[Quinto elemento]: Pretty Little Liars: Original Sin

Kara Lafayette
M E L A N G E
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7 min readFeb 9, 2023

Il reboot della popolare serie Pretty Little Liars (della quale scrissi un articolo nel 2020, che vi linko) lo aspettavo con entusiasmo, soprattutto dopo aver visto un trailer che ne faceva presagire una gustosa componente horror. Di horror, nella serie originale, ce n’è ben poco, la ricordo come una serie di puro intrattenimento, parecchio strampalata, a cui vorrò sempre tanto bene.

Le cinque adolescenti protagoniste (ce n’è una sesta, come sempre, che non fa esattamente parte del gruppo) di questo reboot sono molto diverse da Aria, Hanna, Emily, Alison e Spencer; non siamo più a Rosewood, ma a Millwood (entrambe cittadine immaginarie in Pennsylvania); non c’è nessuna estetica patinata, anzi, direi che ovunque ci si trovi — scuola, edifici abbandonati, quartieri, locali — si viene aggrediti dal putridume, quello un po’ squallido alla Saw, per intenderci. È curioso, perché la vicenda è ambientata ai giorni nostri, con dei flashback negli anni ’90, eppure l’estetica fa tanto primi anni 2000. Tutto questo non intacca minimamente il gusto nei vari look delle ragazze, che sono belle e curate (hanno perfino le unghie a mandorla), ognuna col proprio stile, esattamente come le loro predecessore. Ma chi sono queste adolescenti alle prese con uno (o una) stalker che non solo le perseguita coi soliti messaggi inquietanti firmandosi A, ma che lo fa anche con le loro madri e, a tempo perso, uccide della gente?

La protagonista principale è Imogen, incinta e prossima al parto. Vivrà immediatamente un evento traumatico (l’ennesimo) pesantissimo, il quale darà inizio a una serie di spiacevoli situazioni a Millwood. Imogen è colei che creerà il gruppo di amiche per investigare sia su ciò che sta succedendo, sia per avere delle risposte di un passato aggrovigliato.

Imogen

Tabby è la ragazza nera appassionata di cinema, soprattutto di cinema dell’orrore (su questo aspetto ci torno dopo), condivide con Imogen un trauma atroce. È la prima a instaurare con lei un forte legame.

Tabby

Faren, promettente ballerina, anche lei nera, soffre di dolore cronico alla schiena, causato da un intervento quando era bambina per sistemare un problema di scoliosi. Anche qui c’è un trauma.

Faren

Minnie, bullizzata per il nome e per il suo essere un po’ strana, ha un rapporto disturbato con la figura paterna (figura che non esiste), da piccola è stata quasi rapita. Trauma.

Minnie

Noa, sportiva (corre a livello agonistico), convive con una madre tossicodipendente, della quale si occupa con dedizione e frustrazione annessa. Trauma.

Noa

Infine abbiamo le gemelle monozigote Karen e Kelly Beasley: Karen è la bullizzatrice seriale della scuola, quindi quella esplicitamente malvagia (ma sappiamo che ciò che conta è l’impiclito); Kelly è la sua versione dimessa, anonima, non alla sua altezza, soprattutto agli occhi di suo padre Tom — uomo meschino e viscido, naturalmente è lo sceriffo. Kelly soffre la competizione con Karen e pratica l’autolesionismo. Trauma.

Karen o Kelly?

Sono loro le nostre pretty little liars? In parte sì, ma lo sono soprattutto le loro madri (e padri) che celano qualcosa di orribile avvenuto quando erano adolescenti, alla fine degli anni ’90, quando morì la povera Angela Water. E così, 22 anni dopo, qualcuno (o qualcuna) grida tremenda vendetta.

“Le colpe delle madri ricadono sulle figlie”

Questo viene detto durante un confronto tra generazioni. E sono le ragazze a dirlo.

Il primo elemento interessante è esattamente questo scontro/confronto generazionale, dal quale le madri quarantenni ne escono distrutte da ogni punto di vista. Non solo per il loro comportamento da bulle nei confronti di Angela prima che morisse (suicidio? Non è detto, ma parrebbe), ma per aver scelto, prendendo ognuna la propria strada, di dimenticare, di fingere di non essere state delle persone orrende, di seppellire la colpa sotto strati di ipocrisia. Qualcuna si è persa nella dipendenza, qualcun’altra nella carriera, nella mania del controllo, nei silenzi. Nessuna di loro fa la cosa giusta, che è un grande classico, ma ciò che mi ha colpito è la maturità con cui le figlie si confrontano, non solo sulla vicenda di A, ma sui loro drammi personali. Una maturità che va giustamente a spasso con tante stupidaggini tipiche dell’adolescenza, ma davvero queste madri quarantenni fanno una figura incresciosa, da qualsiasi angolatura le si guardi. E lo dico da quarantenne. Ma che generazione di fenomeni siamo?

Altro aspetto molto, ma molto valido: è uno strabellissimo slashar. Anche qui l’identità di A è il mistero da svelare, ma lo (o la) vediamo subito in azione: è una persona adulta (si presume dalla corporatura), conciata come Leatherface. Purtroppo non si vede tantissimo e gli omicidi sono fuori campo, ma i risultati sì e ciò mi fa ben sperare per il futuro.

Ho apprezzato come viene sviscerato il concetto di trauma, che va dalla violenza fisica e sessuale, a quella psicologica, ad eventi e situazioni che possono segnarti per tutta la vita. Ho visto, finalmente, la rappresentazione del dolore cronico non come un dettaglio superficiale o, come spesso si è visto, legato alla tossicodipendenza e al brutto carattere (vedi Dr. House), ma a una condizione traumatica e ingiusta.

Ho gradito un po’ meno l’uso estenuante del citazionismo spinto del cinema dell’orrore, sempre in bocca a Tabby, praticamente in ogni dialogo fa riferimento a un film. Carino ogni tanto, alla lunga anche basta. A tal proposito devo confessare una cosa molto antipatica. Nel primo episodio, Tabby, che dopo la scuola lavora in un cinema, ha una conversazione col suo capo, Wes, un giovanotto che, manco a dirlo, adora Dario Argento (credo lo definisca il maestro del giallo: amico, tu non sai niente, te lo dico). Lui snobba i film di Ari Aster e lei gli dice qualcosa del tipo: “Midsommar ha dei difetti, ma Hereditary è un capolavoro!” e lui fa una faccia schifatissima e io volevo interrompere la visione. Davvero, ma come vi permettete?

C’è anche un’accesa discussione su La fontana della vergine di Bergman e L’ultima casa a sinistra di Craven. Tabby va in escandescenza perché Wes vuole proiettarli durante una serata per metterli a confronto. Tabby va fuori di testa e li definisce film misogini — nel frattempo sta pensando a girare una nuova versione di Psycho da un punto di vista femminista, quindi diciamo che è particolarmente sensibile all’argomento. Wes, che è, come avrete capito, un maschio bianco cis con la sensibilità di un tirannosauro, minimizza dicendo che bisogna contestualizzare. Tabby si incazza ancora di più e se ne va via, dicendogli che si può tenere i suoi film girati da uomini misogini che amano gli stupri (una cosa del genere). Ora, la rabbia e la passione di Tabby hanno perfettamente senso e a quel punto della serie si sa già perché. Il problema, secondo me, è che lei ne esce come un’isterica, mentre Wes come il cinefilo moderato al di sopra delle emozioni — e che quindi sa giudicare in modo lucido il cinema. Non lo so se fosse voluto, fatemi sapere cosa ne pensate qualora vediate la serie. Io, onestamente, mi sono infastidita. E probabilmente mi riguarderò entrambi i film (che peraltro dovrebbero essere su Prime). Le problematicità della formula narrativa del rape e del rape e revenge esistono, ma secondo me non andavano espresse in questo modo imbarazzante. Ma magari è solo una mia impressione, per carità.

Detto questo, Pretty Little Liars: Original Sin è una serie molto meno leggera dell’originale, ma mai pesante. Si può vedere anche senza conoscere Pretty Little Liars, va veloce come un treno e c’è Eric Johnson (Tom) che più invecchia e più gli viene la faccia da stronzo.

La canzone della sigla è la stessa, riarrangiata, sempre meravigliosa.

(40) PRETTY LITTLE LIARS: ORIGINAL SIN (2022) Trailer ITA della Serie Thriller | Prime Video — YouTube

Insomma, andate su Prime e guardatela.

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