Succession — il capolavoro

Kara Lafayette
M E L A N G E
Published in
12 min readJun 20, 2023

Questo articolo contiene SPOILER dal primo rigo.

“L’inferno è vuoto, tutti i diavoli sono qui.” (La tempesta, William Shakespeare)

Ho appena terminato Succession e mi sento esattamente come Kendall nell’ultima inquadratura: privata di qualcosa di indispensabile, tipo un organo (il cuore, quasi certamente), vuota. Non è un avvenimento così frequente, sono poche le serie TV che, alla fine dell’arco narrativo, mi hanno fatta sentire menomata e sinceramente triste. È successo con Breaking Bad anni fa, è successo più recentemente con Ozark. Ma Succession fa parte di una categoria a parte, perché per sua stessa natura è tutta un’altra storia. O forse no.

Succession prende vita nel 2018 da un’idea di Jesse Armstrong (autore, tra le altre cose, di quell’episodio bellissimo della prima stagione di Black Mirror: The Entire History of You — Ricordi pericolosi) e viene prodotta da Will Ferrell e Adam McKay per la HBO. Armstrong è soprattutto un autore di commedia e satira e Succession non fa eccezione. Per quanto sia una storia condita da dramma shakespeariano, è essenzialmente una satira micidiale su gente ricca da far schifo e anche un po’ ridicola, che caga soldi a raffica, che potrebbe vivere beatamente col sole in fronte e che invece è felice come se fosse sotto un perpetuo attacco emicranico. Sono persone perfette da sbeffeggiare. La base, quindi, è questa. Ma Succession non sarebbe il capolavoro che è se fosse solo questo.

Entriamo nella famiglia Roy, capitanata dal patriarca Logan Roy, fondatore e proprietario della Waystar-Royco, azienda che si occupa di televisione (intrattenimento, informazione), tra le più importanti del mondo. Del mondo. La ricchezza di quest’uomo e della sua famiglia è incalcolabile. Logan ha quattro figli: Connor, avuto dalla prima moglie, è l’unico a non far parte delle dinamiche aziendali. Vive per i fatti suoi, è sostanzialmente un idiota senza capacità né talenti, ma quando c’è da batter cassa, mettiamola così, appare come un genio (incompreso) dalla lampada. Poi abbiamo, in ordine, Kendall, che non è il primogenito ma è il primogenito, Roman e Siobhan (detta Shiv). Attorno a questa famiglia nuotano innumerevoli squali di taglia diversa: Tom (marito di Shiv), Greg (il cugino arrivato dal Canada), collaboratori, soci, azionisti, mogli, ex mogli, amanti, alleati sleali di ogni genere. Non esiste un personaggio positivo neanche se ti impegni a scovarlo, fatta eccezione — forse — per Ewan Roy, fratello maggiore di Logan e nonno di Greg. Ewan non approva la natura priva di etica dell’azienda, è l’unico che esprime disprezzo verso un mondo da cui prende le distanze (e le prende anche dal nipote), ma le quote se le tiene, va detto. Certo, ne fa ciò che crede e, a un certo punto, avrà modo di dire come stanno le cose (il suo monologo al funerale del fratello è da brividi).

Per il resto, Succession racconta la vita di esseri umani completamente dissociati dalla realtà, talmente assuefatti dal privilegio economico (o in procinto di esserlo) da non distinguere il benessere dal malessere. Figuriamoci il bene dal male. I Roy sono degli psicopatici. Sono gli American Psycho, i Patrick Bateman che ancora non godono nel fare fisicamente a pezzi altre persone (ma lo fanno moralmente in continuazione). E chi lavora con e per loro, anche. Fanno tutti così schifo che sembra impossibile poter sopportarne la visione per quattro stagioni. Eppure.

Cos’è Succession, oltre a essere una satira su una famiglia miliardaria (che è ispirata molto a Rupert Murdoch, per intenderci, ma come non sentire le vibes potentissime sui nostri Berlusconi?) qualsiasi? Io credo che a renderla gigantesca sia la scrittura estremamente profonda dei protagonisti (e anche dei personaggi di contorno), i quali vengono svisceralmente raccontati nelle loro più turpi nefandezze, mantenendo un tono sembre in bilico tra la risata (quella proprio di pancia) e il senso di disagio e mestizia. Ammetto di aver riso moltissimo, con Roman e soprattutto col duo comico per me invincibile Tom & Greg. Si ride tanto, ma poi ci si sente anche abbastanza sudici. E, aggiungo, tristi. Com’è possibile che si possa desiderare davvero una vita del genere, fatta di soprusi, manipolazioni varie, angoscia continua, sfiducia e atti meschini anche — anzi, soprattutto — nei confronti di coloro che in teoria ami?

Prendiamo per esempio Shiv e Tom. Si amano? No, se ci basiamo sul concetto più intimo d’amore, che poi è la base di ogni rapporto sano: la fiducia. Non esiste fidicia tra loro, è un sentimento che presumo nessun Roy e compagnia provi. Per gran parte della loro relazione, prima che si incrinasse, le conversazioni tra Shiv e Tom funzionano in questo modo: lui che le parla di qualcosa, magari mentre viaggiano in auto o camminano verso qualche ufficio o casa di Logan, lei che lo ignora smanettando al cellulare o, peggio, gli risponde con argomenti che riguardano lei. Sempre.

Una sottilissima forma di violenza che potrebbe anche sfuggire, perché scorre via come una routine qualsiasi (ed ecco un esempio di scrittura eccezionale), ma è, appunto, uno dei tanti atteggiamenti abusanti dei Roy verso chiunque altro, un modo di fare che per loro è normale, perché non hanno mai conosciuto un approccio differente. Colpa di Logan, certamente, che è un uomo abietto, un mostro. Ma anche lui non è solo questo. E no, non ci viene mostrato nulla per cui empatizzare con lui fino alla sua dipartita, sono solo degli attimi, delle sbavature di fragilità che ci permettono di provare pietà. Logan Roy è un uomo anziano e malandato, vederlo sofferente ferisce. Nonostante la sua meschinità, è un personaggio estremamente brillante e ci sono dei momenti in cui, addirittura, lo si comprende. Indimenticabile l’episodio del suo compleanno nella terza stagione, dove deve subire la festa a sorpresa. Situazione esilarante e tragicomica, lì è impossibile non amarlo. Poi, con la stessa naturalezza, si torna a disprezzarlo. E questo succede solo con personaggi memorabili.

Ma c’è un altro personaggio che vale la pena annoverare tra i più agghiaccianti e al contempo comici di sempre: l’ex moglie, la madre dei tre figli, Caroline Collingwood. Prima di separarsi da Logan, vivevano tutti in Inghilterra. Dopodiché Logan si è trasferito negli Stati Uniti con Kendall, Roman e Shiv, Caroline è rimasta in Inghilterra a godersi la ricchezza, mettendo una distanza sia geografica che emotiva tra lei e i suoi figli. Caroline è un personaggio buffo, con quel modo di fare aristocratico e con un senso dell’umorismo molto british, ma è anche protagonista di due scene atroci. La prima con Kendall, quando lui sente il bisogno di raccontarle dell’incidente (poi approfondisco) e lei, sentendo puzza di tragedia, lo porta a rinchiudersi nel proprio guscio. La seconda è durante il suo matrimonio in Toscana, quando parla con Shiv del fatto che se non avesse avuto figli sarebbe stato meglio. Entrambi i momenti sono di una violenza estrema, una mancanza di empatia così grande da tramortirti.

L’anaffettività dei genitori può creare danni enormi, ed è esattamente quello che succede ai giovani Roy. Anche Connor (che è figlio di una donna che non conosceremo mai, ma che a un certo punto scopriremo perché sia scomparsa dai radar familiari) è il risultato di una maleducazione priva d’amore. Kendall ha due figli che non vede mai e un’ex moglie con cui non riesce a dialogare, Shiv resta incinta di Tom quando ormai tra loro è finita. Si prevedono altre generazioni di esseri umani disastrati all’orizzonte. Un eterno ritorno di risentimenti.

La psicopatia come legame. Secondo alcuni studi della Bond University, una buona percentuale dei dirigenti d’azienda pare sviluppare dei disturbi mentali, soprattutto per quanto riguarda la sfera relazionale. Scarsa, se non totale mancanza di empatia, narcisismo, egocentrismo esasperanti, propensione alla menzogna. I Roy, insomma. Non puoi fare quella vita, a quanto pare, altrimenti. O per lo meno, non senza conseguenze. La tendenza ad avere successo ad alti livelli manageriali nasconderebbe delle perversioni morali ed etiche. È lo stesso Logan a dire a Kendall, a un certo punto, che non è all’altezza di prendere il suo posto perché non è un assassino. Naturalmente non in senso letterale, lo intende dal punto di vista degli affari. Per mantenere saldo un impero, devi essere una persona orribile, devi essere in grado di pugnalare alle spalle chiunque e di dormire sonni tranquilli. Perché se poi hai gli incubi e i rimorsi di coscienza, non vale.

La successione di Logan Roy, che muore al terzo episodio della quarta stagione (incredibile rovesciamento delle regole narrative: Logan muore fuori campo, per un attacco di cuore. Non lo vedremo mai più — se non in una registrazione di pochi minuti — , insieme ai suoi figli. Noi siamo Connor, Kendall, Roman e Shiv, che apprendono la notizia durante il matrimonio di Connor — ci tengo a sottolinearlo: i matrimoni dei Roy sono un coacervo di sfighe — e viviamo lo sconcerto insieme a loro) diventa una gara al massacro, una preparazione continua per dimostrare chi sia degno.

L’arrivo di Lukas Matsson dimostra che nessuno di loro lo è. E forse è un bene.

Il vuoto che lascia la perdita dell’azienda (rimangono comunque ricchi da far schifo) a questi ragazzi è sintomatico di una vita devota al capitalismo. Non sono i soldi a farli alzare al mattino, piuttosto la bramosia del potere, il desiderio spasmodico di essere il figlio o la figlia preferiti di Logan, anche quando Logan non c’è più. Un legame così malato da non estinguersi nemmeno con la sua morte.

L’abuso è il filo conduttore che li unisce a questo padre padrone tanto adorato (il loro dolore è sincero da far piangere). L’abuso psicologico che subiscono, in modi differenti, Kendall e Shiv. Il primo viene letteralmente annientato da Logan per un lungo periodo dopo l’incidente che ha causato la morte di un ragazzo, un cameriere al matrimonio di Shiv. Kendall è alla guida dell’auto del ragazzo, strafatti entrambi, stanno andando a cercare altre droghe più consone per Kendall. Il ragazzo si spaventa per un animale in mezzo alla strada, d’istinto sterza il volante e finiscono fuori strada, dritti dritti dentro un laghetto. Kendall riesce a uscire dall’abitacolo, prova a recuperare il ragazzo, ma non ce la fa. Preso dal panico, scappa, torna al ricevimento, si cambia e finge che non sia mai successo. Ci prova, più che altro. Ma Logan naturalmente lo viene a sapere e, in un modo subdolo, lo tiene al guizaglio per fargli fare quello che vuole in azienda. L’incidente credo sia ispirato alla morte di Mary Jo Kopenche, in auto con Ted Kennedy nel 1969. Kennedy se ne va, lasciandola annegare e non denunciando l’incidente. Quando ho visto la scena ho ripensato immediatamente a Acqua nera, romanzo di Joyce Carol Oates, che prende spunto proprio da questo fatto di cronaca (del romanzo ne ho parlato qui, se vi può interessare). La dinamica è molto simile, solo che il punto di vista è diverso. Noi siamo Kendall, siamo con lui, nella sua patetica disperazione. E proviamo pietà per lui, bloccato in un meccanismo di coercizione continua da parte di Logan.

Shiv viene perennemente presa per i fondelli, adulata e rimpinzata di promesse come un tacchino al Ringraziamento, per poi essere umiliata davanti a tutti, messa da parte, tagliata fuori dalle decisioni e da semplici conversazioni. È impressionante come ciò la deformi, tuttavia non può fare a meno di rincorrere l’obiettivo di vincere.

Roman. Oh, Roman. Io Roman l’ho amato da subito, nonostante il suo essere sostanzialmente un verme viscido e deplorevole. Come dicevo inizialmente, è colui che sforna le migliori battute, insieme a Tom & Greg, è una mitragliatrice di osceno umorismo che esterna sia verbalmente che con la gestualità. Rappresenta il fallimento vero e proprio di Logan, peggio di Connor (che ha almeno il beneficio di stare fuori dai piedi), il figlio buffone con “l’uccello moscio e che sbaglia qualsiasi cosa”. Roman è quello che ha subito maggiori violenze fin da bambino, oltre a quelle psicologiche. Ci viene detto in modo completamente estemporaneo che veniva picchiato. Addirittura chiuso in una gabbia per giocare a fare il cane. Il ricordo di Kendall è che Roman volesse fare quel gioco. Un ricordo falsato, naturalmente. Roman sviluppa, quindi, un senso di inferiorità enorme, un disagio psicofisico che lo trasforma in un uomo pieno di tic, di blocchi, di perversioni, che camuffa con battute al vetriolo. E di tanto in tanto, menando gente a caso, lanciandosi in mezzo a una folla che protesta, mandando cazzi in chat. Onestamente è quello che più mi fa pena, per la pateticità della sua esistenza, forse irrimediabilmente compromessa. Emblematico è il momento in cui deve scegliere un ricordo bello legato alla sua infanzia con Logan e dice: “Quando Connor mi ha portato a pescare”. Spezza il cuore, no?

Anche la scena in cui si becca una manata in faccia da Logan, che gli spacca un dente. Non si vede mai Logan fisicamente violento se non con Roman. Per lui Roman è spazzatura. E l’epopea di Roman è quanto di più triste abbia visto ultimamente. Cambia, a un certo punto, nella quarta stagione. Fa molto meno ridere, diventa sempre più spregevole, è pronto a implodere. Crolla completamente al funerale di Logan, si spezza in un modo così devastante che ho faticato a non piangere. In sostanza Roman è l’esempio perfetto di una vittima di abusi talmente radicati nella personalità da sentirsi perduti senza il proprio abuser. Questo lo ha reso vittima e a sua volta una persona orribile, perché privo di un qualsiasi punto di riferimento positivo nella sua vita.

Tutto questo drama, ma ribadisco: si ride parecchio. Tom & Greg sono una coppia comica che meriterebbe uno spin-off. Lo stesso Logan, coi suoi FOOOOACK OOOOOAAAAAFFFFF, con le sue facce assurde, è fonte di risate assicurate.

La scrittura, come ho già detto, è il punto di forza, accanto a una regia volutamente sporca e a un cast incredibile. Brian Cox è Logan, che non guarda Succession perché lo fa stare male (ti si ama). Sarah Snook, così bella e brava nel suo essere Shiv che non so come fare senza il suo volto imbronciato. Jeremy Strong che usa il metodo e che a forza di stare nei panni di Kendall a quest’ora sarà in psicoterapia. Kieran Culkin è Roman e che cosa posso dire? Io ogni volta che vedo un Culkin vado in brodo di giuggiole, ma è indubbio quanto Kieran sia gigantesco nel ruolo di Roman. Lui non ha usato il metodo, ha spesso improvvisato e un aneddoto buffo è il seguente: Jeremy Strong che legge le battute e, stupito, dice: “Ma questa cosa fa ridere!” e Kieran Culkin che risponde: “Certo, è una commedia”.

E poi Matthew Macfadyen (Tom), Nicholas Braun (Greg), Alexander Skarsgård (Lukas Matsson), James Cromwell (Ewan Roy), Harriet Walter (Caroline) e tutti, ma proprio tutti i personaggi, anche quelli di passaggio e di contorno, sono in forma smagliante.

Non so se Succession sia l’ultimo esempio di televisione eccelsa che avremo per chissà quanto tempo. Tra sciopero degli sceneggiatori, mancanza di idee e progettualità, qualità altalenante. Il presente è abbastanza offuscato. So che non mi sentivo così coinvolta da una serie TV dai temi realistici da tanto tempo (fatta eccezione per la fantascienza — come ad esempio The Expanse). Sì, c’è stata Ozark, ma Ozark è una serie drammatica con una narrazione da thriller. E sì, i personaggi di Ozark hanno molto in comune con quelli di Succession, ma la particolarità di Succession è che non succede quasi niente. Assistiamo a un susseguirsi delle giornate tipo di miliardiari e, ciononostante, non si riesce a fare a meno delle loro piccole e grandi tragedie, mentre ci si cappotta dalle risate.

Mi sono chiesta più volte cosa dica di me, questo. Cioè il fatto di aver riso forse più del dovuto. Perché magari per la maggior parte di voi Succession è una serie drammatica, triste e cupa. Io, pur riconoscendone la drammaticità intrinseca, la ricorderò come una satira ferocemente divertente su una famiglia di ricchi di merda. Che ho amato alla follia.

A rendere questa serie sbalorditiva è anche la colonna sonora. Il tema musicale a opera di Nicholas Britell risuonerà nel mio cervello presumo per l’eternità.

Vi lascio il link alla puntata del podcast di Sara Mazzoni Attraverso lo schermo, che offre davvero molti spunti interessanti e addirittura un parallelismo (a mio avviso azzeccatissimo) tra i Roy e i Lannister di Game of Thrones. Buon ascolto.

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