Servant, Dorothy e il grande e potente Oz

Germano Hell Greco
M E L A N G E
Published in
4 min readMay 3, 2022

Ci sono diverse cose, a proposito di Servant.
Per cominciare, c’è il fatto che M. Night Shyamalan sia riuscito ancora una volta a venire fuori dal camion dei rifiuti dove lo rigetto ogni volta che sbaglia un film. Va un po’ a corrente alternata. Un po’ troppo. Di film ne ha sbagliati parecchi. Lo amo, per lo più, specie quando mi orchestra scene tensive di gran classe (es: Leanne che si imbatte nel topo d’appartamento che è venuto a svaligiare casa approfittando dell’assenza dei proprietari — ndr) ma il più delle volte lo detesto e lo vorrei veder finire nell’umido.
A un certo punto s’è messo a produrre Servant, del quale ha diretto anche qualche episodio (molto, molto validi — ndr) e l’amore è tornato.

Ora, per amore anche di cronaca va detto anche che c’è una regista italiana — naturalizzata statunitense — Francesca Gregorini, che è incazzata come una biscia con lui e con Tom Basgallop (l’altro creatore, produttore della serie), perché Servant mostra delle similitudini piuttosto simili (pun intended — ndr) con La verità su Emanuel, un suo film del 2013, con Jessica Biel.
Tolto il dente, passiamo al…

Va detto che Servant, ormai giunto alla terza stagione per la TV in streaming della Mela, ha nel frattempo acquisito, similitudini simili a parte, piena autonomia e personalità. In una messa in scena maestosa, se non apparisse questa un contraltare al fatto che la storia si svolge tutta al chiuso.
I pregi sono tanti. Messi da parte l’intreccio e la costruzione della trama, che mantiene alta la tensione, due su tutti:

  • il cast: Nell Tiger Free (Leanne), Lauren Ambrose (Dorothy), Toby Kebbell (Sean Turner) e Rupert Grint (Julian Pearce). Li vorrei sposare tutti.
  • il set: una casa di lusso in un quartiere upper-class di Philadelphia. La vicenda di svolge quasi per intero all’interno dell’abitazione a più piani. Unità di spazio che crea istantanea familiarità, ma che allo stesso tempo non riesce mai monotona. È un piacere scoprirne ogni singola mattonella o imperfezione, ammirarla attraverso lo scorrere delle stagioni.

Ed è proprio sulla casa che mi sono fissato. E su Dorothy.
Tutti pensano che la protagonista sia Leanne. O almeno, data la sua particolare natura, la narrazione si dipana grazie a lei, lei è la dea ex-machina, attraverso i cui doni scaturisce l’intreccio. La fonte stessa della favola.

Ma ecco un volo pindarico: Dorothy.
Il nome della protagonista del Meraviglioso Mago di Oz. Il nome della protagonista di Servant.
Dorothy, orfana di entrambi i genitori, che vive con gli zii: George e Josephine.
No, d’accordo, sono zia Emma e zio Henry. E la nostra Dorothy ha ancora il papà.
La casa di Dorothy viene sollevata da un tornado e spedita, con lei all’interno, nel paese dei Ghiottoni.
Là dove degli squatter giacciono nei giardini antistanti l’abitazione, sfamati dal marito Sean, che fa il cuoco.

No, ok, la Dorothy di Oz è solo una bambina.
Ma… se fosse cresciuta, si fosse sposata e fosse diventata mamma, restando sempre dentro la casa?
Che storia sarebbe stata, quella di Dorothy? Magari non avrebbe perso i genitori, per cominciare. Avrebbe avuto un fratello. E un trauma.
Dopotutto, il suo trauma è stato talmente enorme che ha dovuto creare e alimentare una fantasia, per poter andare avanti.
Intrappolata nella casa con suo figlio defunto.
E Leanne… che ormai lo sappiamo, la sua natura non è quella che definiremmo propriamente divina. Sembra quasi abbia poteri da strega. Come zio George e zia Josephine. Lei crea, sospende, distrugge, assicura l’equilibrio e l’amore a questa realtà distorta che è la casa di Dorothy: rifugio per la mente e per l’anima sedotta dalla buona cucina. Leanne potrebbe essere la Strega dell’Ovest che ha conosciuto l’amore assoluto per una famiglia. Oppure, proiezione della mente stessa di Dorothy, che cerca di consolidare il suo mondo fantastico per fuggire al dolore.

E poi, il mondo esterno, che serba meraviglie e esseri fatati, che i mortali associano ai culti deteriori e alla religione, ma che sembra possano provocare meraviglie. Miracoli, forse.

E che Shyamalan sia sedotto dalle favole è cosa nota, quindi un’influenza di Baum, per quanto sottile, potrebbe essere plausibile.
Sia come sia, nessuno dei due creatori ha mai affermato nulla, a riguardo. Al quadro mancherebbe Oz. Ma in effetti manca ancora una stagione, quella conclusiva, secondo Shyamalan, quella che dovrebbe promettere faville, oltre alla chiusura del cerchio.
Sperando che il bidone dell’umido che sta, per intanto, bene aperto e affamato, non lo accolga definitivamente. Ché se mi sbagli il finale di Servant tra noi è finita.
Intanto, noi possiamo goderci ogni singola inquadratura di queste tre stagioni magnifiche e sbizzarrirci a trovare ogni sorta di analogia col mondo e la tradizione del fantastico.

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