Lacrime

Emanuele Cisbani
Mitologie a confronto
3 min readApr 24, 2019

Rispondendo al mio articolo su Notre-Dame, un amico mi ha fatto notare che sono lacrime vere quelle dei laici, non dissimili da quelle versate per la distruzione dei Budda di Bhaymian o per la moschea Umayyad di Aleppo. Però se molti europei hanno pianto l’incendio di Notre-Dame, forse non è successo esattamente lo stesso per quei monumenti o per il Museo Nazionale del Brasile. Perché?

Perché Notre-Dame non appartiene solo alla Storia. Perché è un’opera sacra, che ci dice qualcosa di più profondo su noi stessi in quanto europei: qualcosa che riguarda la nostra anima. Quella chiesa ferita per l’incuria materiale ci ricorda che la Chiesa vivente, cioè non l’istituzione ma la comunione dei credenti, è già stata ferita da tempo, per l’incuria spirituale del nostro cuore.

Notre-Dame che brucia riapre così una ferita sopita o rimossa nel nostro inconscio. Perché nel mondo attuale l’arte è consumata anche come lenitivo di una sofferenza spirituale, qualcosa che ci dà l’illusione per un attimo di elevarci, mentre un tempo l’arte era spesso qualcosa di più.

Per esempio Joyce, nel “Ritratto dell’artista da giovane”, distingue l’arte vera, fatta per essere contemplata, da quella falsa, fatta per essere concupita. L’arte fu infatti per lungo tempo anche lo strumento per elevare davvero l’anima facendola accedere al trascendente, come il dito del saggio che indica la Luna nella parabola orientale.

Ma oggi gli europei guardano il dito e non vedono più la Luna. Guardano una cattedrale in fiamme e credono di piangere per la perdita di un’opera d’arte. Non vedono, o non vogliono vedere, che dovrebbero piangere lacrime ben più amare per la perdita della loro capacità di vivere la spiritualità in una forma sociale e collettiva, per la perdita cioè della loro Tradizione.

È vero, come dice il mio amico, che “per riconoscere i patrimoni universali della cultura umana non occorre avere la stessa fede dei costruttori”, e che “la società laica e capitalistica [che io critico] protegge il Partenone centinaia di anni dopo la sparizione dell’ultimo vero fedele di Atena”. E questo certamente è possibile perché il valore estetico, storico e culturale, è universale. Infatti è un valore anche economico, per la fruizione dell’opera.

Il valore spirituale o mistico di un’opera sacra, che è interiore, è ancor più universale. Il fatto di non essere commerciabile non lo rende affatto soggettivo o personale. Se l’estetica è in parte soggettiva e legata ai contesti storici o sociali, ciò che è simbolico e spirituale ha a che fare con gli archetipi dell’anima, con quanto di più profondo e oggettivo ci appartiene, al di là dei confini della cultura e delle epoche.

Le forme esteriori variano nello spazio e nel tempo, ma gli antropologi, gli esperti di religioni comparate, gli studiosi della psiche sono concordi nel rintracciare le stesse entità universali nei simboli delle tradizioni. Quello che abbiamo perso, è questa profondità del sentire, appiattiti oggi su una superficialità sia estetica che tecnologica, ben rappresentata dagli schermi dei dispositivi che divorano la nostra attenzione. Una superficialità funzionale a un potere omologante che ci vuole asserviti ai suoi ingranaggi.

Così piangiamo la fine del tempio di Notre-Dame, ripiegati sui nostri smartphone come quei rabbini, dondolanti sui libri di preghiera davanti al muro del pianto, di cui abbiamo forse a volte sorriso. Senza accorgerci di quanto si somigli nella superficialità questo attaccamento alle forme esteriori, alle pietre di un tempio distrutto. E non sappiamo “tornare alla poesia della Tradizione”, come disse Pasolini. Quella che è nel Verbo della Torà e del Vangelo.

Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1508–1513

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Emanuele Cisbani
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Tecnico: per la libertà dai vincoli della natura. Anarchico: per la libertà dal potere dei tiranni. Cattolico: per l'universale libertà dei figli di Dio.