My name is Gela

Il rugby, la Georgia: un colpo d’occhio ad una nazione ovale in crescita di cui sappiamo molto poco

Ovale Internazionale
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7 min readJan 29, 2018

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AltrOvale è la rubrica di Ovale Internazionale che si occupa degli anditi meno conosciuti del pianeta rugby, quelli che sfuggono alle cronache principali. Lo scorso appuntamento con AltrOvale lo potete trovare qui. Questo è il quarto appuntamento con AltrOvale. Buona lettura

Il giorno del suo ventesimo compleanno, Gela Aprasidze lo ha passato fra i dolori e i postumi del suo esordio da professionista.

Non il migliore dei debutti, non tanto per la sua prova, sufficiente, quanto per il risultato del club, quel Montpellier Herault che i soldi di Mohamed Altrad, uno degli sponsor più danarosi dell’intero movimento rugbistico francese, hanno trasformato in una collezione di figurine, con successo per il momento altalenante.

Montpellier infatti è primo nel campionato francese, ma ha fallito l’accesso ai quarti di finale di Champions Cup, con le gambe tagliate proprio dalla sonora sconfitta (41 a 10) rimediata al Sandy Park di Exeter contro i campioni in carica della Premiership.

Con Ruan Pienaar, Benoit Paillaugue e Enzo Sanga tutti ai box contemporaneamente a causa di infortuni di diversa severità, il giovane venuto da Tbilisi si è trovato quindi nelle condizioni di fare il suo esordio da professionista in un match cruciale di una competizione europea.

Nato e cresciuto a Tbilisi, Aprasidze ha incominciato a giocare a rugby a 12 anni, su spinta del fratello maggiore. Le sue qualità lo hanno portato ben presto alla ribalta nazionale: con i Lelo Saracens è stato campione di Georgia nel 2016, a soli diciotto anni, e ha già racimolato qualche presenza in nazionale maggiore.

Gela Aprasidze si è messo per la prima volta in mostra ai mondiali under-20 organizzati in Georgia

A Montpellier, dov’è arrivato questa estate con un contratto triennale da espoir, non è l’unico georgiano: sono ben tre i colleghi di Aprasidze nel club targato Altrad. Si tratta dell’esperto pilone Davit Kubriashvili, formatosi per lo più in Francia a livello giovanile e poi scudettato con Tolone, del prima linea Misha Nariashvili, classe 1990 cresciuto anch’egli presso il centro di formazione giovanile del Montpellier, e del colossale seconda linea Konstantine Mikautadze, anche lui divenuto campione di Francia e d’Europa con Tolone prima di approdare dalle parti di Montpellier.

A differenza dei suoi predecessori, però, il mediano di mischia classe 1998 fa parte di una più recente generazione di talenti georgiani, destinata ad ingrossare le fila di una nazionale che, da queste parti lo sappiamo bene, ha mire importanti in Europa.

Contro il Galles in novembre, in una partita di importanza capitale per la Georgia, che si trovava a sfidare una nazionale così prestigiosa per la prima volta al di fuori della coppa del mondo, l’età media dei giocatori era di poco superiore ai 23 anni.

Il Galles sarà peraltro avversario dei lelos anche alla coppa del mondo in Giappone, in un girone di ferro dove ci saranno anche Fiji (già battute 14 a 3 a Suva nel 2016) e Australia, oltre a una fra Canada e Uruguay, che si stanno contendendo lo spot appartenente alle Americhe.

Nella squadra selezionata la settimana scorsa per il Rugby Europe Championship di quest’anno, al via il 10 febbraio, ci sono 24 giocatori militanti all’estero e 12 semi-professionisti provenienti dal Didi 10, il campionato domestico di cui fa parte, ad esempio, il Batumi visto disputare il Continental Shield contro le squadre di Eccellenza.

Ben undici dei 36 giocatori convocati sono under-23, di cui Gela Aprasidze è il più giovane in assoluto. Nel suo ruolo c’è anche Vasil Lobzhanidze, il più giovane giocatore che abbia mai giocato in una Rugby World Cup, e che ad appena 22 anni ha già 27 caps all’attivo con la nazionale.

La palla ovale in Georgia

La leggenda vuole che il rugby sia popolare dalle parti di Tbilisi grazie alla antica tradizione di giocare un sport che, per certi versi, ricorda rozzamente quello della palla ovale, il lelo.

Il lelo consiste fondamentalmente in due squadre dal numero imprecisato di giocatori che si contendono il possesso di una pesante palla che deve essere trasportata dalla propria parte del villaggio.

Dal gioco, la nazionale di rugby georgiana ha quantomeno tratto il proprio soprannome, lelos appunto, mentre un lelo, nella lingua locale, è anche la marcatura della meta.

E’ dagli anni Sessanta che il rugby prende piede in Georgia, sbocciando poi definitivamente al tramonto dell’Unione Sovietica: nel 1989 si gioca la prima partita internazionale della nazionale georgiana, che batte lo Zimbabwe per 16 a 3.

Racconti dell’epoca parlano di una situazione portata avanti con mezzi minimi: il neozelandese Ross Meurant si reca in Georgia nel 1997 per dare una mano alla nazionale under-19 e scopre che ci sono a disposizione solamente due palloni, gli stessi che utilizza la nazionale maggiore.

I vecchi trattori sovietici vengono riadattati a macchine di mischia, i sacconi per i placcaggi improvvisati con materiali di scarto. Ma la passione non si ferma, e la palla ovale diventa uno sport sempre più amato nell’ex paese sovietico.

Sempre lui. Il ragazzo ha anche un discreto raggio di tiro nel suo destro

Nel 2003 la Georgia ha compiuto radicali passi in avanti e si è qualificata per la Rugby World Cup in Australia, dove perderà tutte le partite. Nel 2007 in Francia arriva la prima vittoria in un match della coppa del mondo, contro la Namibia, e l’Irlanda deve sudare sette camicie per avere ragione dell’abrasivo pack georgiano (14 a 10 il risultato finale).

Dall’anno successivo i lelos incominciano un ciclo di crescita che li porta a vincere il Rugby Europe Championship (il Sei Nazioni ‘B’) per 8 volte nelle 9 stagioni seguenti.

I risultati portano all’onore delle cronache le richieste di ingresso nel salotto più importante del rugby europeo, quello del Sei Nazioni. Le richieste sono avvalorate da una percentuale di vittorie impressionante, anche se ottenuta contro avversari spesso di livello inferiore, cosa che dopa l’ottenimento della dodicesima posizione nel ranking mondiale, e anche dall’importante cornice di pubblico che a Tbilisi celebra ogni partita della nazionale locale.

I tempi che cambiano

D’altronde, in Georgia, non sono più i tempi del sacco per placcaggi pieno di scarti di gomma: “Se entrare nel Sei Nazioni deve costarci un certo ammontare di denaro, diteci quanto e saremo capaci di avere una risposta in proposito” ha detto Milton Haig, l’attuale head coach della nazionale georgiana ed ex assistente ai New Zealand Maori.

Haig è uno dei più infervorati sostenitori della necessità di concedere alla Georgia la possibilità di giocare nel Sei Nazioni, in modo tale da avere il confronto necessario per effettuare l’ultimo balzo di crescita ed entrare a tutti gli effetti nell’èlite mondiale.

In effetti non sono i soldi e gli investimenti quelli che mancano al rugby georgiano degli anni Dieci del nuovo secolo: il movimento ovale è fortemente sponsorizzato da Boris, detto Bidzina, Ivanishvili, miliardario ed ex primo ministro, una delle duecento persone più ricche al mondo.

Il suo sostegno politico ed economico è alla base degli investimenti che si sono fatti registrare in Georgia ad ogni livello. Nel 2014 la federazione ha innalzato il proprio budget annuale di circa tre volte, stanziandosi su circa 4 milioni di euro. Campi sportivi, accademie, infrastrutture: il rugby di base in Georgia è in pieno fermento, grazie ai soldi pompati da Ivanishvili.

C’erano più di 50mila persone a Tbilisi ad assistere al big match dello scorso marzo contro i rivali russi

Qualche mese fa, Milton Haig ha raccontato al Guardian: “Questa estate ho visto la squadra under-15 di un villaggio giocare contro una rappresentativa scolastica di pari età del Galles e rifilargli 50 punti.”

“Ho chiesto a un funzionario della federazione cosa fosse accaduto e mi ha detto che è stato costruito uno stadio nel villaggio con tanto di riflettori e i ragazzini ne sono stati attratti come gli insetti dalla luce.”

“Quando sono arrivato io [Haig è in carica dal 2011], in Georgia avevamo solo due campi con standard adeguati; adesso ne abbiamo almeno 16. A quei tempi, eravamo più indietro rispetto a squadre come Samoa, Canda e Stati Uniti, ma poi li abbiamo battuti tutti e abbiamo attratto un grande seguito: la partita contro il Galles [giocata appunto lo scorso novembre] sarà trasmessa in diretta, in chiaro, e ben cinque emittenti si sono contese i diritti.”

Partner interessati sono Mohed Altrad, che ospita nel proprio club di Montpellier così tanti georgiani per via di un accordo con la federazione locale per lo sviluppo dei giovani, e i Saracens, che sono affiliati con una squadra di Tbilisi.

Crescita indotta

Georgia e Germania sono esempi di movimenti rugbistici del secondo mondo ovale che hanno innescato un movimento di crescita anche e soprattutto grazie al portafogli di un generoso benefattore (per la Germania, Hans-Peter Wild, miliardario presidente di Heidelberger RK e Stade Français).

Una crescita indotta che, sebbene nel caso della Georgia sia supportata dall’entusiasmo popolare e da una strutturazione dell’intero movimento, lascia alcuni dubbi sulla capacità di mantenere quanto ottenuto una volta che questo doping economico dovesse cessare.

Per la Georgia e il rugby georgiano sembra essere un momento decisivo, boom or bust: riuscire a fare il grande salto, premiare l’entusiasmo della gente e i risultati della nazionale e riuscire a dimostrare di non essere solo sufficientemente validi sul campo, ma di rappresentare anche un mercato ricco, una testa di ponte non solo verso la Georgia ma verso tutta l’Europa orientale.

“Può essere frustrante — sostiene ancora l’head coach Milton Haig — ma il nostro lavoro è riuscire a creare un dibattito e se possiamo tenere vivo questo dibattito, allora speriamo di generare abbastanza supporto, non solo da parte dei media ma anche nelle strutture interne del Sei Nazioni.”

Tanto passa da questo 2018, dove la Georgia ha già una partita messa nel mirino: a novembre i lelos avranno la possibilità di avvalorare la loro candidatura ad entrare nel Sei Nazioni proprio contro quell’Italia a cui ambiscono a fare le scarpe.

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