I Limiti della Crypto-Divulgazione

La sostanza di un proselitismo inconsistente, e il suo lungimirante contrario. Schemi, miti e prospettive razionali e concrete su Bitcoin.

Filippo Albertin
Nakamotas
10 min readNov 7, 2023

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Proselitismi non richiesti

Cosa fa un predicatore? La risposta è banale: predica; ovvero, cerca apostoli lungo il cammino di una prassi che chiamiamo proselitismo e solitamente associamo a religioni, sette e confraternite varie.

Ma perché predica? Quali sono i suoi scopi effettivi?

Sulla carta, ovvero nei discorsi pubblici che immagino un predicatore debba snocciolare a un pubblico in ascolto, predica per migliorare il mondo, per diffondere la felicità, per esprimere il suo amore universale verso l’umanità, per realizzare — soprattutto — i desideri impossibili dell’uditorio, che le sue ricette pretenderebbero di traghettare verso un eden a suo dire incontestabile.

Sono però ben note le storie di predicatori — specie nel mondo moderno, soprattutto postbellico — che hanno tratto dalla loro predicazione notevoli vantaggi economici: santoni, guru, scrittori di fantascienza che hanno costruito religioni sulla base delle loro deliranti testimonianze, fino ai nostri giorni, dove terrapiattismi, nuovi spiritualismi, teorie energetiche e quantistiche blaterate da persone che in matematica e fisica avevano tre al liceo, e via discorrendo. Ma non solo. La “predicazione in senso lato” è in fondo lo standard di uomini politici, piazzisti vari, testimonial e influencer, maghi, cartomanti, veline riciclate nel mondo della televisione e ballerine riciclate in quello — già citato — della cosiddetta politica. La lista, quindi, sarebbe lunghissima.

Cerchiamo però di separare il grano dalla crusca.

Chi predica una certa disciplina dicendo schiettamente che quello è il suo lavoro, in fondo non è altro che un venditore (come lo sono io stesso), schietto, trasparente e onesto fino a prova contraria. Chi invece predica apparentemente solo per amore del prossimo è da guardare non dico con pregiudizio, ma almeno con una certa buona dose di sospetto, dato che tutti ormai sappiamo che neppure il cane agita la coda per nulla.

Veniamo ora a Bitcoin.

Se lo consideriamo uno strumento utile, è abbastanza evidente che venditori come me — di servizi legati a Bitcoin, consulenze, insegnamenti, delucidazioni, o di satoshi stessi, magari connessi a operazioni di acquisizione e custodia o autocustodia — agiranno e comunicheranno, legittimamente, sulla base dell’ovvio marketing di chi senza problemi espone la dicitura “messaggio promozionale”, per spiegare a potenziali clienti-utenti i vantaggi di acquistarlo, usarlo e detenerlo.

Ma se io mi atteggio a salvatore del mondo, e in Bitcoin vedo un mezzo per comunicare e svolgere tale salvifica missione, è la stessa cosa? Non direi. In generale, non credo proprio. Non ci credo perché questo atteggiamento innanzitutto — conti alla mano — non serve la causa utilitaristica di Bitcoin, ma sfrutta questo tema per generare, al contrario, divisione, conflitto, settarismo, evidentemente con un probabile secondo fine molto spicciolo: fare soldi, direttamente o indirettamente.

In tema di settarismo, cito una puntata del famoso podcast Crypto Pub, guarda caso tutta incentrata sullo scontro tra bitcoiner e altcoiner, dove dalle primissime battute un noto massimalista illustra a chiare parole tutta la confusione mentale che caratterizza il massimalismo stesso. Si dice che “Bitcoin nasce per comprare il pane e le scarpe”, cosa falsa dai semplicissimi esempi che ho descritto e che da tempo illustro, oltre che dall’oggettività del mercato. Ma si dice anche che “Bitcoin non è per tutti”… E allora come la mettiamo con l’affermazione secondo la quale si arriverà il Bitcoin standard, in quanto la moneta fiat scomparirà? Contraddizioni su contraddizioni, come in ogni credo religioso.

Questa mia profonda convinzione non è campata in aria, ma deriva da un’analisi delle narrazioni attorno a Bitcoin. Se da un lato è certamente vero che il mainstream, in materia, è ignorante e dunque inadeguato per snocciolare giudizi sulla moneta di Nakamoto, dall’altro lato io vedo Bitcoin trasformato in un vessillo da tifoseria calcistica. Quindi: alla buona fede dei guru in genere non credo.

Non ci credo quando vedo Bitcoin sfruttato come grimaldello assieme a istanze antivaccinali, antiscientiste, negazioniste, destrorse, trumpiste, il tutto mescolato in un indigesto e minaccioso minestrone fatto di antistatalismo monodirezionale e acritico, adolescenziale opposizione a onesti lavoratori della pubblica amministrazione, insegnanti, rettori, colletti bianchi, e perché no anche onesti amministratori della cosa pubblica, o incomprensibile inno all’evasione fiscale come emblema di un libertarismo da stadio, del tutto avulso dalle reali motivazioni di chi sulle questioni della privacy e della reale libertà ha ragionato a fondo.

(A latere, faccio sommessamente notare che stati e imperi planetari, con relative imposte e tasse, sono tranquillamente esistiti anche in periodi in cui a valere erano le hard money o le paper money con collaterale in oro, tranquillamente scambiabili peer-to-peer. E di certo il loro crollo tutto è stato fuorché un effetto della moneta, o della rivoluzione libertaria di popolo. Prova evidente che l’organizzazione in giurisdizioni, parlamenti e governi appartiene all’essere umano, indipendentemente dalla tipologia di moneta, inflativa o deflativa, in corso lungo un certo periodo storico.)

Non ci credo, poi, perché qualcosa non mi torna. Passino i tanti frustrati del web, che per dare un senso alla loro squallida esistenza attendono solo di seguire un messia puramente virtuale che individui l’ennesimo nemico da insultare nel nome dello slogan “piove governo ladro”, ben noto da sempre. Ma che dire, appunto, dei profeti di cui sopra? Cosa ci guadagnano? Sono anche loro dei banalissimi frustrati in cerca dei quindici minuti di notorietà? Oppure c’è qualcosa di più specifico che li spinge a capeggiare — sia pure goffamente — il loro microbico esercito di apostoli pavidi e capaci solo di manovrare un profilo social?

Per scoprirlo, secondo me bisogna andare su tematiche concrete.

In campo Bitcoin, c’è poco da fare. Il più che si possa pretendere da qualsiasi utente si riassume in poche, legittime battute: comprare satoshi, accettare satoshi, usare satoshi. Fine della storia. La vera questione sta tutta in una domanda: perché?

La narrazione dei guru è legata alla fantomatica sostituzione della moneta fiat money con Bitcoin. Ossia, la differenza tra un onesto divulgatore e un autoproclamato predicatore sta tutta qui: il fine ultimo.

  • Il fine ultimo di un onesto divulgatore è un fine attuale: il miglioramento della vita di un cliente pagante.
  • Il fine ultimo di un predicatore è il mantenimento dello stato attuale dell’apostolo, o del seguace, con la promessa di un mondo migliore che non arriverà mai. La ragione di tale promessa? Il poter contare sempre su uno spazio di sterile protesta in grado di mantenere il suo status di guru, con tutte le conseguenze del caso: predicazioni, inviti, introiti pubblicitari, etc…

Il vero problema di questi guru è che Bitcoin ha già vinto la sua guerra, e non ha più guerre da condurre per vincere alcunché. Quindi, i guru, dicendo pane al pane, si troverebbero senza lavoro. Da notare che un Bitcoin standard significherebbe l’assenza di promotori, insegnanti, divulgatori e affini… Avete mai sentito parlare di gente che vi insegna a usare euro e dollari per acquistare pane e latte?

Ecco che ci si inventa l’anarchia libertaria, o si manipola ad hoc i sacrosanti manifesti cypherpunk di fine anni Ottanta, perché loro sanno bene che una qualche organizzazione statuale delle genti esisterà sempre, e dunque traggono vantaggio da questa guerra infinita ai mulini a vento. Il loro atteggiamento è identico a quello dei politici che siedono sugli scranni dell’opposizione, pagati per lagnarsi di quello che fa il governo, ma lautamente pagati per sfruttare questo gioco delle parti. Hanno perso, continueranno a perdere, e questa è la loro pacchia, perché lo stipendio e il vitalizio arrivano comunque.

Loro sanno benissimo che la moneta fiat esisterà sempre. Sanno anche molto bene che Bitcoin oggi è ormai perfettamente integrato nel sistema finanziario globale che loro tanto fanno finta di combattere. Sanno altrettanto perfettamente che il “Bitcoin standard” è un’illusione, e proprio su questa illusione — esattamente come fanno le religioni — costruiscono teoremi, conventicole, priorati di quattro gatti contro tutto e tutti.

Nel frattempo, Bitcoin di loro se ne frega altamente, e continua la sua corsa all’adozione vera, che è lo sviluppo razionale dell’adozione già abbondantemente esistente e operativa sui mercati.

La vera e razionale natura di Bitcoin

Come ho detto decine e decine di volte, Bitcoin può essere o minato, o comprato, o guadagnato nativamente. (Ok, può essere anche rubato, ma direi che questo caso sia da trattare a parte.)

Siccome l’attività dei miner è comunque residuale, in quanto remunerata dalle transazioni oggettive che avvengono a monte del sistema, piuttosto facilmente possiamo dire che le attività di exchange e guadagno nativo (ergo speculare accettazione nativa) di tale valuta digitale sono in sostanza le uniche a costituire la fenomenologia dell’effettiva adozione, totale o parziale che sia.

Ora, io posso immaginare tutti i futuri possibili e — appunto — immaginabili. Ma se l’automobile con cui raggiungere questi futuri non parte mai, in quanto impossibilitata da aporie oggettive, questi futuri, banalmente, mai si realizzeranno.

Esempio concreto:

Ciascuno di noi gode di un reddito, alto o basso che sia. Questo reddito può essere in nero o in bianco, la cosa poco importa ai fini della simulazione oggettiva. Siccome io ho bisogno di mangiare e di riscaldarmi tutti i giorni, è evidente che una parte di questo reddito la dovrò spendere correntemente. Ha senso che io spenda questa parte in satoshi? La risposta è sì, solo se il mio reddito è nativamente in satoshi, e se lo è ora, non domani; se infatti il mio reddito è in euro o in dollari, conveniente non lo è per nulla, in quanto io devo spendere subito per comprare pasta, latte e pane, e anche solo un 1% di fees di acquisto BTC sono per me un costo del tutto assurdo e facoltativo. Non ha senso cambiare immediatamente in BTC degli euro per comprare qualcosa in BTC altrettanto immediatamente, ammesso, peraltro, e non concesso che il negoziante accetti BTC.

Rimane dunque la parte residua, il cosiddetto risparmio (ovviamente se qualcosa avanza, cosa tutta da dimostrare). Questa parte è quella che meglio si adatta a un cosiddetto piano di accumulo, nel senso che, invece di fare come fanno molti che acquistano oro o investono in altri asset, io posso tranquillamente acquistare BTC sperando in una probabile rivalutazione futura. In questo caso ha perfettamente senso “sopportare” delle fees di acquisto. Sto mettendo via valore, pagando un equo servizio di exchange.

Ora, se io (1) spendo direttamente euro o dollari per mangiare, e (2) cambio euro o dollari in BTC per risparmiare, da qualche parte quella moneta fiat andrà pure. Io “me ne libero”, certo, ma il sistema finanziario globale non se ne libera minimamente; anzi, quella moneta è esattamente il carburante che permette al sistema di funzionare come descritto.

Abbiamo volutamente lasciato fuori il caso di gente che guadagna nativamente Bitcoin (e attenzione, l’espediente del cambio automatico dello stipendio — stile Bitwage, per intenderci — non funziona, in quanto è un normalissimo exchange che implica moneta fiat, e non una transazione nativa). Lo abbiamo lasciato fuori perché un qualsiasi esercente o datore di lavoro può pagare in BTC solo se quei BTC sono presenti a monte oppure on demand nei suoi wallet. Come fanno ad essere presenti? Semplice: attraverso un meccanismo del tutto identico a quello descritto: o di cambio diretto (tuttavia sconveniente, quindi meno praticato o praticabile), o di accumulazione pregressa; entrambe queste dinamiche presuppongono un guadagno dell’operatore in fees (euro o dollari, ancora, sempre e comunque) e una transazione che conserva euro e dollari. Non si scappa: è il cane che si morde la coda. Se anche si arrivasse a uno standard in satoshi in entrata e in uscita per il 50% della popolazione mondiale, ci sarebbe comunque un 50% di popolazione speculare che continua a spendere e incassare in valuta inflativa a corso legale.

Da notare un altro fatto, esprimibile in questo dialogo che oggi è assolutamente onnipresente lungo la direttrice della proposta di adozione:

Esercente: “Pagami in satoshi. La tua transazione sarà anonima, e mi permetti di evadere il fisco.”

Cliente: (1) “Perché dovrei cambiare i miei euro in satoshi per dare a te una moneta che probabilmente si rivaluterà?” (2) “Perché dovrei spendere i satoshi che già possiedo per permettere a te di evadere il fisco?” (3) “Ma poi, perché dovrei desiderare l’anonimato per un panino?”

Questa sostanziale aporia per le spese correnti segna evidentemente la costante impossibilità per una qualsivoglia partenza di un processo economico granulare generalizzato in grado anche solo di immaginare un “Bitcoin standard al 100%”, al di fuori di usi specifici o di grandi transazioni.

Faccio notare che in questo sistema globale non c’è nulla di male, e nello specifico nulla di male per Bitcoin, che rimane — esattamente come l’oro — un asset deflativo, e come tale addirittura cresce e si impone, perfetto come riserva di valore e strumento di scambio in casi specifici (come detto, grandi transazioni, anonimato, privacy, etc…).

Riassumendo, Bitcoin è oggi — non domani, oggi — una realtà assolutamente operativa, forte, accettata, legale, in continuo sviluppo e migliramento, che non ha assolutamente bisogno di propagande filosofiche che si traducono solo in un business di nicchia per chi le implementa.

Recap

  1. Come coin deflativa, Bitcoin è ottimo per creare dei piani d’accumulo per la conservazione o l’incremento del potere d’acquisto a medio-lungo termine.
  2. Corollario del punto 1, Bitcoin ha senso come moneta accumulata, e non come valuta destinata alle spese correnti. In questo senso, un reddito che non è in grado di supportare un risparmio costante non è in grado di rendere sensato il cambio in BTC.
  3. Eccezioni ai punti 1 e 2 sono date dalla convenienza nell’uso del BTC per acquisti dove l’anonimato è necessario o molto auspicabile per le parti.
  4. In generale, laddove non obbligatorio per le ragioni viste nel punto 3, il BTC è molto indicato per le grandi transazioni anonime, in entrata o in uscita.
  5. La sola prassi di liberazione dalla moneta fiat a livello personale è quella di spenderla per gli usi correnti, cambiandola in BTC per accumulo dell’eventuale residuo. Come ovvio questa prassi, a livello globale, non elimina minimamente la moneta fiat, anzi la conferma. In altre parole, l’idea stessa di una “liberazione” dalla moneta fiat è pura astrazione propagandistica.

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Filippo Albertin
Nakamotas

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