Di quando abbiamo traslocato un aeroporto

La nostra Grande Sfida — il trasferimento dei mezzi di Linate

SEA Milan Airports
SEA — Where Travel Begins
6 min readAug 12, 2019

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IlIl piazzale di Linate, alle sei di sera di un venerdì di fine luglio, emana ancora tutto il calore assorbito nel corso di un’intera giornata di sole. Lo senti salire, questo calore, da sotto le scarpe fin dentro i pantaloni, su per la camicia fino al collo e poi, ancora, alla testa. Gli occhiali scivolano dai nasi sudati, le maniche si arrotolano sulle braccia, i cappelli sventolano a mo’ di ventaglio davanti ai volti madidi dei colleghi. Persino l’hangar Armani non fa eccezione e, tra macchinari in movimento e operai indaffarati, la temperatura percepita ancora non accenna a scendere sotto i quaranta gradi, nonostante l’ombra.

Oggi è una giornata particolare a Linate. Per mesi tra noi colleghi si è parlato del Bridge, della chiusura dell’aeroporto e del trasferimento dei voli a Malpensa. All’inizio quasi sembrava una chimera, un evento così lontano nel tempo da apparire soltanto ipotetico. Una sorta di Godot, che prima o poi arriva, forse, chissà, intanto ci prepariamo. E alla fine è arrivato, il Bridge, e con lui la tensione per qualcosa che si è preparato per tanto tempo e che, adesso, deve andare per forza secondo i piani, non ci sono alternative.

Stanotte traslochiamo. Questo è il mantra che dal mattino di questo 26 luglio si ripete tra i colleghi, quasi a mo’ di saluto. Stanotte traslochiamo. Quasi non sembra vero, dopo mesi passati a organizzare ogni minimo dettaglio, che sia giunta l’ora di chiudere tutto e di partire alla volta di Malpensa. Stanotte traslochiamo, e da domani inizieranno i tre mesi del Bridge: tutti a Malpensa, mentre a Linate il piazzale resterà vuoto e con le luci spente. Una nuova grande sfida per tutti noi, l’ennesima per gli aeroporti di Milano.

Il trasloco di un aeroporto, forse è scontato dirlo, comincia per gradi. In realtà, una parte importante dei mezzi sono stati trasferiti ieri, circa la metà del totale. Così, man mano che gli ultimi voli sono stati operati nei giorni scorsi, il piazzale è andato via via svuotandosi. Gli aeromobili che sono già partiti non torneranno per i prossimi tre mesi, e gli ultimi arrivi sono destinati a ripartire in giornata per lasciare campo aperto alle ruspe che, già da domani mattina, inizieranno a sventrare la pista. Qui, sotto l’hangar Armani, stiamo accumulando da stamattina gli ultimi mezzi da portare a Malpensa: Ambulift, Cobus, push-back, macchinari di manutenzione e di rifornimento. Sono i mezzi rimasti per garantire l’operatività dell’aeroporto, che con il passare delle ore vengono stipati seguendo un ordine che potrebbe sembrare casuale soltanto ai non addetti ai lavori, ma che in realtà è il frutto di precisi calcoli ingegneristici. A far da sfondo, il continuo andirivieni di tir e autoarticolati su cui, mezzo dopo mezzo, carichiamo e leghiamo i vari mezzi, uno ad uno, per poi parcheggiarli al varco 2 in attesa della partenza del convoglio.

Mentre tutto questo succede, superata la linea d’ombra che divide l’hangar dalla pista, la normale vita dell’aeroporto continua. I cobus continuano a caricare i passeggeri e a portarli dall’aerostazione agli aerei, e viceversa. I mezzi operativi rimasti continuano nel loro lavoro come sempre, gli aerei seguono il solito schema, il coordinamento di scalo gestisce i voli in arrivo e in partenza. Al di qua della linea d’ombra, invece, col passare del tempo il ritmo del lavoro diventa sempre più frenetico. Tutti sanno cosa fare, dai responsabili agli operai, compresi i colleghi amministrativi che si ritrovano qui a seguire da vicino l’inizio di questa avventura chiamata Bridge. Lavoriamo tutti insieme per qualcosa di grande, sapendo che, in questo momento, qualsiasi gesto può fare la differenza, nel bene e nel male. Una grande orchestra intenta a suonare una sinfonia bella e complessa, nel caldo di una sera estiva.

Mentre stavamo lavorando, quasi senza che ce ne accorgessimo, il sole è calato definitivamente. In pista, ormai, si vedono poche code di aerei ai finger, nessun altro è rimasto in piazzale. Adesso sono più i mezzi raggruppati sotto all’hangar rispetto a quelli ancora operativi, e lo stesso vale per i colleghi. I cobus, uno dopo l’altro, prendono posizione in attesa dell’inizio del trasloco. Mancano soltanto tre voli e poi, finalmente, scatterà l’ora X.

Sono anche arrivati i giornalisti a osservare il nostro lavoro, a vedere da vicino cosa significa traslocare un aeroporto. E dire che, questa mattina, quasi nessuno di noi aveva realmente idea di cosa sarebbe stato questo trasloco. Di cosa fosse un aeroporto vuoto, spento, chiuso. Ora, noi come loro stiamo aspettando il momento per vedere cosa c’è dopo, alla fine di questo grande percorso che ci ha portati a questa sera. Siamo in tanti, adesso, sotto l’hangar Armani, tutti uniti da un unico denominatore: la curiosità di vedere come sarà Linate, una volta chiuso. Un altro volo è partito, ne mancano soltanto due.

Vito, uno dei tanti operai addetti al trasloco, sta facendo la spola assieme ad altri colleghi tra il varco di uscita dei mezzi e l’hangar per assicurarsi che tutto vada secondo i piani. Ognuno di noi sa che adesso niente può andare storto: non un ingorgo nel piazzale, non una fune legata male, non un mezzo fuori posto. Ci dice che mancano soltanto 5 tir da caricare, e poi i mezzi saranno tutti pronti per partire. Questo significa che siamo in perfetto orario, ci spiega, e che è proprio adesso che non dobbiamo mollare. A Malpensa ci aspettano puntuali, e noi di Linate non possiamo permetterci di andare fuori dalla tabella di marcia. Il volo per Cagliari è partito, adesso rimane soltanto quello per Palermo.

Ogni trasloco cela in sé un’alea di malinconia. Si lascia qualcosa che si conosce bene per andare altrove, e questo è sempre destabilizzante. Magari sarà in un posto migliore, certo, ma comunque diverso e in qualche modo sconosciuto, qualcosa a cui ci si dovrà abituare. Così, mentre i giornalisti intervistano e documentano cosa sta per succedere, noialtri concludiamo il nostro lavoro. I mezzi sono stati tutti caricati, e lentamente anche l’ultimo tir si è incamminato verso il varco di uscita. I colleghi, però, non lasciano ancora la loro postazione, nonostante il lavoro sia pressoché finito. Dopo tutta la fatica, il caldo e le zanzare, vogliono vedere a tutti i costi l’ultimo volo, anche se di voli ne vedono a centinaia ogni settimana, a decine ogni giorno. È un volo diverso, quello, l’ultimo prima di un letargo estivo di tre mesi a cui nessuno ha mai assistito prima d’ora. L’aereo si stacca dal finger, viene spinto verso la pista di decollo dal push-back e poi, lentamente, si avvia verso il fondo. I motori iniziano a girare sempre più forte, prende la rincorsa e, nel giro di qualche secondo, si solleva da terra davanti agli occhi di tutti noi, per sparire nel cielo poco dopo.

Qualche attimo di silenzio, qualcuno accenna addirittura un applauso (liberatorio, in qualche modo), altri mormorano qualcosa tra loro, e poi finalmente realizziamo cosa è successo: è iniziato ufficialmente il Bridge, gli “scatoloni” sono pieni delle nostre cose, la “nostra casa” è vuota, le luci della pista si spengono. Possiamo traslocare. Mezzi e persone si avviano verso Malpensa mentre i giornalisti tornano alle loro redazioni, tutto è andato come doveva. Adesso, ci godiamo ancora una volta la vista della pista di Linate, che da domani, piano piano, sparirà per far posto a quella nuova. La nostalgia, pare incredibile, c’è già. Ma subito prende il sopravvento la consapevolezza del fatto che gli aeroporti non sono posti per nostalgici, ma per sognatori e pionieri. E allora sogniamo insieme, questa notte, la Linate che verrà.

Da domani continueremo a far volare Milano e i milanesi, ma da Malpensa.

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