Una foto che dà un’idea dell’incredibile complessità strutturale dello stellarator Wendelstein 7-X. Credit: IPP

Piccoli Soli da laboratorio (3/3)

Lo stellarator

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
7 min readOct 28, 2015

--

Il principale competitor del tokamak nella corsa alla fusione nucleare fu inventato dall’astrofisico Lyman Spitzer nel 1950 e il primo prototipo fu costruito l’anno dopo presso il Princeton Plasma Physics Laboratory.

Lyman Spitzer fotografato vicino al suo prototipo di stellarator. Credit: Princeton Plasma Physics Laboratory

Lo stellarator, ovvero la macchina per raccogliere l’energia delle stelle, ha lo stesso scopo del tokamak ma lo persegue in modo diverso. La migliore descrizione di ciò che differenzia i due dispositivi si deve a Thomas Klinger, direttore scientifico del progetto Wendelstein 7-X presso il Max-Planck-Institut für Plasmaphysik:

In a stellarator, confining the plasma is like holding a broomstick firmly in your fist; in a tokamak, it’s like trying to balance the same broomstick on your finger.

Tradotto: in uno stellarator confinare il plasma è come tenere un manico di scopa saldamente nel proprio pugno; in un tokamak, invece, è come cercare di tenere lo stesso manico di scopa in equilibrio su un dito.

Il plasma in un tokamak, infatti, è instabile e difficile da controllare. Il buon funzionamento della macchina è legato al mantenimento di un sottile e difficile equilibrio tra campi megnetici e impulsi elettrici. La perdita di confinamento e la distruzione del plasma (plasma disruption) sono problemi all’ordine del giorno. I tokamak, insomma, sono macchine molto potenti, ma altrettanto difficili da gestire, anche per via di limiti costruttivi non eliminabili.

Lo stellarator nasce invece da una diversa filosofia costruttiva: risolvere il problema del confinamento magnetico completamente dall’esterno, cioè senza la necessità di indurre una corrente elettrica nel plasma. A tale scopo, la forma della camera in cui avviene la fusione e quella dei magneti che la circondano sono progettate in modo tale che vi sia sempre, in ogni punto del percorso seguito dal plasma, una combinazione di campi magnetici in grado di cancellare le forze che spingerebbero le particelle cariche al di fuori dell’area di confinamento. È questa la presa salda della mano sul manico di scopa di cui parlava Klinger.

La costruzione del Wendelstein 7-X. Credit: Science

Un simile progetto costruttivo comporta un vantaggio e uno svantaggio.

Il vantaggio, evidentemente, è quello di poter operare in modo stabile e continuo sul plasma, eliminando a monte i problemi che affliggono i tokamak. Grazie a questo diverso tipo di confinamento magnetico, il già citato Wendelstein 7-X (o, più brevemente, W7-X), uno stellarator da poco costruito in Germania, promette di riuscire a mantenere fino a 30 minuti di seguito, una volta superata la fase di test, le condizioni ottimali per la fusione nucleare: una differenza notevole rispetto ai tokamak, il cui record di durata del plasma è, come abbiamo ricordato nel post precedente, di appena 6 minuti e mezzo.

Questo importante vantaggio è controbilanciato da uno svantaggio di non poco conto, che è in un certo senso l’altra faccia della stessa medaglia: riuscire a costruire uno stellarator veramente efficiente significa affrontare una sfida ingegneristica ai limiti dell’impossibile. Si tratta, infatti, nella sua versione moderna, di una macchina di estrema complessità, basata su un complicatissimo sistema di magneti, che crea una struttura contorta e asimmetrica. Negli anfratti di questa struttura, sfruttando ogni centimetro utile, bisogna poi riuscire a integrare tutte le complesse tecnologie che rendono possibile la fusione nucleare. E parti metalliche che pesano tonnellate devono essere modellate e posizionate con precisione assoluta, rispettando margini di tolleranza nell’ordine dei micrometri.

La struttura essenziale dello stellarator W7-X. In giallo il volume che contiene il plasma, in blu i magneti super-conduttori non planari che servono per garantire il confinamento magnetico. Credit: IPP

Spitzer, in realtà, diede inizialmente allo stellarator una forma molto più semplice, che assomigliava a un 8: le particelle cariche nel plasma dovevano rimanere intrappolate in una sorta di pista infinita, simile a un nastro di Möbius. Ma questa struttura non era perfetta, perché, per evitare l’intersezione al centro tra le due metà dell’8, bisognava sfalsare i percorsi, rendendo più difficile bilanciare i campi magnetici in modo da mantenere il confinamento. Fu ben presto chiaro che bisognava trovare una forma tridimensionale più efficace per confinare adeguatamente il plasma.

Gli stellarator, comunque, dominarono la ricerca nel campo della fusione nucleare fino alla fine degli anni ’60. Dovettero poi cedere il passo ai tokamak, non appena si diffuse in Occidente la notizia dei successi ottenuti dagli scienziati sovietici che avevano inventato e perfezionato questo tipo di macchina.

Il momentaneo declino degli stellarator fu dovuto soprattutto al fatto che i calcoli necessari per progettare la camera di fusione e la gabbia magnetica in modo realmente funzionale richiedevano una potenza di elaborazione che anche i migliori computer dell’epoca non possedevano. Fu solo a partire dagli anni ’80 del secolo scorso che la potenza dei super-computer raggiunse un livello tale da rendere possibile la progettazione di sistemi così complessi. Da allora in poi si sono susseguiti numerosi prototipi di stellarator, fino ad arrivare al W7-X, che è il più grande e sofisticato stellarator mai costruito.

Schema strutturale generale del W7-X. È impressionante il numero di aperture che serve per dare accesso alle varie sezioni interne della macchina. Credit: IPP

Costato circa 1,2 miliardi di euro, il W7-X è stata terminato alla fine del 2014, a diciotto anni di distanza dalla partenza ufficiale del progetto, avvenuta nel lontano 1996. Nel corso del 2015 tutte le sue parti sono state sottoposte a un’interminabile batteria di test. La prima produzione di plasma è avvenuta il 10 dicembre 2015, ma lo scopo della macchina — similmente al tokamak che sta costruendo ITER — non è quello di creare energia utilizzabile fin da subito, bensì testare a fondo la tecnologia costruttiva, in vista di un possibile uso commerciale futuro.

Modello tridimensionale di uno dei 50 magneti non planari del W7-X. Credit: IPP

Il cuore del W7-X è il contorto anello della camera di contenimento del plasma, costituito da 5 sezioni di uguale struttura, assemblate insieme. Per garantire il confinamento magnetico del plasma, sono stati montati sull’anello 50 magneti super-conduttori non planari, ognuno dei quali ha una forma tridimensionale unica, frutto di complicatissimi calcoli.

I 50 magneti non-planari sono avvolti intorno alla camera di contenimento del plasma in posizione toroidale, simili cioè agli anelli che segmentano il corpo di un anellide. Ma non sono sufficienti ad ottenere un perfetto confinamento magnetico. La struttura è completata, pertanto, da altri 20 magneti super-conduttori, stavolta planari, posizionati in posizione poloidale sopra i magneti non planari, con un angolo di inclinazione di 20° rispetto all’asse verticale della macchina: il loro scopo è cambiare la configurazione del campo magnetico.

Ognuno dei 70 magneti assorbe a pieno regime 12,8 kiloampere di elettricità.

Lo scheletro di una sezione del W7-X. Sono visibili nell’immagine entrambi i tipi di magneti: quelli non planari sono montati direttamente sulla camera che conterrà il plasma, mentre i magneti planari, riconoscibili per il color rame e per la forma più lineare, sono montati esternamente. Credit: IPP

Affinché i magneti siano super-conduttori, cioè totalmente privi di resistenza alla corrente elettrica, occorre portarli a una temperatura di soli 4 gradi sopra lo zero assoluto (-269 °C). A questo scopo tutta la struttura dello stellarator è stata foderata con serbatoi di elio liquido, la cui quantità raggiunge un peso totale di 425 tonnellate.

Buchi dovunque. Credit: IPP

A complicare ulteriormente la struttura del W7-X ci sono i sistemi per innalzare la temperatura del plasma e i circuiti di raffreddamento ad acqua, necessari per portare via il calore in eccesso che si accumula lungo le pareti del toroide. A tutto ciò si aggiungono i numerosi sistemi di diagnostica per monitorare il funzionamento della macchina. In sostanza, lo scheletro dello stellarator non è altro che un immenso “gruviera” di metallo, con centinaia di buchi di ogni forma e dimensione, che servono per accedere a ogni più piccola sezione del dispositivo. E per ogni buco vi sono tolleranze di errore minime, se si vuole che alla fine il marchingegno funzioni come previsto.

È evidente che una macchina di tale complessità, la cui costruzione ha richiesto oltre un milione di ore di lavoro, non avrebbe mai potuto essere progettata né tantomeno realizzata senza disporre di super-computer dall’enorme potenza di calcolo. Una modellazione accuratissima è stata necessaria per anticipare l’effetto anche di minuscole variazioni del campo magnetico sul comportamento del plasma. E ancora più complessa è stata la ricerca dell’ottimizzazione, per ottenere il massimo dagli angusti spazi disponibili, in cui sistemare tutti i dispositivi necessari al funzionamento dello stellarator.

Non resta che aspettare l’esito dei primi mesi di esercizio del W7-X per vedere se un così grande investimento di tempo e risorse da parte dell’Unione Europea e della Germania, principali finanziatori del progetto, sarà servito ad avvicinare l’umanità al sogno di poter disporre un giorno — si spera non troppo lontano — di energia illimitata e pulita.

--

--

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.