Gli universi narrativi di Vanni Santoni

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
7 min readApr 12, 2018

La prima volta che ho incontrato Vanni Santoni sarà stato il 2004, o giù di lì. Sedevamo in una di quelle panchine vecchie di legno, divenute quasi di color marrone scuro a forza di impregnarsi d’acqua; un po’ sciupacchiata, con le gambe arrugginite. Ci trovavamo in una veranda di una vecchia scuola elementare che, in disuso da decenni, si era trasformata in quello che nell’immaginario collettivo è definibile ancor’oggi come “centro sociale”. In realtà - come Vanni mi spiegò essendo tema di un suo momentaneo progetto di ricerca - burocraticamente si trattava di uno Spazio (Popolare) Autogestito, perché non occupato con la forza, ma trattenuto dopo un accordo tacito tra il Comune ospitante (e proprietario dell’immobile in disuso) e noi che lì avevamo avviato l’esperienza dello S.P.A.Donchisciotte ,in località Vacchereccia, nel comune di Cavriglia (provincia, Arezzo).

Io ero uno del collettivo del Donchisciotte, Vanni un giovane aspirante scrittore che in quel periodo collaborava con un settimanale chiamato Metropoli Valdarno,dove tra l’altro qualche anno dopo avrei scritto pure io seppur per poco tempo (e seppur quell’esperienza sia stata la causa di un odio per lo scrivere, che mi ha accompagnato per molto tempo a seguire).

Ma non ha molto senso parlare di questo, quando a distanza di oltre un decennio abbondante mi trovo di nuovo di fronte allo scrittore di origini Montevarchine, oggi residente a Firenze ed apprezzato a livello nazionale, in occasione della sua partecipazione all’edizione 2018 di Varchi Comics, a Montevarchi.

Il risultato di una breve intervista (quattro domande essenziali, e sicuramente niente di inedito per i suoi padiglioni auricolari), lo potete leggere qui sotto nella versione integrale. Fisicamente ne trovate una selezione nel numero di Aprile di Valdarno Oggi, mensile gratuito Valdarnese con il quale collaboro con il mio nome vero (lasciando in un cassetto per l’occasione il mio pseudonimo, Julian Carax).

Attivo a livello editoriale dal 2006 con la pubblicazione del suo primo lavoro Personaggi Precari, Vanni Santoni rappresenta ad oggi uno dei talenti letterali più apprezzati della penisola, e non solo perché il suo La Stanza Profonda ha decretato la prima partecipazione per la casa editrice Laterza tra i finalisti del prestigioso Premio Strega. Nato a Montevarchi nel 1978, Santoni è collaboratore per le principali testate nazionali ed autore di romanzi di successo, oltre che direttore (dal 2013) della narrativa di Tunuè, occupandosi di nuovi talenti.

Lo abbiamo incontrato in occasione della sua partecipazione al Varchi Comics di Montevarchi, presentando il suo ultimo lavoro in ordine cronologico — L’Impero del Sogno — in relazione all’universo narrativo creato in anni di produzione.

Volendo generalizzare potremmo dividere le tue produzioni editoriali recenti in due filoni, uno indubbiamente più fantasy e l’altro più collegato ad esperienze personali (anche se, nei recenti La Stanza Profonda e L’impero del sogno le due realtà si incontrano e si amalgamano ampiamente). Quanto Valdarno c’è nelle influenze del tuo immaginario, che traduci nelle tue opere?

“Il mio secondo libro (e romanzo d’esordio) — oggi al centro di mille vicende, tra samizdat, furti in biblioteca e appelli di lettori e librai, per la sua totale irreperibilità — era Gli interessi in comune: uscì per Feltrinelli nel 2008 ed era ambientato tra Figline e Ambra, con ampi passaggi anche in altre località valdarnesi, più qualche “uscita” europea. Già lì capii che la dimensione della provincia sarebbe stata centrale nel mio lavoro, e infatti anche quando si va, come nel caso dell’Impero del sogno, in tutt’altra direzione — il romanzo è ambientato tra l’universo onirico e la realtà, e comunque in città medie o grandi come Pisa o Torino, c’è sempre un primo punto di partenza nella nostra provincia. Credo sia la stessa ragione per cui, facendo le debite proporzioni, un Philip Roth parte sempre da Newark: il luogo in cui siamo cresciuti è sempre il punto focale da cui si dipana la nostra percezione del mondo e quindi delle mitologie che possiamo proiettare. Questo aspetto si è ulteriormente rafforzato quando, utilizzando Iacopo Gori, già tra i protagonisti degli Interessi in comune, come protagonista di Muro di casse, uscito per Laterza nel 2015, ho cominciato a costruire un universo condiviso in cui si muovono i personaggi dei miei vari libri. Ho continuato col recente La stanza profonda — del gruppo originario degli Interessi in comune è lì il Paride a prendersi la scena, e ho poi chiuso il cerchio con L’impero del sogno, dove ho messo in campo quel disadattato di Federico “Mella” Melani, che degli Interessi era certamente il personaggio più amato dai lettori. Anche adesso che sto scrivendo un nuovo romanzo, molto ampio (e scollegato da questo primo ciclo narrativo, di cui L’impero del sogno è proprio una sorta di pietra angolare, per il modo in cui incrocia e fonde il mio filone realistico con quello fantasy dei due Terra ignota) non ho cambiato approccio in questo senso: il romanzo si svolge in luoghi anche molto lontani, come Stoccolma, Tel Aviv e addirittura Nuova Delhi, ma il punto focale in cui si incroceranno tutte le storie sarà Vallombrosa, giusto sopra il Valdarno”.

A livello di processo creativo, tendi ad affidarti alla casualità del momento, oppure organizzi la stesura di un nuovo lavoro in maniera scientifica?

“Dipende molto dal tipo di libro. Per gli avventurosi, come L’impero del sogno o i due Terra ignota, in cui è la trama a comandare, lavoro in modo molto metodico, imposto prima un soggetto, poi da lì sviluppo uno storyboard diviso in scene e sottoscene che poi procedo a scrivere, di solito tenendo aperti almeno tre blocchi narrativi, uno iniziale, uno centrale e uno finale, così da avere sempre qualcos’altro da approcciare se mi areno temporaneamente su un filone.
Si capisce che questo metodo non è applicabile nei romanzi che, come Muro di casse, La stanza profonda o quello che sto scrivendo in questo momento, sono guidati dalla scrittura e dallo stile, più che dalla trama. In questi casi stile, forma e contenuto sono una cosa sola e bisogna affidarsi a un metodo molto più istintivo. Anche gli schemi che si possono fare in questi casi assomigliano più a mappe mentali, a sistemi di affinità tematica o simbolica, non certo a sceneggiature. Serve quindi più tempo e, paradossalmente, ancora più disciplina, dato che lavorando con uno storyboard di solito si riescono a fare quel paio di pagine al giorno — cerco di arrivare sempre a cinquemila battute in una giornata di lavoro, diecimila nei casi di giorni in cui so che posso dedicare tutto il mio tempo alla scrittura — nelle ore previste, mentre con questo sistema più aperto sai quando inizi e non quando finisci: non di rado all’alba del giorno successivo”.

Il ruolo editoriale che ricopri all’interno di Tunuè: è consequenziale gestire la narrativa di una Editrice, per uno scrittore, oppure è necessaria un’attitudine differente?

“Per quanto mi riguarda è stato un passaggio naturale perché ho ricevuto l’incarico di direttore della narrativa da parte di Tunué proprio mentre usciva In territorio nemico, il romanzo storico ambientato durante la Resistenza uscito per Minimum Fax nel 2013 e scritto da 115 autori — 230 mani, quindi — sotto il coordinamento mio e di Gregorio Magini. Gestire tutti questi autori, e poi comporne e editarne il lavoro, fu una grande occasione di crescita rispetto al mestiere di lavorare sui testi altrui. Dirigere una collana però non significa solo editare ma anche scegliere gli autori da pubblicare, e quando leggo che ormai Tunué è considerata una delle maggiori fucine italiane di nuovi talenti sono felicissimo, anche perché mi piace formare nuovi autori ed evitar loro le difficoltà e le trappole che ho dovuto affrontare io al mio debutto. Imparo anche molto, perché stare a contatto con autori più giovani è un buon modo per mettere sempre in discussione i propri preconcetti acquisiti”.

Puoi anticiparci, in conclusione, i progetti ai quali stai lavorando al momento?

“Come editore, siamo ormai al momento dell’uscita dell’Amore a vent’anni, esordio di Giorgio Biferali, mentre a maggio avremo Dimentica di respirare della bolzanina Kareen De Martin Pinter.
Come autore, sto lavorando, ad un romanzo molto grande, di certo il più grande per quantità di pagine e portata narrativa che abbia mai scritto, che uscirà per Mondadori quando sarà finito: auspicabilmente a metà 2019, ma è possibile che esca anche più tardi, con testi così grossi le variabili di lavorazione sono moltissime. Ho altri due progetti di libri in serbo ma per ora sono congelati perché il romanzone prende tutte le mie energie”.

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Un.Dici è l'universo di Julian Carax, doppio di Davide Torelli, che sarei io. Qualcosa in più qui: https://linktr.ee/davidetorelli