Il ruolo dell’accademico nella società

Alfonso Fuggetta
Pensieri
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4 min readMay 23, 2020

In questo periodo mi trovo spesso a ripensare quale debba essere il mio ruolo come docente, universitario, accademico. Cosa devo fare? Come lo devo fare? Quale è il mio compito in università e fuori dalle mura del Politecnico?

  • Come docente devo insegnare. È uno dei compiti principali: aiutare i nostri giovani (e non solo) a diventare persone e professionisti maturi.
  • Come ricercatore, devo cercare di produrre conoscenza per promuovere la crescita della società e il miglioramento delle nostre condizioni di vita.

Basta questo? E il modo in cui lo si fa è irrilevante?

In questi anni mi sono convinto che come accademico non posso semplicemente stare chiuso all’interno del mio ateneo e occuparmi di didattica e ricerca. È mio e nostro dovere fare di più. Il Paese, la società, richiede che ci si spenda per avere un impatto concreto sul territorio, le imprese, i cittadini, la società nel suo complesso. Non posso e non possiamo semplicemente tenere corsi, fare esami e scrivere articoli scientifici.

È necessario, ma non sufficiente.

Certamente, ogni persona ha le sue caratteristiche, attitudini, vocazioni. Per cui non tutti dovranno e potranno operare allo stesso modo. C’è chi darà maggiore enfasi ad un aspetto piuttosto che ad un altro, magari in momenti diversi della propria vita, come è capitato a me. Negli anni ’80 ho lavorato in piccola azienda prima di trasferirmi al Cefriel. Negli anni ’90 sono diventato professore e ho soprattutto fatto ricerca. Dagli anni 2000 in poi ho dedicato le mie energie a sviluppare Cefriel, l’impatto sul territorio, lo sviluppo dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. Questo è stato il mio percorso. Altri ne avranno di diversi. Ma tutti dobbiamo preoccuparci di mettere le nostre conoscenze ed esperienze a servizio della società.

Ma come?

Non rincorrendo la politica e l’opinione pubblica; non con la demagogia, ma con la forza delle idee e l’onestà intellettuale delle persone libere, nel senso più vero e forte del termine.

Scrive Hermann Hesse in un passaggio, estratto da “Il giuoco delle perle di vetro”, che non mi stanco mai di rileggere e citare:

Dunque a noi non spetta regnare e far politica. Noi siamo specialisti nell’indagine, nella misura, nell’analisi, siamo chiamati a custodire e vagliare costantemente tutti gli alfabeti, gli abbachi e i metodi, siamo i verificatori dei pesi e delle misure spirituali. Certo siamo anche molte altre cose, all’occasione possiamo essere innovatori, scopritori, avventurieri, conquistatori e interpreti, ma la nostra prima e più alta funzione, per la quale il popolo ha bisogno di noi e ci mantiene, è la pulizia di tutte le fonti del sapere. Nel commercio, nella politica, o che so io, il vendere lucciole per lanterne può essere talvolta un merito geniale, tra noi invece non lo è mai.

Non possiamo piegare i nostri ragionamenti agli interessi della politica o, peggio, della propaganda e della polemica di parte. Il bianco è bianco e il nero è nero: che di volta in volta possa far piacere ai guelfi o ai ghibellini non importa.

Certamente, per usare l’espressione di Hesse, possiamo anche “regnare e far politica”, schierarci, ma solo dopo una cesura profonda e netta con il nostro passato, senza commistioni e compromessi, senza strumentalizzazioni e doppi fini.

E qualunque cosa si faccia — sarò ingenuo a pensarlo — non possiamo dimenticare chi siamo e da dove veniamo, l’impegno di onore e di onestà intellettuale che dobbiamo alla scienza e alla cultura.

Credo che il senso di ciò che siamo e di ciò che dobbiamo essere sia riassunto da queste righe sempre di Hesse:

Vigliacco chi si sottrae alle fatiche, ai sacrifici e ai pericoli che il suo popolo deve affrontare, ma non meno vigliacco e traditore chi vien meno ai princìpi della vita spirituale per amore di interessi materiali, chi, per esempio, è disposto a lasciare ai potenti la decisione su quanto faccia due per due. Sacrificare il senso della verità, l’onestà intellettuale, l’osservanza delle leggi e dei metodi dello spirito a qualunque altro credo, anche a quello patriottico, è tradimento. Quando, nel conflitto di interessi e frasi fatte, la verità corre il rischio di essere svalutata, svisata e violentata come l’individuo, come il linguaggio, come le arti e ogni cosa organica e genialmente coltivata, il nostro unico dovere è quello di reagire e di salvare la verità, cioè l’aspirazione alla verità che è il nostro credo supremo.

Ciascuno di noi in università sceglierà la sua strada. Lungo la strada si faranno errori, è inevitabile, e chi pensa di esserne esente o è un bugiardo o è un vigliacco.

Ma qualunque sia la strada che scegliamo, non possiamo violare la nostra missione, il nostro essere, la nostra dignità.

Chiedo scusa se non sono sempre riuscito a fare tutto questo. Chiedo scusa se le mie debolezze mi hanno fatto deviare da questo cammino. Ci proverò con rinnovata energia, finché intelletto e spirito me lo consentiranno.

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Alfonso Fuggetta
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