folk horror è discordante con il neopaganesimo, nel suo ritratto delle forze magiche come raramente (se mai) benevole.
(https://www.folkhorror.com/)

Se questa è la teoria, i fondamentali del genere si ritrovano in tre film, indicati da Gatiss nel 2010 come The Unholy Trinity

The Witchfinder General, di Michael Reeves (1968)
Blood on Satan’s Claw, di Piers Haggard(1971)
The Wicker Man, di Robin Hardy (1973)

L’elemento comune a queste pellicole è un interesse per il paesaggio e per le tradizioni delle isole britanniche. La visione idilliaca del passato proposta nel decennio precedente dalla riscoperta della musica folk e dei primi movimenti ambientalisti viene capovolta: il passato, la campagna e le tradizioni mostrano un lato oscuro che è ostile al mondo moderno, alieno agli abitanti delle città ed alla cultura industriale. Il passato è davvero una terra straniera, e davvero le persone si comportano in maniera diversa e, normalmente, letale.

Witchfinder General (1968)

Molti hanno visto in questo sottogenere, in effetti, una metafora del movimento hippie e del suo progressivo deragliamento, negli anni ‘70, verso aspetti cultistici, con abusi, violenze e omicidi.
Il paesaggio, che favorisce l’isolamento e l’alienazione, diventa complice e motore degli orrori che, annidati nella cultura popolare, con l’isolamento possono emergere, fiorire e dominare la comunità.

The Wicker Man (1973)

È indubbio che il folk horror di queste pellicole sia strettamente imparentato con il folk revival degli anni ’60, e dell’interesse per l’archeologia misteriosa e le pseudoscienze, e che si sviluppi enfatizzandone gli aspetti più cupi e selvaggi, più lontani dalle sensibilità moderne.
La campagna, che negli anni ’70 molti cominciano a vedere come un luogo nel quale rifugiarsi per sfuggire alle brutture della vita nelle metropoli, nasconde dietro ai suoi panorami una diversa realtà, un diverso set di regole, che alcuni forse ancora seguono, nascosti alla vista. Fra i megaliti e i cerchi di pietra si nasconde una minaccia che è tanto aliena quanto terrestre e familiare, parte della nostra cultura. L’elemento tradizionale assume quindi un doppio significato — e se da una parte è l’infrazione alla normalità dalla quale scaturisce l’orrore, dall’altra, essendo “tradizione”, in qualche modo ci appartiene, e noi apparteniamo ad essa, ne siamo figli.

The Wicker Man (1973)

Il folk horror non si limita ad arruolare i babau delle leggende per farne i mostri della narrativa, ma esplora l’inquietudine che deriva dall’essere partecipi — anche se inconsapevolmente — di una cultura aliena.
Ed è interessante che mentre sull’altro lato dell’Atlantico i registi americani e canadesi si apprestano a sviluppare il concetto del body horror, gli inglesi sembrino più interessati a una sorta di mind horror o, forse meglio, cultural horror: non è il nostro corpo a tradirci, e a diventare mostro, ma sono la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni popolari, che nascondono il male pronto a ghermirci.

Radici Letterarie

Ma se è vero che i tre film citati qui sopra vanno a formare il nucleo concettuale sul quale si sviluppa la definizione di folk horror, è innegabile che esistano dei precedenti letterari.
L’opera di autori come M.R. James e Arthur Machen, di Algernon Blackwood e di William Hope Hodgson presenta in nuce molti dei temi che ritroveremo nell’Empia Trinità di gatiss e in molti altri romanzi.
James, Machen, Blackwood e Hodgson non solo cooptano storia e tradizioni al fine di dare un’origine ai propri orrori, ma nelle proprie storie sono estremamente attenti al paesaggio, alle architetture, alla geografia ed alla psicogeografia dei luoghi nei quali ambientano le loro storie.
Ma che dire allora dell’entroterra del New England narrato da Lovecraft?
Non è forse Dunwich, isolata ed evitata da tutti, col suo Orrore legato alle leggende sulla famiglia Wheatley, un esempio di folk horror?
Si potrebbe obiettare che nell’opera del solitario di Providence, le tradizioni oscure sono sempre frutto dell’invenzione dell’autore. Nel folk horror, la chiave non è — di solito — la creazione di una tradizione ad hoc che giustifichi l’orrore, quanto piuttosto una rilettura in chiave orrifica e paranoica di tradizioni autentiche.
Il folk horror inglese guarda al recupero delle tradizioni, e ne fornisce una interpretazione quanto più nichilistica e orrifica, quanto più lovecraftiana, potremmo dire, possibile.
Le radici delle storie di James, Blacwood, Hodgson e Machen vanno però ricercate ancora più indietro — nel revival vittoriano del druidismo e nella comparsa sulla scena di pratiche, come lo spiritualismo e la teosofia, che cercano di catturare e aggiornare il pensiero magico tradizionale.

Folk Horror TV

Se negli anni ’70 la TV diventa il nuovo focolare attorno al quale ci si ritrova e ci si raccontano delle storie, è abbastanza naturale (ed ironico) che la TV inglese in quegli anni offra una vasta selezione di opere che, a posteriori, possono andare a incastrarsi nel genere del folk horror.
Centrale nell’offerta folk orrifica della BBC è la serie A Ghost Story for Christmas, trasmessa fra il 1971 ed il 1978, che delizia il pubblico britannico, alla vigilia di Natale, con la tradizionale storia di spettri. La BBC adatta lavori di James, ma anche una storia di Dickens, e aggiunge al catalogo delle sceneggiature originali.

The Stone Tape (1972)

Molti di coloro che partecipano alla produzione delle storie natalizie sono anche i responsabili di The Stone Tape, del ’72 (che non venne inclusa nella serie di storie natalizie per via della sua ambientazione contemporanea) e la serie Dead of Night (sempre del ’72 — evidentemente un anno speciale per l’orrore), che raccoglie storie originali e non adattamenti. Episodi a tema orrifico, sovrannaturale e “folk” compaiono anche nella serie Play for Today, ancora una volta fra il 1970 ed il 1978.

Children of the Stones (1977)

Frattanto, la concorrente ITV mette in cantiere un adattamento del classico The Owl’s Service (1969), Children of the Stones (1977) e, nel 1989, l’adattamento di The Woman in Black diretto da Robert Wise. Si tratta di serie dirette a un pubblico di ragazzi e adolescenti, e lasciano un segno profondo nella memoria dei giovani spettatori.
Ed è interessante notare che la sceneggiatura di The Woman in Black è firmata da Nigel Kneale, colosso del fantastico televisivo britannico, che firma anche il già citato The Stone Tape, Against the Crowd: Murrain (1975) e Beasts (1976), e prima di tutto quella curiosa intersezione di fantascienza, orrore sovrannaturale e folk horror che è Quatermass and the Pit (1958), delineandosi così come uno dei più influenti — e misconosciuti — fautori del folk horror.

Quatermass and the pit (1958)

Non va a Quatermass ed alla sua astronave degli esseri perduti, tuttavia, la palma di primo film folk horror inglese. Secondo alcuni la palma andrebbe invece a Night of the Demon, del 1957, diretto da Jacques Tourneur ancora una volta a partire da un racconto di M.R. James, tutto giocato sulla natura inquietante della campagna inglese.

Night of the Demon (1957)

Verso il futuro

Quindi, ricapitolando, il folk horror si caratterizza per

. un setting rurale o comunque non metropolitano
. un generale senso di isolamento (reale o metaforico)
. una contrapposizione fra il singolo e la comunità
. il riferimento a leggende o tradizioni o politiche identitarie
. un generale nichilismo

A field in England (2013)

Negli ultimi dieci anni il folk horror ha visto una progressiva espansione, con film come Kill List (2011) e A Field in England (2013) di Ben Wheatley, For Those in Peril (2013) di Paul Wright, The Witch (2015) di Robert Eggers e il recente Midsommar di Ari Aster.

Ma è possibile ravvisare elementi “folk horror” anche nella serie televisiva Detectorists (BBC, 2014–2017), o nel film Hot Fuzz (2007), dove sono ovviamente sovvertiti ai fini della commedia.

In contemporanea, nel mondo anglosassone sono nate case editrici e riviste, sono stati pubblicati saggi e organizzate mostre. La variante horror della musica folk sta conoscendo una nuova primavera, e qualunque cosa si nasconda nei boschi, è lì per noi.
Il folk horror non si limita naturalmente al mercato anglosassone e se gli autori americani preferiscono parlare di “rural horror”, è vero che opere che esplorano la natura inquietante della campagna e il senso di alienazione ed orrore che deriva dall’essere isolati in un paesaggio lontano dalla nostra normalità urbana sono comparse un po’ ovunque — dalla Francia al Giappone.
In questo, il folk horror si sta delineando come uno dei principali filoni della narrativa sovrannaturale. È logico attendersi che nei prossimi anni vedremo opere che cercheranno, come è tradizione, di normalizzare e standardizzare il genere, privandolo della sua carica sovversiva e rendendolo appetibile a un pubblico qualunque. Ma in attesa che questo accada, possiamo goderci lo spettacolo.

ADDENDUM:

Perché non dare un’occhiata, già che ci siete, a ciò che abbiamo pubblicato riguardo a Midsommar, non in uno ma in due articoli?

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Davide Mana
M E L A N G E

Paleontologist, writer, translator, blogger, game designer. Reader of books. Stranded in the wine hills of Piedmont, writing fantasy and SF to pay the bills.