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Anonimato collettivo e impegno personale per cambiare il mondo

Rilanci e riflessioni a margine delle cyber-campagne anti-Isis di Anonymous

bernardo parrella
6 min readDec 15, 2015

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La parabola dell’universo Anonymous è stata e rimane dissacrante, poliforme e controversa per natura. Non a caso l’intero “fenomeno” affonda le radici nei bassifondi del trolling online fin dal 2003 e abbraccia lo spirito del dissenso sarcastico (dal lulz, variazione fonetica del più noto LOL, alla figura folklorica-digitale del trickster) come senso e obiettivo primario della sua stessa esistenza.

Tant’è che, notizia di poche ore fa, Anonymous ha attaccato la European Space Agency, rilasciandone alcuni dati interni su JustPaste.it e giustificando l’hack in maniera fin troppo semplicistica: «for the LulZ».

Caratteristiche queste sempre sacrosante, insieme a improvvisazioni continue e tradimenti interni, pur avendo compiuto il gran salto nell’attivismo politico del gennaio 2008.

È quanto segnò l’operazione Chanology tesa a smascherare le magagne del culto di Scientology, proseguito poi con una valanga di operazioni legate fra l’altro a WikiLeaks, Primavera Araba, Occupy, contro gli stupri e il razzismo Usa, fino ai cyber-attacchi contro la galassia jihadista dopo gli attentati di Parigi di novembre (con #OpParis e annessi vari).

Queste azioni anti-Isis erano anzi iniziate oltre un anno fa, prima ancora dell’attentato alla redazione della rivista satirica parigina Charlie Hebdo nel gennaio 2015, ma la recente ondata ha portato alla chiusura di oltre 10mila account Twitter e altri canali di propaganda islamista, motivo delle minacce successivamente ricevute dagli Anon, inclusi gli attivisti italiani animatori della #OpIceIsis.

Il tutto con l’inevitabile strascico di feroci polemiche, accuse e contraccuse interne, e prese di posizione discordanti.

Vale perciò la pena di segnalare alcuni interventi dei giorni scorsi decisamente interessanti, non solo per gli addetti ai lavori bensì come spunti per riflessioni di più ampio respiro.

cyberwarzone.com

Cominciamo dalla netta opposizione a #OpIsis (e alla cooptazione di Anonymous) manifestata da Jeremy Hammond, Anon (e anarchico) dichiarato, condannato nel 2013 a 10 anni di reclusione per aver violato il database dell’agenzia di intelligence Stratfor (su incitamento della talpa Sabu) e averne fatto trapelare i dati interni tramite WikiLeaks. Questa la conclusione del suo post del 10 dicembre:

Non consentiremo che Anonymous venga inconsapevolmente usato a sostegno delle operazioni imperialiste del complesso militare-industriale nel mondo. Non lavoriamo per nessuno governo, ci opponiamo a qualsiasi struttura statale. Stiamo dalla parte degli oppressi, non degli oppressori. Sosteniamo le vittime delle guerre, non chi impone la guerra. Per chi vuole denunciare nominativi di mailing list e indirizzi IP di sospetti terroristi, andate a lavorare per la CIA o associatevi ai tipi della Stratfor oppure di th3j35t3r. Definitelo hacking sponsorizzato dallo Stato, hacktivismo patriotico o quant’altro – ma non azzardatevi a spacciarlo come un’attività di Anonymous.

Faccio appello ai miei compagni ancora in trincea, che hanno per le mani uno “0day” micidiale, pronti a saccheggiare database e colpire sistemi online. Se volete fermare la guerra e il terrorismo, concentratevi su quello che Martin Luther King Jr. definiva «il maggior istigatore di violenza del mondo odierno» – il governo degli Stati Uniti. È quello il tuo target, Anonymous: produttori di droni, aziende di info-sicurezza ‘white hat’, dirigenti della CIA, Donald Trump, la polizia locale – hanno tutti le mani sporche di sangue e sono obiettivi più che leciti.

@blackplans

Invece secondo Abby Ohlheiser, “Le guerre di Anonymous contro Trump e l’ISIS sono parte della sua crisi d’identità”, come recita il titolo dell’articolato pezzo nella rubrica Intercept del Washington Post del 12 dicembre. Mettendo insieme i recenti hack contro il sito web di Trump, il KKK e l’Isis, e risalendo fino alle operazioni anti-stupro e contro la Chiesa di Scientology, il punto sembra essere il timore «che Anonymous non riesca a mantenere l’impegno di usare il suo potere a favore del bene». In dettaglio:

Nel caso dei recenti titoloni sulle “guerre” di Anonymous contro diversi nemici, per molti membri del collettivo le vistose campagne progettate per attirare attenzione sulle operazioni di Anonymous finiscono per danneggiare anziché migliorare la reputazione del gruppo.
….
In particolare, la caotica operazione OPISIS ha spinto molti membri di Anonymous a farsi un esame di coscienza. Discordian [membro del collettivo] si è mostrato perplesso sulle capacità di Anonymous di dar seguito a suoi propositi, facendo notare che nelle chat online gli attivisti che pianificavano l’operazione non sapevano neppure quali ne fossero gli scopi finali, e ha criticato gli Anon per la pratica “piuttosto sciocca” di lanciare una nuova operazione ogni volta che arriva una grossa notizia d’attualità.

L’ultimo rilancio viene da @anon99percenter in replica diretta all’ampia analisi di cui sopra, anzi «a pronta difesa dei miei fratelli e sorelle nell’alveare». Pur spiegando che «Abby ci ha trattato con correttezza e ha sollevato questioni importanti», l’autore rammenta comunque che per far partire un’operazione del collettivo «non è richiesto alcun quorum o votazioni interne», bensì trattasi di interventi ad hoc dove non vige alcun consenso generale e si rispetta l’ampia diversità di opinioni degli stessi Anon. E conclude:

La mia visione personale di Anonymous, della sua “idea” e degli Anon, quanti si danno da fare sul terreno virtuale, è che non siamo soltanto degli sbruffoni che attaccano certi siti per il lulz. Per come la vedo io, siamo un movimento per il cambiamento sociale che cerca di creare, a modo suo, un mondo migliore.
Credo che siamo un gruppo che “accende la candela” piuttosto che limitarsi a maledire il buio.

Pur chi è in disaccordo con queste strategie cyber-attivismo e/o scarta rapidamente le annesse riflessioni a tutto campo, non può non riconoscere che trattasi comunque di un tentativo serio e articolato (perfino oltre le talpe dell’Fbi o possibili manovre di cooptazione) di porre e proporre il dissenso sociale sono una nuova luce, in linea con i tempi della democrazia liquida. Sia per l’imprevedibilità insita nei target e nelle operazioni prescelte sia per il netto rifiuto di riconoscimenti personali o marchi individuali, e basta pure con i leader o i portavoce (per non parlare della “rappresentanza”), come per Occupy e tanti movimenti locali trasversali.

Purtroppo molti (in Italia più che altrove) non riescono a capire (o, più spesso, fanno finta di non capire) che la “nuova rappresentanza sociale” ha poco o nulla a che vedere con la “piazza” vecchio stampo, e si affrettano a bollare la protesta (in occidente, soprattutto) come un ”inutile rito domenicale”. Peccato per loro, perché in realtà il cambiamento fluido, continuo e diffuso – nonché basato su strumenti di libertà e partecipazione per cambiare il mondo, un computer (e una persona) alla volta – gli sta togliendo sicurezze e tappetini da sotto i piedi senza far rumore. Perché la realtà à sempre più complessa e sfumata di quanto media, esperti e guru vari vorrebbero farci credere.

Da qui la centralità del percorso di Anonymous in tutte le sue sfaccettature: innanzitutto e soprattutto un meme socio-culturale con ampie capacità di socializzazione e motore di cambiamento, anche al di là delle stesse tecniche di guerriglia digitale applicate, che anticipa e/o perfeziona le tattiche del dissenso contemporaneo ben oltre internet.

Ne è prova fra l’altro lo spontaneo ricorso alle maschere di Guy Fawkes, simbolo per antonomasia di Anonymous, in tantissime manifestazioni di protesta in ogni angolo del globo.

Come ha ottimamente documentato Gabriella Coleman nel suo best-seller The Many Faces of Anonymous in edizione italiana presso Stampa Alternativa a metà gennaio 2016 – spetta a ciascuno di noi afferrare e far proprie nel quotidiano vissuto le pratiche e i paradossi di questa sottocultura apparentemente “misteriosa”. Ribadendo come Anonymous sia ormai arrivato dappertutto e continui a spingere per l’affermazione, in forme creative, impreviste e anti-convenzionali, il potere dell’anonimato collettivo e dell’impegno personale per cambiare il mondo in positivo. Non è certo poco.

in libreria il 15 gennaio 2016 (464 pg., 22 euro)

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bernardo parrella

Freelance journalist, media activist & translator mostly on digital culture issues, an Italian living in the US Southwest (@berny)