La seduzione dei quarti

exedre
NaNoWriMo in zona di comfort
10 min readNov 30, 2015

3/ «Divide et impera» e la ricchezza delle razioni. Come dividere in sezioni e la teoria del flusso finanziario del romanzo.

La conclusione del precedente post ha fornito una valutazione semplice e diretta della dimensione del romanzo:

Qualsiasi cosa tra le 80.000 e le 120.000 parole è ok.

Per gli esempi che seguono sceglierò 100.000, per pormi al centro di una immaginaria curva gaussiana, ma soprattutto per fare i conti pari. Qualunque sia il numero di parole che poi decidi di scegliere tu sarà semplice riproporzionare di conseguenza (ma attenzione con le proporzioni, non sempre i numeri hanno un senso!).

Quindi 100.000 parole per il romanzo.

La domanda che ci si potrebbe porre adesso è «In quante scene vogliamo dividere il romanzo?»

E invece no. Continuiamo a lavorare sulle parole.

Il lettore di un romanzo non è solitamente stupido. Agisce in modo razionale anche quando è immerso in una storia fantastica. La parte razionale del lettore, che pure è ben disposto ad accettare il patto di sospensione dell’incredulità, non abbandonerà mai quella sua parte razionale che gli permette di entrare ed uscire dal mondo fantastico creato dal romanzo. Se un lettore ha sete non pretenderà che l’autore abbia scritto un inciso in cui il personaggio beva, dissetando così anche il lettore. Se il lettore ha sete smetterà di leggere e andrà a bere. Fintanto che la finzione creata non è così immersiva da sostituire completamente la realtà ci sarà sempre una area di razionalità e di scelta del lettore mentre legge.

È quell’area di razionalità che rimane in noi quando leggiamo che ci permette di scegliere, ad esempio, se continuare il capitolo o andare a dormire, se iniziare a leggere una nuova scena alla fine della precedente o anche finirne una a metà e via dicendo.

Una parte delle capacità dello scrittore sta nel giocare con la facoltà razionale del lettore per evitare che questa decida di chiudere tutto ed andare via. Perché, dicendocelo chiaramente, il primo e più difficile, compito dello scrittore è far perdurare la lettura, non annoiare il lettore al punto di perderselo.

La noia del lettore è sempre in agguato. A volte basta veramente poco, anzi basta molto. La lunghezza di un testo è tra le prime responsabili del crollo dell’attenzione. Un testo molto lungo è urticante per la nostra capacità di processare l’informazione.

Uno scrittore può pensare che la sua meravigliosa scena fondamentale in cui finalmente tutti i nodi vengono al pettine e tutto si spiega sia così tanto agognata dal lettore che questi non uscirà mai dalla finzione e finirà di leggerla d’un fiato. Probabilmente è così.

Ma se la singola scena è lunga e complessa, dura cinquanta pagine e non ti dà modo di prendere fiato e fare una pausa è probabile, è molto probabile, che ad un certo punto il lettore stanco (già perché i lettori si stancano anche) metterà via il libro, andrà a bere il suo bicchiere d’acqua e ritornando a prendere il libro in mano sarà preso da smarrimento e sconforto perché ormai si è rotto il patto di sospensione dell’incredulità e non riuscirà a accettarlo di nuovo, se non rileggendo daccapo l’intera scena.

Siamo esseri umani e abbiamo dei limiti.

Ma soprattutto abbiamo sviluppato delle sensibilità che vanno al di là della nostra volontà razionale. Non voglio scendere troppo in quest’argomento — io per me direi solo: è così, fattene una ragione — però è come, per esempio, nella musica.

La nostra sensibilità (pure quando siamo delle assolute capre in termini di gusti musicali) ci porta ad attenderci che la musica sia costruita in un certo modo. Quando sentiamo una musica ci aspettiamo che melodia e armonia lavorino assieme per arrivare ad un certo punto. Arrivati a quel punto siamo soddisfatti. Il nostro cervello si mette in posizione di riposo, il corpo si rilassa e tutto va al meglio.

Il pazzo musicale inizia creando un «dramma» che ha poi una sua evoluzione e infine una sua risoluzione finale. Consideriamo il pezzo musicale completo solo se ha tutti i pezzi. Se manca qualcosa (ed in particolare se manca il finale) rimaniamo in sospeso e alla fine ci sentiremo disturbati.

Una storia, qualunque storia, può essere sempre suddivisa in tre parti. Questa è una suddivisione convenzionale che ci permette di analizzare come approcciare la scrittura. La suddivisione ha in realtà più a che fare con il lavoro dello scrittore che non la storia in sé per sé. È come se noi stessimo dicendo allo scrittore di agire in tre modi differenti, addirittura essere tre persone differenti, secondo la sezione del libro che sta scrivendo.

In un certo senso lo scrittore deve vestire tre cappelli molto diversi in ciascuna di queste parti e agire (o meglio raccontare la sua storia) in relazione al tipo di cappello che ha indossato.

Quando si dà un nome a qualcosa si orienta il pensiero di chi legge. Quindi dal nome che io darò a queste tre differenti parti tu percepirai l’essenza della loro realtà.

Potrei chiamarle inizio la prima e fine l’ultima e tutto il resto quella che c’è in mezzo e riuscirei a mantenermi abbastanza neutro.

La sezione iniziale del libro è quella zona in cui l’autore deve calarsi in testa il cappello dell’affascinante seduttore, il suo obiettivo è quello di prendere una persona sconosciuta, di cui lo scrittore nulla sa a priori, e farla entrare in una storia fornendogli una quantità di stimoli tali da essere in competizione con tutto il resto della vita che lo circonda.

Nelle prime pagine del libro l’investimento che il lettore ha fatto è ancora molto basso, forse ha comprato il libro e non vuole buttar via i soldi, forse non lo ha comprato perché è in una di quelle offerte unlimited che adesso le piattaforme di ebook fanno ma ha solo preso in prestito il libro e probabilmente non può ridarlo indietro (quindi prenderne un’altro) per un certo periodo di tempo, forse non ha pagato veramente nulla perché il libro è gratuito, o forse l’ha scaricato illegalmente da Internet. Fatto sta che nelle prime X pagine lo scrittore è sempre a rischio dell’abbandono.

Nelle prime X pagine quindi devi essere un seduttore.

E nelle ultime X pagine? Qui vale un discorso differente. Ormai il tuo lettore ce l’hai ben stretto, ha investito tanto su di te — soprattutto perché nella società moderna il principale investimento è il tempo e di tempo ce ne è voluto per arrivare alle ultime X pagine del libro.

A questo punto è molto difficile che ti abbandoni, ma come una donna ormai conquistata è arrivato il momento che non puoi più contargli frottole, devi darle ciò che vuole. Nell’ultima sezione del libro devi completare il pagamento di tutti i tuoi conti con l’autore. Se gli hai promesso che un personaggio risolva il crimine, lo dovrà risolvere; se gli hai promesso una storia d’amore, dovrà esserci quantomeno un bacio e via dicendo. Anzi, se sei bravo, devi fare in modo di regalare al lettore più di quanto si aspetta, riuscire a fornirgli anche qualche momento A-ha, di quelli che ti stupiscono e meravigliano perché spiegano tutto inaspettatamente.

Nelle ultime X pagine devi essere un buon pagatore.

In tutto il resto del libro hai un compito importante, devi aumentare il jackpot. Devi promettere al lettore che valga la pena di seguirti perché il suo guadagno sarà alto.

Il lettore, che è entrato anche un po’ malvolentieri nel tunnel del tuo libro e che però si è lasciato affascinare dalle doti di seduzione del tuo inizio e ha deciso di impegnarsi ad andare avanti, deve avere da te tanti piccoli indizi che gli facciano percepire che se arriva alla fine guadagnerà sempre di più.

Nel centro del libro devi aumentare il jackpot.

Per rappresentare queste parti quindi ho scelto tre nomi che sono per me evocativi del tipo di attività da fare.

ANTICIPO

ACCUMULO

SALDO

La fase iniziale, la fase dell’anticipo è quella in cui l’autore deve fornire al lettore un sostanzioso anticipo sul guadagno che sta promettendo al lettore. Il lettore deve essere incentivato a leggere.

La fase centrale, quella dell’accumulo è dove lo scrittore deve dare la sensazione al lettore che si stanno accumulando per lui grandi ricchezze che solo giungendo alla fine del libro potrà svincolare e portare a casa.

E nell’ultima fase finale, nel saldo, dovrà finalmente dargli tutto, e anche di più, per renderlo appagato e soddisfatto, satollo di gioia per aver letto il tuo romanzo.

Giocare con il linguaggio è bello e se con le parole possono crearsi significati non scontati allora il momento A-ha è dietro l’angolo.

Nell’anticipo lo scrittore dovrà veramente anticipare quanto più possibile il suo contenuto. Non è un caso che nella prima sezione dei libri spesso si entri già a metà della storia, per poi recuperare il background con gli sporchi trucchi del mestiere come i flashback o i racconti riportati da altri personaggi e via dicendo. Il una scansione perfettamente lineare di una storia è abbastanza ovvio che all’inizio della storia (il mondo ordinario) sia tutto un po’ noioso, in fondo non c’è che rappresentare la vita del personaggio prima di tutta la sua avventura.

Nella sceneggiatura cinematografica questo è un problema poco rilevante perché:

  1. i tempi di fruizione sono più veloci, quindi che uno spettatore si sorbisca un venti minuti di mondo ordinario su tre ore di film tutto sommato ci sta, ma quale lettore accetterebbe di leggere per più di un’ora una introduzione a com’era la vita del personaggio prima dell’incidente che dà inizio a tutta la storia. Non è un caso che nella trasposizione cinematografica di alcuni libri esiste uno squilibrio evidente nel trattamento della sezione iniziale, dove a volte si inventa di sana pianta pur di allungare il brodo, rispetto alle vicissitudini dell’azione dove spesso e volentieri si tagliano drasticamente interi eventi narrativi;
  2. per come è fatto il mercato cinematografico è molto raro che lo spettatore vada via entro i primi venti minuti: se ha pagato il biglietto anche un inizio lento non lo scoraggerà ad andare avanti (e quante volte il commento degli amici su un film è: «Bello, ma l’inizio è veramente lento»). Le serie TV, specie quelle moderne, come detto hanno più punti in comune con il romanzo che non con la sceneggiatura cinematografica [mi si permetta anche di dire uno scrittore che scrive buoni romanzi è di solito un pessimo sceneggiatore o regista cinematografico e viceversa, mentre bravi sceneggiatori televisivi sono ottimi romanzieri];

Se lo scrittore deve dare qualcosa al lettore allora è bene che cerchi di dargliela all’inizio del libro, come anticipo. Certo non potrà svelare il colpevole se sta scrivendo un giallo (o forse sì come ha fatto Agata Christie in un suo famoso libro), ma tanto per dire la prima regola del decalogo di Knox sul libro giallo è:

1. Il colpevole dev’essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine;

Eccolo, questo è un vero e proprio anticipo dato sul saldo del libro. Più chiaro di così!

Nel caso dell’accumulo anche qui la felice ambiguità del termine ci permette di dire che strutturalmente la fase di accumulo costituirà un vero e proprio mettere assieme di pezzi (come gli indizi nel romanzo giallo, i poteri magici o le armi nel romanzo fantasy, e via dicendo), che permettono al protagonista di avanzare nella sua storia. Esiste quindi questo fortunato parallelo tra la storia razionale del lettore (che accumula il suo guadagno dalla lettura) e quella fantastica del protagonista (che accumula prove, alleati o nemici). Un fortunato parallelo che aiuta il lettore ad immedesimarsi nel personaggio.

All’interno del quadro narrativo generale l’accumulo è anche lo spazio delle complicazioni progressive nella storia del personaggio. È lì sostanzialmente che succede tutto ciò che non gli va bene e che alza sempre di più il prezzo della suo successo. Ma è anche il luogo in cui il personaggio si mostra in tutta la sua insipienza. Per poter progredire nella storia e superare gli ostacoli questo personaggio dovrà essere messo di fronte a delle situazioni di crisi, progressivamente sempre più rischiose, e in quei frangenti dovrà fare, con un costanza degna di una caricatura, la sua migliore scelta sbagliata. Perché alla fine il giudizio che noi avremo del personaggio non sarà dato dalle scelte giuste che ha fatto, ma da come è riuscito a venir fuori da quelle sbagliate.

Infine, come avviene nell’avventura del personaggio in cui la vittoria (o la sconfitta) dovrà comunque servire a portare a casa qualcosa di tangibile con cui curare il dolore dell’avventura, così nella fase del saldo il lettore dovrà essere curato dalle ferite che gli sono state inferte dalle cattive scelte del personaggio. Scelte che l’autore mai avrebbe fatto da persona razionale ma che, all’interno del patto di sospensione dell’incredulità, ha accettato di fare per interposta persona come eroe ombra del libro. Queste ferite vanno rimarginate, saldate il più solidamente possibile, per far riacquistare all’eroe l’amor proprio perduto a causa della sua insipienza che l’ha portato a sbagliare tutto.

L’eroe, che a dissezionare la storia — qualunque storia — è una persona incapace e sfigata, si può salvare solo grazie alla magnanimità dello scrittore che, bontà sua, gli versa finalmente un bicchiere di quello buono e aggiusta il tiro delle sue scelte improprie.

Manca una sola cosa a questo discorso: quanto?

È chiaro che un anticipo troppo breve rischia di non dare all’autore una motivazione sufficiente ad andare avanti e un saldo striminzito lascia l’amaro in bocca. Il trattamento di queste parti deve essere adeguato e rispettoso.

Per me, anche in relazione ad una serie di considerazioni che tratto in un post successivo, è ragionevole suddividere il libro i quattro quarti e dedicarne uno all’anticipo e uno al saldo, lasciando due quarti, cioè metà del libro, all’accumulo.

In termini numerici la situazione è la seguente:

(continua al prossimo post)

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