L’importanza della prima

Le tre favorite giocano tutte in trasferta, senza scontri diretti, fra debutti pieni d’insidie e la necessità di non rimanere attardati

Ovale Internazionale
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8 min readFeb 2, 2018

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Chi ben comincia, dice l’adagio, è già a metà dell’opera.

Mai quanto al Sei Nazioni 2018, dove il calendario regala una prima giornata accattivante: le tre squadra favorite per la conquista del titolo, Inghilterra, Irlanda e Scozia (sì, in quest’ordine, che sia alfabetico è solo un caso) non affronteranno nessuno scontro diretto, bensì tre partite in trasferta, rendendo da subito cruciale non perdere terreno in scontri che, sulla carta, le vedono favorite.

Il fattore campo è storicamente decisivo nel mondo della palla ovale, ma al Sei Nazioni in particolar modo: nessuna squadra arriva al 50% di vittorie fuori casa (fonte ESPN).

Irlanda e Scozia sanno bene quanto sia complesso battere avversari sulla carta sfavoriti fra le loro mura: l’ultima lezione risale appena allo scorso anno, quando prima la Scozia tagliò le gambe proprio ai verdi nella partita inaugurale, per poi finire sotto il fuoco incrociato della Francia del fu Guy Novès a Saint-Denis.

L’inizio del torneo è particolarmente peculiare, perché le tre favorite di cui sopra non si incontreranno prima della terza giornata, durante la quale è prevista la biennale riedizione del secolare tentativo di espugnare la Scozia da parte degli inglesi.

Fondamentale quanto e più che nelle altre edizioni, quindi, non deludere alla prima uscita: le prove generali si stanno concludendo, gli attori fremono per l’alzarsi del sipario, arriva la tanto attesa sera della prima.

Il promo del canale YouTube ufficiale si fa rispettare

Atto primo: Galles v Scozia

Udite, udite: la Scozia non vince in Galles, in partite del Sei Nazioni, da sedici anni. Chi se lo ricorda meglio è Gregor Townsend, che allora vestiva la maglia numero 10 della Scozia in una delle sue ultime apparizioni internazionali.

Da allora per la nazionale del Cardo solo sconfitte, l’ultima nel 2016 per un margine di soli quattro punti, il più risicato di tutta la serie.

In quel 2016 la Scozia incominciava a mostrare, in nuce, le potenzialità che oggi, con Townsend assurto al ruolo di head coach, sembra poter mettere in campo con continuità.

Spezzare la maledizione del Millennium Stadium non sembra essere mai stato più possibile di adesso: la Scozia detiene un incredibile quinto posto nel ranking mondiale, figlio di consistenti risultati di alto livello come l’aver sconfitto l’Australia a giugno e a novembre; il Galles è costretto da una miriade di infortuni più o meno gravi a rinunciare ad almeno sette titolari indiscussi: Liam Williams, George North, Jonathan Davies, Dan Biggar, Rhys Webb, Taulupe Faletau, Sam Warburton.

Gli infortuni, però, tengono banco anche dalle parti di Edimburgo, con Townsend che in prima linea è costretto un po’ ad arrangiarsi, come già raccontato qui.

Assenze, è il caso di dirlo, pesanti

Per quanto riguarda i Dragoni, le assenze si collegano ad un discorso già aperto fra giugno e novembre: il rinnovamento e il ricambio generazionale di una nazionale i cui più grandi campioni si avviano sul viale del tramonto.

Le ottime performance degli Scarlets in campionato e degli atleti che in questo momento giocano all’estero hanno consentito allo staff di selezionare abbastanza serenamente un nucleo di giocatori da aggregare al gruppo storico per costruire un Galles che mira ad essere all’apice per la Coppa del Mondo in Giappone fra poco meno di due anni.

Sono ben 16 gli esordienti messi in campo dal Galles fra giugno e novembre e adesso, con la pletora di infortunati succitata, è il momento che ai volti nuovi vengano affidate responsabilità senza precedenti. Un banco di prova che dirà molto sul Galles del futuro.

Da questo punto di vista una delle chiavi della partita di sabato, e quindi del Galles del futuro, sarà la prestazione del numero 10 Rhys Patchell, che molti vogliono candidato ad essere il sostituto di lungo periodo al 29enne Dan Biggar.

L’apertura degli Scarlets sembra l’uomo giusto per portare in nazionale il gioco bersagliero che comanda al suo club. A 25 anni, Patchell sembra pronto al definitivo salto di qualità dopo una lunga maturazione (il suo primo cap in nazionale è del 2013).

L’occhio cade obbligatoriamente anche sul primo cap dell’esordiente Josh Adams, ala di Worcester che attualmente guida la classifica dei metaman della Premiership. Giocatore che ha dimostrato di avere tutte le qualità necessarie per essere un’ala di livello internazionale, ma che ora deve dimostrarlo sul campo, con la pressione psicologica di dover essere all’altezza di George North.

Infine, una menzione per la profondità eccezionale del Galles in terza linea, dove i talenti di James Davies non sono per il momento richiesti e dove un giocatore formidabile come Justin Tipuric non riesce mai ad aggiudicarsi una maglia da titolare, vista la forma di chi lo precede. Navidi, Shingler e Moriarty formano una terza linea molto equilibrata e complementare, anche se il numero 8 di Gloucester ha pochi minuti nelle gambe.

Tre punti quindi: la voglia dei nuovi di prendersi la maglia da titolare, la difficoltà di giocare al Millenium Stadium e la qualità diffusa della squadra gallese costituiscono un osso durissimo anche per questa Scozia.

Una Scozia che dovrà basare la propria prestazione sulla continuità di rendimento su tutti gli ottanta minuti, come sottolineato anche da Gregor Townsend in conferenza stampa.

Proprio l’head coach non ha esitato a fare scelte interessanti, ma inaspettate, soprattutto optando per schierare Huw Jones come primo centro e il 27enne Chris Harris dei Newcastle Falcons al suo fianco. Harris è un ottimo difensore, e dovrebbe essere l’ancora difensiva della linea arretrata al posto di Dunbar.

Interessante vedere il miglioramento della Scozia nella panchina, in passato un punto debole dei dark blue: oggi Townsend può contare su giocatori esperti e di valore per concludere la partita.

La sfida sarà giocata molto sul possesso della palla e su chi sarà capace di sfruttare al meglio i palloni recuperati: per questo la sfida al breakdown fra Hamish Watson e Josh Navidi è così intrigante.

Prevedibilmente, la Scozia cercherà di partire subito con l’acceleratore a tavoletta, in modo da costruire sul proprio entusiasmo e mettere punti sul tabellone, costringendo gli avversari a una gara di rincorsa. Una partita dallo svolgimento più lento, soprattutto in termini di punteggio, potrebbe vedere favorito il Galles.

Atto secondo: Francia v Irlanda

Francia, grandissimo punto interrogativo di questo Sei Nazioni. Jacques Brunel è arrivato davvero da poco, e con il Top 14 che fino alla scorsa settimana ha preteso i propri protagonisti in campo, il tempo per l’ex CT azzurro di strutturare qualcosa a beneficio della propria squadra sembra essere stato davvero ridotto.

Per questo motivo la Francia si dovrà ancorare alle cose semplici, senza che questo sia necessariamente un male. Da vedere quanta motivazione e quanta convinzione nella nuova direzione decideranno di mettere in campo i giocatori.

Da par suo, Brunel alcune scelte le ha già fatte. Prima di tutto fuori Louis Picamoles, tassello imprescindibile per Novès. A numero otto passa Gourdon, giocatore più dinamico e moderno, che interpreta con profitto il ruolo a La Rochelle.

Insieme a lui Yacouba Camara e Wenceslas Lauret, in una terza linea inedita che segna uno spartiacque rispetto al passato. Ma non sono le uniche decisioni forti prese da Brunel: là dove avrebbe dovuto tornare a essere impiegato Morgan Parra, fermato da un infortunio, c’è Maxime Machenaud a fare da spalla esperta a Matthieu Jalibert, 19 anni già stellina della Francia under-20 e ben conosciuto da Brunel visto che milita nel Bordeaux che il Baffo allenava fino a qualche settimana fa.

Jalibert fa le scarpe a Belleau, altro giovanissimo, che si accomoda in panchina. In attesa del ritorno in un prossimo futuro di Camille Lopez per capire quali siano le gerarchie nella cabina di regia francese.

L’Owen Farrell francese, dicono. Un po’ presto per un’etichetta così: il giovane ha di sicuro mezzi spropositati per l’età, anche psicologici. Il suo punto debole potrebbe essere la difesa, specie nell’uno contro uno. E sicuramente verrà esplorato

Ultima scelta particolare quella di Geoffrey Palis a numero 15. Negli ultimi tempi la Francia ha sperimentato diversi estremi (Ducuing, Spedding, Dulin), senza che nessuno convincesse particolarmente. Ora Palis, 26enne di un Castres in buona forma, ha l’opportunità di riprendere il proprio cammino, più volte fermatosi ai margini del palcoscenico internazionale.

Le variabili per la Francia sono molte, e i bleus devono sperare di trarre giovamento dalla frizzante aria parigina e dallo choc del cambiamento: innescare una scintilla d’entusiasmo e cominciare bene il Sei Nazioni sarebbe vitale.

Farlo contro una delle migliori nazionali al mondo è un’impresa per pochi: l’Irlanda oggi è una delle squadre più solide del panorama ovale, che attualmente cavalca una striscia di 7 vittorie consecutive, non perdendo dalla trasferta di Cardiff nel Sei Nazioni dello scorso anno.

Della nazionale di Joe Schmidt sappiamo praticamente tutto e le sorprese, al solito sono poche. La Francia dovrà cercare di tarpare le ali alla coppia Sexton-Murray e soprattutto riuscire ad alzare il livello di impatto fisico per far fronte alle cariche dei vari Stander, Aki, van der Flier, Henderson.

Nelle fasi di conquista è lecito aspettarsi un Irlanda in vantaggio, ma se la Francia vuole avere una possibilità è proprio su questo terreno che può provare a mettere della sabbia negli ingranaggi degli irlandesi.

Atto terzo: Italia v Inghilterra

La favorita numero uno alla vittoria finale del torneo si trova anche ad affrontare la sfida più facile del lotto. La seconda squadra del ranking mondiale scende a Roma con tutte le intenzioni di saccheggiare lo stadio della squadre che, in quel ranking, occupa la posizione numero 14.

Con molta onestà Conor O’Shea non si è mai nascosto, dicendo chiaro e tondo che se entrambe le squadre giocano il loro miglior rugby, per l’Italia non c’è scampo. D’altronde sarebbe sciocco poter pensare il contrario. O’Shea si è limitato a raccontare in conferenza stampa che “lo sport è strano”.

Giocando proprio con la condizione di estrema sfavorita dell’Italia, il commissario tecnico ha deciso di fare qualche scelta di formazione azzardata, mettendo dentro dal primo minuto Matteo Minozzi ad estremo, Tommaso Allan in mediana e Renato Giammarioli con Sebastian Negri in terza linea.

Sicuramente una team photo così ce l’hanno in pochi

O’Shea coglie così l’occasione per incrementare la competizione interna dando la concreta possibilità di mettersi in mostra nell’occasione più importante i volti nuovi di questa nazionale, e nel frattempo non rischia i suoi giocatori più esperti su cui contare in partite più abbordabili, dato anche che l’Italia affronta le due compagini più forti nelle prime due giornate a soli sei giorni di distanza.

Inoltre nessuno potrà mai imputargli la colpa di aver fatto degli esperimenti in una partita che non ha margini di speranza.

Eddie Jones, dall’altra parte, ha deciso di non lasciare nulla al caso preparando un’Inghilterra attrezzata e armata di tutto punto, con l’unica sorpresa di Ben Te’o in mezzo al campo. Il centro di origine neozelandese prenderà parte del carico lasciato vacante da Billy Vunipola in termini di ball carrying.

La partita fra Italia ed Inghilterra potrebbe assomigliare al test giocato a novembre fra Inghilterra e Samoa, dove un’Inghilterra evidentemente superiore ha la partita sempre in controllo, ma lascia agli avversari il margine di qualche iniziativa che dimostra il cuore e l’impegno rendendo l’onore delle armi agli sconfitti.

Viste le prestazioni in campionato di Treviso e Zebre, è lecito aspettarsi dalla nazionale italiana qualcosa in più in termini di gioco rispetto a quanto dimostrato a novembre, dove alla fine dei conti la somma delle parti non è stata superiore al valore di partenza.

Dall’altra parte, certo, non ci sono le difese del Pro14 ma uno dei migliori sistemi difensivi a livello internazionale. Aspettiamoci quindi tempi duri per gli Azzurri, con lo sguardo però sempre rivolto in avanti.

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