La “distillazione” delle nane bianche
Un gruppo di astronomi ha studiato 72 nane bianche scoperte nel cuore della Via Lattea. Una parte di queste stelle morte presenta caratteristiche particolari, che si possono spiegare soltanto ipotizzando che si siano evolute all’interno di sistemi binari
Le nane bianche sono i resti stellari più comuni. Tutte le stelle con massa iniziale inferiore a circa 8 masse solari non hanno la spinta gravitazionale sufficiente a creare una stella di neutroni o un buco nero. Quello che rimane, dopo che hanno espulso gli strati esterni nello spazio formando spesso bellissime ma effimere nebulose planetarie, è un nucleo piccolo e densissimo.
Residui supercompatti di materia degenere
A parte un sottile involucro esterno di idrogeno e di elio, il corpo di una nana bianca, le cui dimensioni tipiche sono simili a quelle della Terra, è costituito principalmente da materia degenere, cioè un plasma in cui, a causa dell’altissima densità, compresa tipicamente tra 10⁷ e 10¹¹ kg per metro cubo, i fenomeni quantistici prendono il sopravvento sui fenomeni termici. Ma non si tratta del tipo più estremo di materia degenere: nelle nane bianche, infatti, la pressione gravitazionale non riesce a comprimere la materia oltre un certo limite, a causa della resistenza esercitata dagli elettroni.
Gli elettroni, pressati dalla gravità, tendono a occupare gli stati quantici di minore energia, ma trovano un limite nel principio di esclusione di Pauli, in base al quale due fermioni — categoria di particelle alla quale anche gli elettroni appartengono — non possono mai occupare il medesimo stato quantico. Così, obbedendo al principio di esclusione, una parte degli elettroni va a occupare livelli energetici più elevati. Ciò crea una pressione diretta verso l’esterno, indipendente dalla temperatura. Tale pressione, nelle nane bianche, riesce a contrastare il collasso gravitazionale indotto dalla loro stessa gravità, mantenendo indefinitamente in equilibrio questi compattissimi oggetti.
Identificare le nane bianche è piuttosto difficile, perché, avendo dimensioni simili alla Terra, emettono radiazione attraverso una superficie molto minore di quella di una qualsiasi stella di sequenza principale. Inoltre, la maggior parte della luce che producono deriva dalla dispersione del calore accumulato all’interno. Ciò significa che, a mano a mano che si raffreddano, la loro luce diventa sempre più fioca e meno visibile.
I tempi in cui avviene il raffreddamento sono lentissimi, fino a qualche miliardo di anni. La temperatura superficiale di una nana bianca supera raramente — e solo in quelle di più recente formazione — i 150.000 K. Esiste poi, a scalare, tutta una gamma di temperature superficiali via via più basse, fino alle nane bianche più fredde, con temperature di poche migliaia di K. Sul diagramma di Hertzspung-Russell, in cui le stelle sono rappresentate in base alla relazione tra luminosità e temperatura, le nane bianche occupano una regione ben definita, corrispondente a basse luminosità e alte temperature.
In teoria, alla fine del processo di dispersione del calore interno, una nana bianca dovrebbe diventare una nana nera, un resto stellare completamente inerte e invisibile. Ma l’universo, con i suoi circa 13,8 miliardi di anni, è di gran lunga troppo giovane perché anche una sola nana bianca possa aver terminato del tutto la sua scorta di calore interno, diventando una nana nera.
Il mistero delle nane bianche con nucleo di elio
In uno studio pubblicato nel 2014 dagli stessi autori di cui ci siamo occupati nel precedente articolo, sono state analizzate in dettaglio 72 nane bianche appartenenti al nucleo galattico. Si tratta di una ricerca basata sulle osservazioni del campo stellare SWEEPS, eseguite con Hubble tra il 2004 e il 2013.
In realtà, le nane bianche presenti nella regione osservata da Hubble erano molte di più, ma circa il 70% di esse, benché appartenenti con molta probabilità al nucleo, sono state eliminate dall’elenco finale per via del moto proprio, che non rientrava nel valore di soglia stabilito per identificare gli oggetti del nucleo (per maggiori dettagli sulla selezione delle stelle per mezzo del moto proprio, si veda ancora l’articolo precedente). Altre ancora sono state eliminate perché la fotometria non era sufficientemente accurata.
Le nane bianche del campione finale variano in luminosità tra le magnitudini 22,5 e 29 nel filtro del visibile di Hubble (F606W). Sono riportate nel grafico seguente come pallini neri, verdi, blu e magenta. Occupano il settore in basso a sinistra del diagramma luminosità/colore, in corrispondenza delle linee tratteggiate rossa, verde e blu. Le nane bianche sono chiaramente distinguibili dallo sciame delle stelle di sequenza principale, rappresentate, invece, con puntini neri più piccoli, che occupano, numerosissimi, tutta la regione centrale del diagramma, attraversata dalle linee continue blu, rossa e verde.
La massa media calcolata per questi resti stellari, pari a 0,54 masse solari, è tipica di nane bianche prodotte da stelle di massa solare. Il loro interno è costituito principalmente da carbonio e ossigeno, cioè i prodotti della fusione dell’elio, che si innesca alla fine della fase di gigante rossa, dopo che la stella ha terminato la scorta di idrogeno nucleare e ha già bruciato parte della scorta di idrogeno contenuta nei gusci esterni al nucleo.
Ma tra le nane bianche selezionate dai ricercatori ve ne sono molte che appaiono più rosse di come dovrebbero essere: le loro caratteristiche fotometriche non combaciano affatto con quelle di nane bianche contenenti carbonio e ossigeno. Coincidono bene, invece, con quelle di nane bianche di piccolissima massa con il nucleo di elio.
La presenza delle nane bianche con nucleo di elio crea un problema, per così dire, storico. Da dove saltano fuori? Affinché una stella singola si trasformi in una nana bianca composta principalmente di elio, significa che la sua massa iniziale doveva essere minore di 0,45 masse solari, cioè così ridotta da non permettere al nucleo, dopo la fine della sequenza principale, di raggiungere le condizioni di pressione e temperatura necessarie per la fusione dell’elio e la conseguente creazione di carbonio e ossigeno. Ma stelle di massa così ridotta hanno una durata della vita sulla sequenza principale di gran lunga maggiore dell’età dell’universo e, ovviamente, dell’età del nucleo galattico (che è intorno a 11–12 miliardi di anni). Per quanto ne sappiamo, nessuna stella di massa simile dovrebbe essere ancora arrivata alla fine della sequenza principale.
Dall’involucro comune alle sottonane B
Gli autori dello studio hanno pertanto congetturato che le nane bianche con nucleo di elio trovate nel nucleo galattico non siano le ceneri lasciate da stelle singole, ma il risultato dell’evoluzione di sistemi binari che hanno attraversato una fase di involucro comune.
Quando una stella di massa simile al Sole raggiunge la fine della sequenza principale, comincia a espandersi diventando una gigante rossa. In questa fase il diametro cresce enormemente fino a raggiungere dimensioni approssimativamente pari all’orbita della Terra (circa 300 milioni di km). Se la gigante rossa fa parte di un sistema binario in cui la compagna non è troppo distante, può succedere che, a un certo punto della sua espansione, gli strati esterni della gigante riempiano e oltrepassino il cosiddetto lobo di Roche, cioè la regione in cui la sua attrazione gravitazionale riesce a tener vincolato a sé il gas dell’involucro esterno. Una volta che il lobo di Roche è saturo, la gigante comincia a riversare materiale sulla compagna binaria.
Se la compagna è una stella di sequenza principale e non è in grado di reggere il ritmo con cui riceve materiale dall’altra stella, comincia a espandersi a sua volta, finché gli strati esterni delle due stelle, rigonfi e distorti dalle forze mareali, finiscono per formare un involucro comune di gas che le contiene entrambe. È la cosiddetta fase CE, dall’inglese common envelope, che vuol dire appunto “involucro comune”. L’esatta evoluzione del sistema in questa fase è ancora poco chiara. La teoria dominante prevede che l’attrito generato dal gas dell’involucro comune sottragga momento angolare alle due stelle riducendo sempre più la distanza orbitale. Il momento angolare viene trasferito all’involucro, che si espande e diventa sempre più caldo e luminoso per la frizione, e ruota in modo disaccoppiato rispetto al nucleo della gigante e alla stella compagna.
La fase di involucro comune può avere due esiti: o le due stelle si fondono oppure l’involucro viene sparato via, formando di solito una nebulosa planetaria.
Se l’involucro viene espulso senza fusione delle due stelle, ciò che resta è un sistema binario in orbita ravvicinata. Uno dei due membri è una stella di sequenza principale, cioè la compagna di quella che era la gigante rossa.
Per quanto riguarda l’altro membro del sistema binario, le possibilità sono due. Una è che l’ex gigante esca dalla fase di involucro comune come una nana bianca composta principalmente di elio, che non è altro che il nucleo esposto della gigante rossa, contenente l’elio prodotto dalla fusione dell’idrogeno durante la sequenza principale. La perdita di massa seguita alla fase di involucro comune impedisce in questo caso alla stella di raggiungere le condizioni di temperatura e pressione necessarie per innescare la fusione dell’elio e, di conseguenza, le preclude la possibilità di formare un nucleo di carbonio e ossigeno.
La seconda possibilità si verifica quando la massa della stella primaria sopravvissuta alla fase di involucro comune è un po’ più elevata (all’incirca da 0,45 masse solari in su). In questo caso non si forma una nana bianca, ma una sottonana calda o sottonana B, così chiamata per gli spettri somiglianti a quelli di stelle di sequenza principale di tipo B. Avvolta da un sottilissimo strato esterno inerte di idrogeno pari a circa 0,001 masse solari, questa esotica stella brilla per la fusione dell’elio di cui è quasi integralmente costituita.
Le sottonane B hanno temperature superficiali elevate, comprese tra 20.000 e 40.000 K. Sul diagramma di Hertzsprung-Russell occupano una regione caratteristica indicata con la sigla EHB, che sta per Extreme Horizontal Branch: stelle del ramo orizzontale estremo.
Esiste poi un’altra possibile via per la formazione di nane bianche con nucleo di elio all’interno di sistemi binari: una fase di involucro comune tra una gigante rossa e una nana bianca. A causa delle piccole dimensioni e della forte gravità, la nana bianca può scendere molto in profondità nell’involucro della gigante, con un esito finale in cui l’involucro viene lanciato via e rimane un sistema binario in orbita molto stretta, con periodo brevissimo, formato da due nane bianche.
Se, però, la gigante è sufficientemente massiccia, dopo la fase di involucro comune non diverrà una nana bianca, ma una sottonana B. In questo caso il sistema binario emerso dall’involucro comune sarà costituito da una nana bianca e da una sottonana B.
Infine, se il sistema binario emerso dalla fase di involucro comune è formato da due nane bianche con nucleo di elio di massa molto piccola (intorno a 0,2 masse solari) in orbita molto ravvicinata, è possibile che queste si fondano tra loro, formando un’unica nana bianca con nucleo di elio di massa pari alla somma delle due componenti. Se, invece, le due nane bianche hanno masse leggermente superiori, il risultato finale della loro fusione sarà, ancora una volta, una sottonana B.
All’origine delle variabili cataclismiche
Ricapitolando, ed escludendo i casi di fusione tra la gigante e la compagna durante la fase di involucro comune, abbiamo le seguenti possibilità:
Caso A. Sistema binario formato da una gigante rossa e una stella di sequenza principale:
- fase di involucro comune → espulsione dell’involucro → resta un sistema binario in orbita ravvicinata formato da una nana bianca con nucleo di elio e una stella di sequenza principale;
- fase di involucro comune → espulsione dell’involucro → resta un sistema binario in orbita ravvicinata formato da una sottonana B e una stella di sequenza principale.
Caso B. Sistema binario formato da una gigante rossa e una nana bianca:
- fase di involucro comune → espulsione dell’involucro → resta un sistema binario in orbita ravvicinata, formato da due nane bianche, di cui almeno una è una nana bianca con nucleo di elio;
- fase di involucro comune → espulsione dell’involucro → resta un sistema binario formato da una nana bianca e una sottonana B.
Caso C. Sistema binario formato da due nane bianche con nucleo di elio in orbita molto ravvicinata:
- Possibile fusione → formazione di una nana bianca con nucleo di elio di massa maggiore;
- Possibile fusione → formazione di una sottonana B.
Quali prove abbiamo che queste prospettive di evoluzione stellare corrispondano a ciò che è realmente accaduto, e tuttora accade, nel nucleo galattico? In altre parole, quali prove ci sono che i sistemi binari giochino un ruolo davvero importante nella formazione e composizione del campione di nane bianche esaminato dagli autori della ricerca che stiamo analizzando?
Le indicazioni sono diverse. Per esempio, oltre alle nane bianche sono state trovate nella popolazione studiata anche una dozzina di stelle del ramo orizzontale estremo, cioè possibili sottonane B, formatesi con buona probabilità all’interno di sistemi binari ravvicinati, secondo i casi esaminati più sopra.
Un’indicazione ancora migliore è data dalla scoperta di nane bianche realmente appartenenti a sistemi binari. Ed in effetti, tra le nane bianche descritte nello studio, vi sono due novae nane in eruzione, due variabili ellissoidali e cinque candidate variabili cataclismiche in quiescenza. Sono tutti casi di nane bianche in sistemi binari con orbite molto ravvicinate, che rafforzano l’ipotesi che le nane bianche fatte di elio siano nate proprio all’interno di tali sistemi stellari.
Un’ultima indicazione è data dal conto delle stelle che appaiono sul diagramma di Hertzsprung-Russell al punto di turn-off, cioè il punto in cui abbandonano la sequenza principale per cominciare l’evoluzione che le porterà a diventare nane bianche. Sulla base di raffronti basati sulle magnitudini e sui tempi di evoluzione dal punto di turn-off allo stadio di nana bianca, i ricercatori hanno concluso che il numero di nane bianche nel campione esaminato è circa due volte più alto di quello che sarebbe lecito attendersi, se fossero tutte composte di carbonio e ossigeno. Il loro numero rientra invece nei valori previsti da questi calcoli evolutivi, se si assume che il 30–40 per cento di esse siano nane bianche composte di elio, secondo i modelli di formazione che abbiamo descritto in precedenza.
Ringrazio la dr. Annalisa Calamida dello Space Telescope Science Institute (AURA), prima autrice dello studio su cui è basato questo articolo, per le precisazioni e i miglioramenti al testo che mi ha cortesemente suggerito.