Scrivi, scrivi, scrivi! Ma quanto?

exedre
NaNoWriMo in zona di comfort
6 min readNov 26, 2015

2/ Misura per misura, quanto scrivere un romanzo.

In assoluto la prima cosa che mi chiede dopo che, per un motivo o l’altro qualcuno è venuto a sapere che ho scritto un romanzo, è: «ma quant’è lungo?». Cioè, è una domanda sgarbata, capitelo! La lunghezza di un romanzo, per uno scrittore, è qualcosa di tanto intimo quante altre misure. Cioè, ma perché, se è lungo 150 pagine o 650 non è abbastanza ok per te? Te sei una (o uno) che lo prende solo se è lungo, quanto? Ah no, signora mia, se non è almeno trecento non lo prendo neppure in considerazione.

Scherzi a parte la dimensione per il romanzo, ahimè, conta.

Per il NaNoWriMo è tutto molto facile: un romanzo (novel) è (almeno) 50.000 parole, non una di meno. Vinci se arrivi lì.

È importante capire come il NaNoWriMo giustifica questo limite. Non si mettono a disquisire sull’analisi dimensionale della letteratura ma fanno un discorso, a mio avviso, interessante. Alla valutazione delle 50.000 parole si arriva attraverso una considerazione puramente produttiva: è un numero di parole ragionevole per un autore che ha un altro lavoro nella sua «vita reale» e che può ritagliare uno spazio limitato nella propria giornata a questo compito. It’s so simple. Non scendono di più nel dettaglio. È come se ti stessero dicendo: «Trova il tuo passo, scrivi 1.667 parole al giorno (ci metti 1, 2, 4 ore non mi importa, take your time) e raggiungi i 50.000. Quando hai raggiunto i 50.000 quella è la dimensione giusta per avere in mano un romanzo». È vero? Bé sì.

È un modo semplicistico ma razionale di superare il problema uniformando, tagliando con l’accetta, le esigenze di tutti nel limitato ambito del mese si scrittura del NaNoWriMo. Io apprezzo molto questa valutazione che non essendo aperta all’interpretazione ti dà un obiettivo produttivo molto pragmatico e ti semplifica la vita.

Ma se ci togliamo gli occhiali del NaNoWriMo e ci rifacciamo la domanda:

«quant’è lungo un romanzo?»

Cosa siamo in grado di risponderci? Esiste un modo difficile ed un modo facile per rispondere.

Il modo difficile non sarebbe neppure così difficile (anzi se qualcuno che ha un po’ di skill di programmazione per pasticciare un po’ con Calibre mi vuol dare una mano potremmo affrontare assieme il problema) ma non ho il tempo di metterci mano adesso: contare le parole di un insieme significativo di libri. Non trovo un riferimento ma a memoria sembra che altri l’abbiano fatto e quello che ne è venuto fuori è che:

  • un romanzo (novel) è qualsiasi cosa oltre le 50.000 parole (con somma gioia del NaNoWriMo);
  • un romanzo breve (novella, in inglese) è tra le 20.000 e le 50.000 parole;
  • un racconto (short story) è solitamente sotto le 10.000;
  • la terra di nessuno tra le 10.000 e le 20.000 parole è quella dei racconti particolarmente lunghi (l’ossimoro sarebbe long-short story) in cui o l’autore è un drago o la noia è proprio dietro l’angolo.

Però non basta.

Dire che un romanzo è qualsiasi cosa oltre le 50.000 ci fornisce un limite inferiore ma né un valore medio né mediano (che in questo caso sarebbe più utile ancora). Purtroppo provare a fare una media/mediana su tutto il possibile campo dei romanzi non ha senso. Qui sarebbe ragionevole fare uno studio per generi. Ci vuole un dataset e bisogna fare dei calcoli. Qualcuno ci ha provato qui: http://theswivet.blogspot.com/2008/03/on-word-counts-and-novel-length.html ).

Il modo facile è:

  1. abbiamo detto 50.000 parole è il limite inferiore per arrivare al quale dovrai lavorare un mese (part-time), quindi non meno di tanto;
  2. alla stesura del tuo romanzo vuoi almeno lavorarci due mesi o no? allora quantomeno dovrai scrivere 100.000 parole.

In definitiva un romanzo (nell’ipotesi che sia un lavoro commerciabile e moderno) è 100.000 parole. Dai facciamo così, qualunque cosa tra le 80.000 e le 100.000 parole mi sta bene.

Semplice, diretto, tirato via con l’accetta ma efficace.

Se andate a chiedere alle case editrici serie vi assicuro che questa valutazione non è poi così male.

Come ho detto già in precedenza niente di questo è scolpito nella pietra e bisogna prenderlo con il sale in zucca. Ad esempio: le valutazioni su novel, novella e short story date in precedenza valgono per l’inglese che è lingua ben più asciutta della nostra, andrebbe introdotto un moltiplicatore per la sfiga di doversi esprimere in Italiano? Quale? 1.2x va bene? Quindi 50.000 diventerebbe 60.000 e 100.000 diventa 120.000?

Insomma: se vuoi fare un romanzo la dimensione «giusta» è tra le 80.000 e le 120.000 parole. Datti un target dentro questo limite e andiamo avanti. Stop.

Troppo facile? Da ingegnere una delle cose che ho amato di più dei manuali ingegneristici che mi sono passati sottomano è questa che trovate sul Manuale dell’ingegnere agronomo ad uso anche dei proprietarii-agricoltori, affittaiuoli, fattori, agenti, ministri, ecc. di Carton, Oreste; Marcolongo, Ettore; Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Antonio, pubblicato nel 1887 da Le Monnier Firenze (prendetelo da archive.org ad esempio qui https://archive.org/details/manualedellingeg00cart ).

Se esiste una formula per cui dato il peso di un capo grosso di bestiame, della lettiera e del foraggio si può desumere la quantità di letame e di qui l’area che può essere concimata e infine il prodotto che se ne può ricavare, forse siamo in grado di fare qualche calcolo utile anche nel nostro caso.

Chissà qual è il coefficiente giusto per trasformare il letame in letteratura e viceversa.

Scherzi a parte, la dimensione scelta (o talvolta assegnata) al romanzo non è una variabile del tutto indipendente. Negli ultimi venti anni il mercato editoriale si è assestato (bene o male che sia) sulle dimensioni che ho detto. Per uscirne fuori bisogna avere una ragione seria. Poi è capace che uno ce l’abbia.

Prima di andare avanti qualche valutazione estemporanea che può tornare utile.

Una pagina scritta in un word-processor (font 12, margini normali) contiene circa 600 parole. Una pagina impaginata in un paperback circa 300.

Di conseguenza 50.000 parole sono quindi a circa 170 pagine (al limitare di romanzo breve, come detto). 100.000 fanno 350 pagine (un buona dimensione per un romanzo).

Entrando a contatto con l’editoria italiana ci si imbatte con l’unità di misura che si scrive “cartella” e si legge truffarella.

La “cartella” (che non ha un equivalente nel resto del mondo civile) misura il numero di “battute” (che in questo caso non vuol dire motti di spirito ma indica il numero di volte avete premuto un tasto sulla macchina da scrivere / tastiera del computer, in inglese farebbe stroke). È una misura “convenzionale”, che ciascun editore adatta a sé, che solitamente indica il numero dei caratteri (con o senza contare gli spazi) che ci sono in una pagina ideale di N righe per M battute (dove N e M cambia paraculescamente secondo l’editore, di solito da 25 a 30 per le righe e da 50 a 70 per le battute). Poiché è una misura diretta del manfrinismo dell’industria editoriale italiana rimasta ai tempi dei trucchi da mezzadri per pagare di meno i propri cottimisti, propongo di dimenticarla in blocco e di guardare con un certo sospetto chiunque pensi di pagare un lavoro di narrativa in questo modo.

Peraltro con gli ebook tutte queste valutazioni basate sull’impaginazione «spaziale» vanno completamente a farsi benedire. L’impaginazione a flusso continuo dei formati degli ebook moderni (ePub, mobi, ecc.) in cui è il lettore che può definire i margini e l’ampiezza dei font ovviamente portano a disaccoppiare completamente una valutazione del numero dei caratteri/battute dal numero delle pagine/cartelle. In un giorno, nemmeno troppo lontano, sarà più comune sentirsi chiedere: «quante parole ha il tuo libro» che non «quante pagine è» (ma per ora dovremo sorbirci ancora le pagine).

Un romanzo di 100.000 parole non è necessariamente migliore di uno di 500.000 o di uno di 50.000, semplicemente cade all’interno della «zona di comfort» del lettore e questo sarà più ben disposto ad impegnarsi nella lettura. Ma ovviamente non esiste nulla nell’universo che sia LA «zona di comfort» di tutti i lettori, ciascuno ha la propria e io conosco almeno una persona che sostiene che I fratelli Karamazov sono un romanzetto troppo breve per creare un vero pathos nel lettore (Guerra e pace, dice, è ok).

Ha un senso mettersi a giocare con statistiche, mediane, probabilità e altro quando dobbiamo creare un’opera narrativa? La mia risposta è in queste note che sto scrivendo ed è positiva purché si capisca molto bene che tutte queste regole, trucchi, valutazioni e ipotesi vanno adattati al proprio senso e sensibilità. (continua al prossimo post)

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