La splendida abbazia di Santa Maria «inter rivera» (XI Sec.) a Piobbico (Sarnano, MC) prima e dopo la scossa del 30 ottobre 2016

Monumentum, monimentum.

Qualche pensiero sugli eventi sismici del 2016 nel centro Italia. Quinta parte.

Luca Silenzi
spacelab
Published in
5 min readNov 9, 2016

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E il patrimonio monumentale? È l’altro grande tema di questo sisma. Dopo cercare di salvare più vite umane possibile e restituire una casa a chi l’ha persa, l’altra questione (altrettanto seria, seppure secondaria) su cui attivarsi immediatamente è proprio quella dell’intervento sui beni monumentali.

Edifici eccezionali per dimensione, tecnologia costruttiva, interesse storico, arditezza strutturale, collocazione nel paesaggio costruito o naturale circostante, spesso anche per il loro contenuto di opere d’arte: un materiale nobile che va protetto e tutelato — se possibile prima di evitabili disastri — dal momento che, alla pari delle attività economiche del territorio, ne rappresenta l’identità oltre che una delle principali attrazioni insieme al paesaggio unico.

Si è detto che quello che stiamo sperimentando non è il primo sisma di questa portata a scuotere l’appennino centrale, e probabilmente non sarà l’ultimo: con simile magnitudo, i testi storici riferiscono di almeno un precedente evento del 1328, e di un altro del 1703, ricordato anche in una lapide all’interno dello splendido Santuario rinascimentale di Macereto (Visso):

“A Dio onnipotente e alla patrona Madonna di Macereto. Per la pestilenza che vessò quasi tutta l’Italia nel 1657. Per il terremoto del 14 gennaio e del 2 febbraio del corrente anno, in seguito più volte e gravemente ripetutosi con gran rovina dei paesi circostanti, con la morte improvvisa di migliaia di persone, con la distruzione totale o parziale dell’Abruzzo, dell’Umbria e della Montagna, con terrore delle città più lontane e fino a coinvolgere la stessa Roma. Il fedele popolo di Visso, sempre sfuggito a tante disgrazie per la protezione della Madonna medesima, a testimonianza della propria gratitudine e per ricordare ai posteri la sua vittoriosa misericordia, pose [questa lapide] il primo agosto dell’anno 1703”.

Proprio questo santuario a pianta centrale ottagonale, realizzato tra il 1528 ed il 1556 sotto la direzione di Giovan Battista da Lugano sulla base di un precedente progetto del Bramante (marchigiano anche lui), fu oggetto di imponenti lavori di restauro finanziati da Papa Clemente XII subito dopo un ulteriore sisma avvenuto nel 1730, e di un raffinato rinforzo di cerchiaggio in carbonio dell’estradosso della cupola dopo il 1997. Lavori tanto efficaci da farlo resistere a queste ultime scosse del 2016 praticamente indenne.

Non si tratta di un miracolo, ma di tecnica delle costruzioni egregiamente applicata su un edificio meraviglioso.

Si torna quindi al tormentone delle buone pratiche: maniere di costruire (e di intervenire sul costruito) che da queste parti traggono più o meno consapevolmente origine in tempi insospettabili.

Infatti non dimentichiamo che siamo nell’ex Stato Pontificio, e che in questi territori hanno lavorato, inviati da Roma, i più grandi progettisti e costruttori di ogni epoca: lo stato dell’arte internazionale, almeno per gli edifici più rappresentativi, che traeva linfa teorica e pratica oltre che in un parco plurimillenario di costruzioni esemplari, spesso firmate dalle più prestigiose archistar della storia dell’architettura, anche nei trattati di Rondelet e Durand, e attraverso questi, via via a ritroso nel rinascimento fino a Vitruvio e alle origini dell’asse ereditario costruttivo romano. Un’enciclopedia tecnica e pratica a cielo aperto, fatta di esemplari notevoli e con riverberi più o meno diretti nell’edilizia minore.

Ma non tutti i monumenti di questo territorio hanno avuto la stessa buona sorte — o meglio: la stessa attenzione tecnica nel passato — del Santuario di Macereto: si è assistito, con le scosse più intense, al crollo o al danneggiamento serissimo di campanili (i più fragili per forma e snellezza se sottoposti ad intense sollecitazioni orizzontali, sopratutto se sprovvisti di opportune tirantature) e di chiese dall’inestimabile valore storico ed architettonico, oltre che simbolico.

Basilica di San Benedetto a Norcia, dopo il collaudo.

Le ragioni possono essere tante. Nonostante le buone intenzioni a volte non si riesce a mettere in sicurezza antisismica un monumento al al 100% per motivi tristemente banali e pratici: budget insufficiente, impossibilità concreta di aggiornarlo alla normativa vigente senza snaturarlo, prese di posizione fondamentaliste degli organismi di tutela, ingenuità strutturali occulte, errori tecnici evitabili, diagnosi e riparazioni del danno di sismi passati non effettuate a regola d’arte, progettisti funzionari e responsabili dei controlli non all’altezza del loro ruolo… Potrei continuare ancora. E dimostrare ogni volta che non si tratta, purtroppo, del destino avverso.

Come sottolineai in occasione del nostro State of Exception alla Biennale di Venezia 2014, l’architettura italiana storica che oggi studiamo e giustamente tuteliamo in origine rappresentava un punto avanzato nella tecnica del proprio tempo, e successivamente è stata il frutto di infinite contaminazioni, sostituzioni, giustapposizioni e manipolazioni, progressive o repentine, che in un percorso evolutivo complesso hanno prodotto risultati eccezionali e di grande ricchezza, che hanno permesso a tanti edifici notevoli di mantenersi in vita attraverso i secoli: spesso con piccoli aggiustamenti e modifiche migliorative contro la sfida del tempo e degli eventi, a volte anche rinascendo sulle proprie rovine, o trasformandosi radicalmente.

Mentre oggi un fatalistico e tutto italiano complesso di inferiorità ci impedisce di intervenire su questo patrimonio come si dovrebbe e come si è sempre fatto (e come oltretutto sapremmo fare benissimo, dal momento che gli archeologi e restauratori formati in Italia sono richiestissimi nei più complessi cantieri all’estero): il congelamento del passato come commodity da sfruttare a scopo turistico e un certo manicheismo romantico che caratterizza alcune (non proprio tutte, ma quasi) istituzioni preposte alla tutela del patrimonio storico-artistico di questo Paese hanno causato la paradossale difficoltà di conservare questo stesso passato in vita in modo efficace, ed è la principale questione su cui riflettere seriamente quando si parla di messa in sicurezza — e ahimé ricostruzione — dei monumenti che meritavano di essere tutelati con i fatti, non solo con i decreti. Rendendoli vivi ed aperti al futuro, come sono sempre stati.

Il senno di poi non è molto d’aiuto in queste circostanze: quel che è certo è che un terremoto di questa entità era solo questione di tempo, e oggi è necessario ripensare radicalmente al nostro rapporto con il patrimonio storico-artistico che abbiamo in dote, e alle maniere più efficaci per conservarlo e tramandarlo in sicurezza. Sarebbe opportuno riscoprirci una buona volta, oltre che fuoriclasse della già citata emergenza di routine, responsabili programmatori del nostro futuro come cittadini del “Paese più bello del mondo”: uno status piuttosto fragile, che merita la massima cura operativa.

Sarebbe opportuno. Ma non sarà facile.

(continua…)

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Luca Silenzi
spacelab

Spacelab founder+director | Featured in Biennale Architettura Venezia w/curatorial project State of Exception | SpacelabZero mastermind