Lo Slam e le sue tribù — Quarta puntata: Fumofonico

Chiara Lugaro
SLAMwork
Published in
5 min readJan 30, 2019

Sappiamo che forse vi eravate un po’ rassegnati all’assenza della rubrica sul Poetry Slam italico, che oramai avevate anche superato il trauma della perdita e avevate ricominciato a vivere, con qualche cicatrice in più e qualche capello in meno… Ma ecco che “Lo Slam e le sue tribù” torna alla alla ribalta e si impone alla vostra attenzione, ma questa volta è una promessa: non se ne andrà più!

Studenti e pensionati, giovani e vecchi, donne e uomini: nessuno può resistere alla Slam Mania, come già ampiamente dimostrato con il collettivo bolognese Zoopalco della scorsa puntata e con quelli ancora precedenti della Campania e del Piemonte.

È dunque per noi un dovere morale continuare ad investigare questa anomala situazione con un ennesimo collettivo di gente appassionata di cultura e di spettacolo (che noia queste persone normali).

Fumofonico è un collettivo di artisti con base a Firenze il cui scopo è quello di diffondere quanto più possibile la poesia tramite eventi e incontri in cui la performance è l’elemento principale: Poetry Slam, reading, recitazione, sono molte e variegate le forme artistiche esplorate.

Chissà che i ragazzi dell’associazione non possano illuminarci sulle inaspettate tensioni culturali dei nostri connazionali.

Innanzitutto “Fumofonico”, non potevate trovare un nome meno ermetico? Da dove deriva?

Fumofonico: Non ci saremmo mai immaginati che qualcuno potesse definirlo ermetico! Il nome è più semplice di quanto non sembri: il fumo è un prodotto della combustione (che in noi e con noi si realizza tra la voce e il linguaggio) e questo fumo è la poesia: pregnante ma pronto a diradarsi non appena comburente e/o carburante terminano. Fonico perché volevamo, mediante una figura retorica, arma indispensabile della poesia, calcare sul lato del suono, che per noi è sia voce che musica, giacché, con la poesia, lavoriamo sulla commistione tra linguaggi e intermedialità.

Com’è nato e come si è sviluppato il vostro collettivo?

F: Siamo nati a maggio del 2017, inizialmente dall’idea di Tab Palmieri e Nicolas Cunial. In principio eravamo molti, poi com’è giusto che accada sono rimaste le persone che davvero avevano a cuore il destino del collettivo e la sua crescita. Da allora siamo cresciuti molto: inizialmente organizzavamo Open Mic e Poetry Slam a Firenze, in due/tre locali. Poi il Volume (locale in Piazza S. Spirito) ci ha chiesto di considerarla la nostra casa e così, due volte al mese, oltre al consueto Poetry Slam proponiamo un evento intitolato Poesia Totale: dopo una breve sessione di Open Mic, presentiamo un ospite invitato da fuori Firenze. In poco tempo siamo riusciti a farci un pubblico di affezionati e le serate vanno sempre alla grande. Ovviamente il collettivo non organizza solo eventi: oltre a seguire le lezioni della nostra maestra Rosaria Lo Russo e organizzare sessioni di studio, abbiamo realizzato due spettacoli di poesia e musica che stiamo portando in tutta Italia (e proprio qualche giorno fa abbiamo realizzato una mini tournée nel triveneto). Non paghi, da poco seguiamo e conduciamo un progetto che si chiama libernauta, un concorso realizzato dagli Allibratori (un’associazione che opera principalmente a Firenze) dove gli studenti delle scuole superiori possono ricevere numerosi premi semplicemente leggendo dei libri, bello no?

Qual è il vostro rapporto con le altre realtà artistiche locali? Siete riusciti a “fare sistema” o siete più “lupi solitari”?

F: A Firenze prima di noi c’erano e continuano ancora a esserci realtà che organizzano eventi e serate di poesia. Dopo la nostra nascita siamo fortunatamente riusciti ad entrare in contatto con esse, scoprendo che era possibile “fare rete”, non solo tra le associazioni o i gruppi legati alla poesia o alla letteratura ma con chiunque fosse improntato all’attività artistica sul territorio.

Quali sono le modalità artistiche predilette dal collettivo? Fra queste, qual è il ruolo che lo Slam ha per voi?

F: Se per modalità artistiche intendi gli strumenti di trasmissione di poesia, ebbene cerchiamo sempre di fare eventi che possano raccogliere maggior pubblico possibile ma con l’intenzione più di formarlo che di divertirlo. Crediamo che il lavoro anche capillare che stiamo svolgendo abbia uno scopo ben preciso, ovvero far superare vecchi pregiudizi spesso scolastici che ci si porta in seno dalla fine delle scuole secondarie, ma non dimostrando, come talvolta erroneamente si vuol far credere, che la poesia sia cosa per tutti e che tutti siano capaci di farla, anzi. Invitiamo appositamente giovani ma già grandi nomi della poesia performata per dimostrare la differenza tra chi studia e chi si improvvisa. La capacità di cui siamo tutti dotati — oltre in quella di uccidere come scrisse Hobbes — è la possibilità di studiare. E studiando si diventa poeti. Poi per diventare bravi o grandi poeti, beh, forse lo studio non è sufficiente, ma è certamente la base di partenza.

Per noi lo slam è una palestra temporanea, dove chiunque può esercitarsi e prendere confidenza con il palco, con il pubblico, e attraverso il confronto con questo, ma soprattutto con gli altri contendenti, capire i limiti e i punti di forza della propria poesia.

Insomma, un contenitore, un format dove dentro può stare e convivere tutto, anche ciò che non è poesia, e questo non è un male, anzi, è fortemente formativo: in un’epoca in cui chiunque si crede dottore grazie a due righe lette su Wikipedia, vedere su un palco un giovane capace, talentuoso e che ha studiato contro una bestia in cerca di spicciolo consenso per accarezzarsi l’ego, è la dimostrazione più lampante di cosa vada o non vada considerato poesia. Certo, i confini sono spesso sbiaditi, ma è nell’ambiguità che si genera l’arte.

Infine, cosa pensate di ottenere facendo poesie? Non è che qualcuno di voi si sente il nuovo Quasimodo pronto a vincere il Nobel?

F: Nulla. Non lo facciamo per tornaconto, ma per missione, per vocazione. Se facendo tutto ciò abbiamo spinto anche solo una persona a leggere poesie (e sappiamo che è successo) e a dotarsi di strumenti critici per riconoscere la qualità (anche questo è accaduto); se siamo riusciti a far leggere poeti veri ma tenuti ai margini o ancora troppo poco considerati e a far loro vendere un paio di copie in più; se siamo riusciti in tutto questo, allora la nostra missione è compiuta. Nessuno di noi si sente il nuovo Quasimodo. E vi diremo di più: solo tre di noi scrivono poesia, ma solo uno di noi lo fa, al momento, come moto vitale indispensabile. Appunto, ancora una volta, la nostra causa è salva pure dal rischio di un nostro potenziale egocentrismo. Ci doniamo anima e corpo a Firenze, e credo che questo l’abbiano capito e per questo, fortuna nostra, abbiamo un po’ di successo.

Nella prossima puntata parleremo con un altro collettivo poetico, se non volete perdervi neanche una puntata iscrivetevi alla nostra newsletter. Basta un minuto e potete farlo da questa pagina. Zero spam, tutto SLAM.

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