Conservare e innovare assieme

Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente
5 min readJan 3, 2018

Il mio precedente post ha suscitato un certo dibattito nei social. Gianni Marconato, con il quale spesso mi confronto, ha pubblicato un’articolata replica sul suo blog. Qui di seguito riproduco la mia risposta. E il dibattito continua.

Caro Gianni, intanto grazie dell’invito a discutere. Poi, mi scuso con te e con quanti vorranno leggere questa risposta per il fatto che non sarò esauriente su tutti i temi sollevati. Non voglio ripetermi. Ma posso contare sul fatto che il curioso del mio ‘dire’ potrà rifarsi: 1. alla cartella a libero accesso dove ho messo buona parte degli scritti pubblicati dal 1973 in poi: http://bit.do/MARAGLIANO); 2. a interventi più recenti reperibili in rete; 3. ai cinque titoli che ho pubblicato negli ultimi anni in sola versione digitale (disponibili in tutte le librerie di rete ad un costo complessivo che corrisponde a quello di un tascabile cartaceo). Se poi qualcuno obietta che solo su carta si può leggere e studiare, bene: sono subito ad iniziare la risposta al tuo post, che necessariamente andrà per punti sintetici, e che anche di carta e scrittura e lettura tratta.
Primo. Scuola/scrittura/libro(cartaceo)/disciplina. Vedo una stretta connessione tra questi elementi. Sul piano storico i primi tre sono andati fondendosi e fecondandosi nel periodo conclusivo dell’età medioevale, quello stesso in cui l’identità e la produzione di libro hanno trovato una loro sanzione. Alludo a quel periodo che non a caso chiamiamo ‘scolastica’. La stampa arriva successivamente a cementare tale alleanza. Il quarto elemento (disciplina) giunge qualche secolo dopo, quando con la rivoluzione industriale e il conseguente inserimento di libro e scuola dentro lo spirito e il portato ‘sociale’ di tale rivoluzione prende piede la rappresentazione del sapere sotto forma di discipline. In quel contesto esse fungono da costrutti ordinamentali, cioè sistemi mentali e sociali capaci di dare ordine alle conoscenze e di garantire, istituzionalizzandosi, fondamento agli ordinamenti culturali e scolastici. Alla base della filosofia disciplinare c’è l’idea di una superiorità del codice scrittorio su gli altri codici, superiorità legittimata e sancita dal trionfo della stampa, primo mezzo di comunicazione di massa. Lì, nel XIX secolo viene messa a punto e realizzata l’idea di scuola che tuttora presiede a buona parte delle nostre azioni e dei nostri pensieri. Ma il mondo nel frattempo s’è mosso. Piaccia o no.
Secondo. Il mondo s’è mosso, dalla metà del XIX secolo, in ambiti (arti, scienze, tecnologie) che oggi possiamo vedere attraversati da comuni tensioni e spinti fuori dei recinti epistemologici garantiti dai tradizionali ordinamenti disciplinari e scolastici. La crisi dei fondamenti nelle scienze, le avanguardie artistiche, le nascite di grammofono, telefono, radio, cinema ecc. hanno allargato enormemente l’ambito dello scibile massicciamente condiviso (vogliamo chiamarlo ‘senso comune’?) ma anche modificato, e fortemente, quello dello scibile per così dire più ‘riservato’. Ne è venuta una progressiva legittimazione di codici e saperi, quelli sonori e quelli visivi, non riconducibili ai codici e ai saperi scrittori. Di questa trasformazione, che ha ormai una storia ben più che secolare, l’istituzione scolastica fa difficoltà a prendere coscienza. Lo si può capire. La sua sostanza e la sua anima infatti stanno ancora lì, nel sapere scrittorio. Ma soprattutto risiede lì la sua struttura ordinamentale. Sono disciplinari (e dunque in tal modo disciplinate) le scelte scolastiche in fatto di orari, di ripartizione dei ruoli, di progressioni del sapere, di verifica, di didattica. L’idea che il sapere vero possa essere soltanto disciplinare e dunque scrittorio è il nucleo fondativo della pedagogia che, a mio avviso, svolge tuttora la funzione di ideologia dominante in ambito educativo e che tale funzione svolge in quanto la sua stessa identità è rinforzata da (e rinforza) l’impianto istituzionale della scuola. Non solo coloro che pensano, come te, Gianni, ma anche chi nemmeno dedica troppo impegno a pensare si trova ‘naturalmente’ dentro l’ordinamento (‘artificiale’ e ‘scrittorio’ e dunque ‘tecnologico’) delle discipline. Lì sta la ‘realtà’ delle discipline.
Terzo. Il digitale consente di includere sonoro e visivo dentro uno spazio tradizionalmente presidiato dal codice scrittorio. Ciò comporta una revisione profonda dei criteri di ordinamento. Comporta disordine, per come il fenomeno è visto dalla roccaforte dell’ordinamento preesistente, dunque sapere ‘indisciplinato’, cioè mobile, dinamico, partecipato. Il mercato l’ha capito per bene e ha così colonizzato buona parte dell’immaginario (pensa a come cinema, radio, tv e poi rete hanno inciso e incidono sul ‘pensare’ e soprattutto sull’agire politico; a livello mondiale!). Chiunque creda nella scuola (ma si può anche non crederci) non può evitare di partire da qui, da questo dato di fatto. E dalla fenomenologia nuova di apprendimenti che avvengono secondo dinamiche ben diverse da quelle ‘scolastiche’. Sono apprendimenti condivisi, reversibili, pattuibili. Quindi ‘criticabili’, perennemente ‘falsificabili’. In questo post dovrei parlare di post-verità. Ma per farlo seriamente non c’è spazio. Mi basta segnalare il luogo entro cui collocare la questione. Che è seria, non riducibile alla schiuma delle fake news. E che non può non coinvolgere anche l’educazione.
Quarto. Non sono così ingenuo da sostenere che la scuola delle discipline debba scomparire per lasciar posto ad una scuola delle reti. Penso invece che disponiamo al presente di una condizione a dir poco eccezionale: quella di poter far giocare il sapere scolastico su due piani diversi, epistemologicamente didatticamente tecnologicamente diversi. Ma di poterlo fare onestamente, rendendoci conto delle resistenze istituzionali e materiali ed economiche ad un tale gioco. Non a caso cerco, da tempo, di far sì che chi opera nella didattica con apertura di vedute dedichi attenzione al tema politico e operativo dell’editoria. Ogni docente consapevole potrebbe/dovrebbe farsi carico del problema (media education e laboratorio di produzione editoriale), al fine di rendere più partecipato il suo impegno educativo. Su un piano più generale non si tratta ora di cambiare l’ordinamento culturale complessivo della scuola (tema gramsciano) ma, questo sì già da ora, di far maturare la comune consapevolezza dell’importanza del problema. E lo si può fare anche nelle classi, da subito, per esempio restituendo le immagini ai Promessi sposi o educando alla lettura sonora (non solo all’ascolto che è già bene) della Divina commedia. Azioni didattiche che il libro cartaceo non consente e il cellulare rende possibili.
Quinto. Citi, Gianni, la vicenda della commissione dei saggi. Faccio un solo esempio, a dimostrazione della (in)attualità di quell’esperienza. Proponemmo, rubandola a Italo Calvino, l’irriguardosa idea di rinforzare nelle classi la lettura di testi e di ricorrere solo quando strettamente necessario a risorse interpretative. Insomma, come ho già scritto qui nei social, più lett(erat)ura e meno storia letteraria. C’è bisogno di ricordare chi si oppose? Insomma, niente di nuovo c’è sotto il sole, oggi (e infatti proprio il Sole 24 Ore titolò ‘I videogiochi al posto di Dante, Petrarca, Boccaccio’).
Sesto. La gerarchia attuale dei saperi scolastici è basata sulla tecnologia stampa. Va rivista in relazione a come è cambiato il mondo. E a come è cambiata la realtà. In caso contrario le società saranno sempre più descolarizzantesi e descolarizzate.
Settimo. Rubare a McLuhan, Morin, Serres, Papert.

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Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente

Già Università Roma Tre. Mi occupo di educazione e media. Molto di quanto ho scritto e detto sta in rete su Scaffale Maragliano (https://goo.gl/XbT62M)