Un articolo del ‘territorio’

O meglio, locale

Emanuele Secco
Sekken’s Digest
2 min readMar 20, 2018

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Territorio, Emanuele Secco, 2015

Ancora non ho cominciato a scrivere, che sento già rivoltarmisi le budella a causa di un maledetto conato di vomito.
Uff. Calma…
Mi spiego.

È giusto comprare le mele del territorio.
È giusto valorizzare le iniziative culturali del territorio.
Partirà una nuova serie di norme specifiche per il territorio.
Vanno tutelati gli abitanti del territorio.
Dobbiamo mettere in sicurezza le acque del territorio.
Mi spiace, ma niente eguaglia la carne del territorio.

Sembra una cantilena, e per alcuni è la più dolce che ci sia: territorio di qua, territorio di là.
Io la trovo rivoltante.

Una domanda, da qualche tempo, mi frulla in testa: da quando la parola ‘locale’ ha lasciato il suo meritatissimo trono a ‘territorio’?

Forse il problema è solo mio, per carità. Tuttavia, quando mi si dice che una mela è del territorio mi sento quasi in dovere di rispondere: «Be’, grazie. Si sa che i meli sono ben piantati a terra». In caso contrario, se una mela è di produzione locale, sono molto più propenso a informarmi di più sull’argomento e apprezzare il valore del lavoro che c’è stato affinché io potessi levarmi il medico di torno.
Ma il fatto davvero curioso è che non viene nemmeno usato a sproposito. L’utilizzo che se ne fa, infatti, rispetta le sue numerose accezioni.
Il problema, come per Salvini/Berlusconi/Meloni/Renzi/Di Maio e lo stesso Dio — li ho messi tutti, ché non capiti di lamentarvi —, sono i fanboy.

Le correnti linguistiche, come in arte, vanno e vengono. Con ‘territorio’ siamo innanzi l’ultimo tassello delle consuetudini che si avvicendano nel cerchio della comunicazione. Un po’ come “ultima fatica” per un cantautore, o “sacro Graal” per indicare un risultato a lungo inseguito e non ancora raggiunto.
In quest’ordine, ‘territorio’ è solo uno dei tanti casi di pleonasmo linguistico (nel senso già accennato qui) di cui la specie dei comunicatori — molto spesso in maniera inconsapevole — si macchia giorno dopo giorno. È un modo come un altro per conferire un’aria istituzionale a quanto si sta dicendo, soprattutto quando si è certi che le proprie convinzioni sono aria fritta. E proprio per questo viene amato dal settore del cibo (scusate, del food), ma ancora più in ambito politico.

Volete farmi contento per una volta? Promettetemi che quando qualcuno cercherà di convincervi su una data questione ricorrendo al vocabolo incriminato, la vostra risposta sarà: «Guarda, mi hai fatto cadere le palle sul territorio, ops, a terra».

E.

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Emanuele Secco
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